La politica serba è tale che dopo un mese e mezzo dalle elezioni ancora si attende per la costituzione del nuovo parlamento, del governo e del consiglio comunale della capitale. Si attende inoltre che Belgrado decida cosa fare con le sanzioni alla Russia
Solo chi non conosce il carattere della leadership politica serba può stupirsi del fatto che ad oltre un mese dalle elezioni del 3 aprile in Serbia non sia ancora stato formato il nuovo parlamento né il nuovo governo, né tanto meno il nuovo consiglio comunale di Belgrado. L’unica certezza emersa dalle elezioni riguarda la carica di presidente della Repubblica, che verrà ricoperta, per la seconda volta consecutiva, da Aleksandar Vučić.
Dopo le elezioni, l’opposizione, così come l’intera società serba, è rimasta inerte, da un lato paralizzata dalla guerra in Ucraina e dal suo impatto sulla Serbia e, dall’altro, dalla mancanza di idee su come porre al centro del dibattito pubblico vari problemi che affliggono la Serbia.
Aspettando le istituzioni
Ci è voluto più di un mese affinché la Commissione elettorale centrale (RIK) concludesse le operazioni di scrutinio dei voti delle elezioni presidenziali e di quelle amministrative a Belgrado dello scorso 3 aprile. Le elezioni politiche, tenutesi lo stesso giorno, sono invece state ripetute in alcuni seggi, motivo per cui si attende ancora la pubblicazione dei risultati.
Stando ai dati definitivi, Vučić ha conquistato il 58,59% dei voti alle elezioni presidenziali, mentre il suo Partito progressista serbo (SNS) ha ottenuto il 43,63% dei voti alle amministrative a Belgrado, insufficienti però per poter governare da solo.
Vučić non sembra avere alcuna fretta. Solo quando la RIK finalmente concluderà lo scrutinio dei voti delle elezioni politiche scatteranno i trenta giorni previsti per la formazione del parlamento, e solo successivamente potrà essere formato il nuovo esecutivo. Per quanto riguarda invece Belgrado, secondo i termini previsti dalla legge, la seduta costitutiva del nuovo consiglio comunale deve tenersi entro il 12 giugno.
Non c’è alcuna spiegazione razionale del perché nel XXI secolo lo spoglio delle schede elettorali richieda così tanto tempo, soprattutto considerando che le denunce di violazione delle procedure elettorali non sono state così numerose da poter rallentare lo scrutinio. Dall’altra parte, però, né l’opinione pubblica né l’opposizione serba hanno insistito sulla necessità di rendere noti i risultati definitivi delle elezioni politiche in un arco di tempo ragionevole, come se con la schiacciante vittoria di Vučić alle presidenziali tutto fosse diventato chiaro e come se i futuri deputati del parlamento serbo non avessero altre questioni di cui occuparsi.
Aspettando la formazione delle coalizioni post-elettorali
Nel frattempo si continua a speculare sulla composizione della futura coalizione di governo. Ivica Dačić, leader del Partito socialista serbo (SPS), partner di coalizione dell’SNS nel governo uscente, è letteralmente scomparso dalla scena dopo le elezioni del 3 aprile, alle quali il suo partito aveva raggiunto un risultato rilevante. Etichettati come filorussi, i socialisti potrebbero essere lasciati fuori dal nuovo esecutivo e destituiti da incarichi dirigenziali ricoperti ormai da anni in diverse aziende pubbliche. Tuttavia, il modo in cui Dačić e i suoi collaboratori si sono comportati finora dimostra che sono capaci di voltare gabbana quando cominciano a perdere il potere. C’è da aspettarsi quindi che Dačić e altri esponenti dell’SPS raffreddino i loro rapporti con Mosca.
Pochi giorni dopo le elezioni, Dragan Đilas, leader del Partito libertà e giustizia (SSP), alla guida della principale coalizione dei partiti di opposizione “Uniti per la vittoria“, ha avuto un incontro , per molti inaspettato, con Vučić. Pur non essendo ancora state concluse le operazioni di scrutinio dei voti delle elezioni comunali a Belgrado (i risultati definitivi sono stati pubblicati solo lo scorso 13 maggio), nel corso del colloquio i due leader sono giunti alla conclusione che nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti e che quindi le elezioni amministrative nella capitale dovrebbero essere ripetute. Questo incontro ha contribuito ad acuire i dissidi tra le forze che fanno parte della coalizione “Uniti per la vittoria“, si è iniziato a parlare di alleanze segrete, facendo sorgere una domanda del tutto logica: Se le amministrative a Belgrado dovrebbero essere ripetute, perché allora non vengono ripetute anche le elezioni politiche, visto che, stando ai dati pubblicati finora, nessun partito ha ottenuto una maggioranza sufficiente a governare da solo. Ben presto però anche questo tema è passato in secondo piano. Resta da vedere se anche Vučić se ne scorderà e se, una volta completato il puzzle del nuovo governo, riterrà vantaggioso partecipare a eventuali elezioni ripetute a Belgrado.
Aspettando una netta presa di posizione nei confronti della Russia
Non è ancora chiaro se Vučić deciderà di unirsi all’UE e agli Stati Uniti e introdurre sanzioni contro Mosca a causa dell’aggressione all’Ucraina. L’Occidente ha più volte ribadito la propria posizione: nonostante la leadership di Belgrado abbia condannato ogni violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dalla Serbia ci si aspetta che allinei la sua politica estera a quella di Bruxelles, dando così corpo all’impegno dichiarato nel perseguire la strada dell’integrazione europea.
È curioso l’atteggiamento assunto dalla leadership serba e dai media ad essa vicini lo scorso 9 maggio, in occasione del Giorno della vittoria sul nazifascismo. Per la prima volta, il servizio pubblico (Radiotelevisione della Serbia) non ha trasmesso la parata militare svoltasi a Mosca. Al contempo, però, il quotidiano filogovernativo Politika ha pubblicato, in prima pagina, un’intervista con l’ambasciatore russo a Belgrado Bocan-Harcenko intitolata “L’Occidente sta esercitando un’enorme pressione sulla Serbia”. Sulla stessa pagina è stata pubblicata anche un’immagine che ritrae una ragazza proveniente dal Kosovo mentre canta alla parata di Mosca, nonché un discorso del patriarca russo Kirill con il messaggio: “Fu l’Occidente a far scoppiare la Prima guerra mondiale – il popolo serbo fu il principale bersaglio”.
Non è passato inosservato il fatto che nessun esponente del partito di Vučić ha preso parte alla marcia del "Reggimento immortale" organizzata lo scorso 9 maggio a Belgrado dall’ambasciata russa, ma nemmeno il fatto che in testa al corteo, accanto ad un’immagine di Putin, campeggiava una grande lettera Z, simbolo dell’aggressione russa all’Ucraina. La lettera Z campeggia anche sulle facciate di molti palazzi belgradesi ed evidentemente non dà alcun fastidio alla leadership serba, che non ha intrapreso alcuna misura per cancellare i controversi graffiti.
Aspettando il sostegno
Secondo molti analisti politici, la maggior parte dei cittadini serbi nutre sentimenti filorussi. Sta di fatto che lo stesso Vučić ha contribuito a ispirare tali sentimenti, sottolineando continuamente i suoi stretti rapporti con Putin. Vi è però un altro aspetto che balza agli occhi: un sentimento antioccidentale che cresce in una parte dell’opinione pubblica serba e tra i media allineati al regime. Per molti cittadini serbi la guerra in Ucraina ha resuscitato i ricordi dei bombardamenti della Nato del 1999 e la tendenza a insistere sul fatto che la Russia non aveva partecipato a quei bombardamenti e a sottolineare la tradizionale amicizia tra Serbia e Russia e la comune fede ortodossa non fa altro che contribuire all’acuirsi del sentimento di ostilità nei confronti dei paesi membri della Nato.
I messaggi che arrivano da Mosca vengono letti con grande attenzione, non sono quelli riguardanti le forniture di gas russo alla Serbia, ma anche quelli relativi al potere di veto di Mosca in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Recentemente, Putin ha affermato di aver trovato nell’esempio del Kosovo la base politica e giuridica per la secessione del Donbas dall’Ucraina. C’è da aspettarsi che Putin cerchi di sfruttare tale argomento per una futura soluzione politica al conflitto in Ucraina.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, l’UE e soprattutto la Germania hanno inviato un chiaro messaggio a Vučić: ci si aspetta che Belgrado porti al termine i negoziati con Pristina, organizzati nell’ambito del cosiddetto Accordo di Bruxelles, e che riconosca l’indipendenza del Kosovo.
Vučić oggi più che mai ha bisogno del sostegno interno. Il fatto di aver aperto la strada all’ascesa della destra, creando un’atmosfera favorevole all’aumento di popolarità dei partiti conservatori e di destra e al loro ingresso in parlamento, gli si è ritorto contro come un boomerang. La destra è diventata il principale oppositore di Vučić e potrebbe ostacolare eventuali tentativi di prendere una decisione sull’introduzione delle sanzioni contro Mosca e sul riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Se vuole compiere una svolta politica, Vučić ha bisogno del sostegno di quella parte dell’opinione pubblica serba che nutre sentimenti filoeuropei, un’opinione pubblica che Vučić, da quando è salito al potere nel 2012, ha sempre accusato di essere composta di traditori e mercenari al soldo degli stranieri. Il presidente serbo ha bisogno di partner politici disposti ad appoggiare le sue future decisioni. Solo quando sarà formato il nuovo governo potremo intuire in quale direzione andrà la Serbia guidata da Aleksandar Vučić.
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