Stefan Cvetković (foto Medija centar Beograd)

Stefan Cvetković (foto Medija centar Beograd )

La sparizione di un giornalista, poi la sua comparsa dopo giorni di ricerca. L’opinione pubblica e le organizzazioni dei giornalisti sono rimaste per giorni col fiato sospeso, mentre le istituzioni hanno mostrato tutta la loro debolezza

21/06/2018 -  Antonela Riha Belgrado

Non è ancora chiaro cosa sia successo al giornalista Stefan Cvetković dal momento in cui è scomparso fino a quando, due giorni più tardi, non è arrivata la notizia – resa nota dal presidente della Serbia Aleksandar Vučić – che era stato ritrovato. Ciò che è invece evidente è che il vertice dello stato ha assunto il ruolo di potere giudiziario, perché sono stati proprio i rappresentanti del potere politico a rendere noti i primi risultati delle indagini, a interpretare le prove e ad affermare che sarebbe in corso una guerra speciale contro la Serbia.

Durante una conferenza stampa tenutasi martedì 19 giugno a Belgrado, Stefan Cvetković ha raccontato la sua versione della storia, piena di dettagli contraddittori e poco chiari. Ha affermato di essere stato rapito nella notte del 13 giugno da tre uomini ignoti, che lo hanno tenuto in ostaggio in un luogo sconosciuto, per poi liberarlo venerdì 15 giugno, precisando di non sapere per quale motivo sia stato rapito. Nel frattempo, la procura ha avviato un’indagine contro Cvetković sospettato di falsa denuncia di sequestro.

La notizia di un “omicidio criminale”

Cvetković non è molto conosciuto per il suo lavoro giornalistico al di fuori di Bela Crkva, città in cui vive, situata nel nord-est della Serbia. Secondo i dati dell’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS), Cvetković aveva più volte segnalato alle autorità le minacce che, stando alle sue parole, riceveva da ambienti politici e criminali.

Il giorno in cui è arrivata la notizia della sua scomparsa, le associazioni dei giornalisti serbi hanno ricordato che Cvetković stava indagando, tra le altre cose, anche sull’omicidio, ancora irrisolto, del leader politico serbo-kosovaro Oliver Ivanović avvenuto nel gennaio di quest’anno. Poco dopo l’omicidio, nel mese di febbraio, Cvetković ha reso note proprie rivelazioni sui presunti responsabili, affermando che l’assassino avrebbe ricevuto 40mila euro e che dietro all’omicidio vi sarebbero strutture criminali.

La veridicità delle sue affermazioni è stata subito messa in dubbio, e successivamente alcuni media hanno riportato che l’uomo indicato da Cvetković come uno dei responsabili dell’omicidio è in realtà un blogger canadese.

Tuttavia, in un primo momento, la scomparsa di Cvetković è stata associata, soprattutto nei commenti sui social network, proprio alle sue indagini sull’omicidio di Oliver Ivanović, nonché ai suoi scontri con alcuni politici locali. A destare ulteriore preoccupazione è stata l’affermazione di un funzionario dell’amministrazione comunale di Bela Crkva, che ha definito la scomparsa di Cvetković come un “omicidio criminale”.

I cittadini serbi ricordano fin troppo bene gli omicidi di giornalisti, tuttora irrisolti, avvenuti negli ultimi decenni. Anche oggi i giornalisti in Serbia sono costante bersaglio di minacce e pressioni, per cui la forte reazione alla scomparsa di Cvetković, non solo da parte dei giornalisti serbi ma anche di numerose organizzazioni internazionali, è stata del tutto logica e adeguata.

Le autorità hanno reagito mobilitando ingenti forze di polizia sul territorio di Bela Crkva. Nella ricerca di Cvetković, durata oltre 30 ore, sono stati coinvolti numerosi sommozzatori, unità cinofile ed elicotteri, e il sollievo è arrivato quando il presidente serbo Aleksandar Vučić in una conferenza stampa ha reso noto che il giornalista era stato ritrovato sano e salvo.

La condanna senza processo

Tutte le altre dichiarazioni rilasciate dal presidente Vučić e dal ministro dell’Interno Nebojša Stefanović in merito a questa vicenda, così come l’operato degli organi competenti e il comportamento dei media filogovernativi, fanno intendere che in Serbia sia in atto una vera e propria demolizione delle istituzioni.

Invece del procuratore competente, a rendere noti i risultati delle indagini preliminari è stato il presidente Vučić. Ha parlato di tracce rilevate sul luogo del presunto rapimento, precisando che Cvetković aveva ricevuto 16 chiamate dal Kosovo prima di scomparire e definendo “strana” la sua testimonianza.

Il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović ha commentato in modo dettagliato le presunte incongruenze nella testimonianza che Cvetković ha reso alla polizia in qualità di soggetto danneggiato. Ha inoltre rivelato all’opinione pubblica alcune “risposte false” date da Cvetković durante il test della macchina della verità, concludendo che “è del tutto chiaro che nell’intera vicenda sono state coinvolte più persone”.

Dopo la conclusione dell’interrogatorio di Cvetković, i media hanno pubblicato i contenuti dell’accusa che la procura ha mosso nei suoi confronti, sospettandolo di aver simulato il proprio rapimento.

Il direttore della polizia Vladimir Rebić ha dichiarato che Cvetković, in conferenza stampa, ha pronunciato tutta una serie di bugie e affermazioni illogiche, che sono in contrasto con quanto rilevato nel corso delle analisi e verifiche effettuate dalla polizia e dalla procura. Allo stesso tempo, ha confermato che a Cvetković è stata assegnata una scorta di polizia che “lo proteggerà finché non sarà cancellato ogni dubbio sull’esistenza di minacce nei suoi confronti”.

Dopo tutte queste affermazioni contraddittorie, resta poco chiaro quale potrebbe essere il movente del sequestro di cui Cvetković sostiene di essere stato vittima e anche per quale ragione avrebbe inventato l’intera vicenda, come sospettano polizia e procura.

Guerra speciale contro la Serbia

Gli alti funzionari statali e i media a loro vicini non sembrano invece avere molti dubbi su questa vicenda. Non appena il presidente Vučić ha reso noto che il giornalista scomparso è stato trovato, è partita una valanga di servizi in cui i giornalisti, appellandosi a fonti affidabili, riportavano quello che Cvetković avrebbe detto alla polizia, a quali misteriosi uomini d’affari ed esponenti dell’opposizione sarebbe legato, ecc.

Il caporedattore del tabloid Informer, che si vanta di essere amico del presidente Vučić, ha avvertito, nel corso di una trasmissione mattutina molto seguita, che è in corso una guerra speciale contro la Serbia, affermando che il presunto sequestro di Cvetković fa parte di un complotto finalizzato a provocare il caos nel paese.

Il presidente Vučić ha dichiarato che negli ultimi giorni la Serbia è stata sottoposta a “forti attacchi e diversi tentativi di distruggere l’ordinamento interno e le istituzioni”, aggiungendo di essere certo che il paese continuerà a subire pressioni “sia esterne che interne”, perché si sta avvicinando il momento della risoluzione di una questione molto importante, quella dello status del Kosovo.

Anche il ministro degli Esteri Ivica Dačić ha messo in guardia l’opinione pubblica dicendo: “Negli ultimi mesi siamo stati testimoni della diffusione di numerose notizie false […] Tutto ciò fa parte dell’intenzione di destabilizzare la Serbia utilizzando metodi di guerra speciale”.

Il Partito popolare serbo (SNP), guidato dal ministro per l’Innovazione Nenad Popović, ha persino proposto di costituire un gruppo di lavoro per il contrasto alle notizie false. I promotori dell’iniziativa hanno ricordato la messa in scena dell’omicidio del giornalista russo Arkady Babchenko recentemente organizzata a Kiev, concludendo che, al pari della Russia, anche la Serbia è nel mirino di numerosi servizi segreti a causa della questione del Kosovo.

Vi è il fondato timore che – in un clima in cui i funzionari statali hanno intrapreso una caccia alle notizie false mentre, al contempo, continuano a produrle quotidianamente – i media e giornalisti indipendenti divengano bersaglio di nuovi attacchi. Ogni legittima critica potrebbe essere interpretata come parte di un complotto; ogni futuro episodio di minacce e intimidazioni nei confronti di giornalisti sarà paragonato al caso Cvetković e, di conseguenza, la sua veridicità sarà messa in dubbio. L’ultima parola spetta alla leadership al potere e, in assenza di istituzioni funzionanti, sarà essa a pronunciare la sentenza definitiva.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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