Il premier serbo Aleksandar Vučić a Berlino ha detto chiaramente che l’obiettivo serbo è l’UE e che non vi è alcuna questione di scegliere tra Mosca e Bruxelles. Cosa è cambiato nella politica estera serba? L’analisi del nostro corrispondente
Il nostro obiettivo è l’Unione europea e non vi è dubbio tra Bruxelles e Mosca, ha dichiarato il premier serbo Aleksandar Vučić durante la sua recente visita a Berlino, lo scorso 11 giugno, definita "storica" a Belgrado. Con questo messaggio il premier serbo ha voluto far intendere a chi lo stava ospitando che la Serbia ha definitivamente deciso con chi costruire il proprio futuro e su quale sostegno e aiuto vuole poter contare.
Questa dichiarazione può essere interpretata come l’annuncio più esplico mai fatto finora sul tramonto della strategia di politica estera, in corso ormai da anni, basata sulla fumosa idea di una stretta collaborazione con tutti.
Il giorno stesso in cui Vučić era a Berlino a rivelare che l’UE, in particolare la Germania, è il più importante alleato della Serbia, a Belgrado era in visita il presidente bielorusso Aleksandar Lukašenko, che si è incontrato con l’omologo serbo Tomislav Nikolić. A Belgrado sono pochi gli analisti che credono che Aleksandar Vučić e Aleksadar Lukašenko non si sia incontrati per puro caso, come ufficialmente affermato. Piuttosto si ritiene che Vučić non avesse intenzione di incontrare colui che l’Europa vede come un dittatore.
All’inizio di questa settimana, a Belgrado, con una visita annunciata tempo fa, è giunto anche il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov. I media serbi hanno coperto questa visita con molta meno attenzione di quella data alla visita di Vučić a Berlino. Lavrov è stato accolto dal presidente Nikolić e dal capo della diplomazia serba Ivica Dačić, dopodiché sono seguite le dichiarazioni sulla tradizionale amicizia e collaborazione tra i due paesi, sulle indissolubili relazioni, ecc. L’incontro poi con il premier Vučić è stato coperto da uno stringato comunicato stampa in cui si ribadiva che il futuro della Serbia è nell’UE, ma che le relazioni con la Russia sono di grande importanza.
I dettagli di queste tre visite possono essere la conferma definitiva che la Serbia sta cambiando il suo orientamento in politica estera? La risposta è che probabilmente si sta sviluppando un’importante fase il cui esito porterà ad una più stretta relazione con l’Europa. Con grande certezza si può dire che il premier serbo guarda alla Russia come un importante alleato e amico, ma non come ad un’opzione alternativa al futuro europeo. Vučić desidera evitare un peggioramento dei rapporti, ma non a discapito del percorso europeo della Serbia.
È chiaro, allo stesso tempo, che all’interno dello blocco governativo non c’è un’unanimità di vedute per quanto concerne le relazioni con Mosca e Bruxelles. Le forze che ritengono che per la Serbia non vada bene rivolgersi completamente verso l’UE comunque esistono. Vučić dovrà farci i conti, in particolare se si tiene presente che il presidente Nikolić, che indubbiamente gode di una grande influenza sul partito di governo SNS (Partito progressista serbo), non mostra certo tutto l’euroentusiasmo del premier. Non sono previsti conflitti aperti tra le due correnti, ma le differenze esistono e non si possono nascondere.
In queste circostanze per Vučić la visita a Berlino, quando a Belgrado c’era Lukašenko, è stata la soluzione ideale. Prima di tutto, ha mostrato chiaramente che lui con impegno e senza riserve sostiene l’euro-integrazione. Si sa che in Serbia ci sono correnti meno entusiaste, però non sono collegate al premier ma ad altri politici. In breve, la scelta del periodo della sua visita in Germania, così come di quella di Lukašenko e di Lavrov, sono una sorta di segnale politico per Bruxelles e Berlino, dalle quali Belgrado si aspetta sostegno e aiuto.
Valori europei
La svolta in politica estera di Vučić non è motivata dal desiderio di introdurre i valori europei nella vita politica ed economica della Serbia, quanto dalla necessità pragmatica di bilanciare le nuove circostanze in politica internazionale. Se fosse veramente possibile voltarsi verso la Russia, e con ciò mantenere la stabilità economica e politica, Vučić e il suo Partito progressista serbo forse lo avrebbero già fatto. Ma siccome una cosa del genere non sarebbe priva di drammatici risvolti economici e politici, la scelta di Bruxelles risulta la più logica.
Parallelamente - nonostante l’evidente progresso nell’armonizzazione delle politiche regionali della Serbia con quelle dell’UE - si è arrivati ad un grave allontanamento dalla sostanza dei valori europei. Vučić governa in modo autoritario, la credibilità e la capacità d'agire delle istituzioni sono seriamente compromesse, sempre più frequenti sono i casi di censura, in particolare su internet, di populismo e vi è un completo dominio della scena politica, senza praticamente dibattito pubblico e l'opposizione è troppo debole per svolgere il ruolo chiave di controllo del potere nel sistema parlamentare.
Il governo serbo probabilmente crede che Bruxelles, almeno finché non verranno risolte le principali questioni politiche sul tappeto, non porrà l’accento sui valori europei fondamentali. Tuttavia, la resistenza nella società civile è in aumento, e dalle organizzazioni europee e internazionali giungono sempre più di frequente sonori avvertimenti. Potrebbe anche accadere che le questioni di cui sopra arrivino in agenda molto prima di quanto il governo si aspetti.
La compagine di governo sostanzialmente proviene dall’ultranazionalista Partito radicale serbo, dalla cui scissione è sorto l’SNS. Ciò significa che la maggior parte dei funzionari ha costruito la propria carriera politica sul populismo in stile balcanico, in cui non c’è gran spazio per i valori europei. E siccome le cattive abitudini difficilmente si cambiano, davanti al governo serbo c’è un periodo di difficile bilanciamento tra la tendenza a governare il paese in modo autoritario e le condizionalità che giungono da Bruxelles e che riguardano il funzionamento delle istituzioni, lo stato di diritto e la libertà dei media.
I motivi
La politica di orientarsi contemporaneamente ad est e ad ovest, la cui decostruzione è appunto in atto, esiste sin dalla caduta del regime di Slobodan Milošević. Una politica che è stata fortemente condizionata dalla volontà dei governi serbi di mantenere il Kosovo nell’ambito della Serbia e aumentare la propria influenza sui corsi politici ed economici kosovari.
In tutto ciò il principale alleato della Serbia è stata la Russia, la quale difende la posizione serba al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Al tempo del premierato di Vojislav Koštunica (eletto nel 2004) il Kosovo era la priorità, e quindi anche la dipendenza dalla Russia. L’ex presidente Boris Tadić, il cui Partito democratico (DS) aveva formato la maggioranza dopo la caduta di Koštunica, in pratica ha mantenuto lo stesso approccio.
A quanto pare, Vučić ha capito che le ragioni che hanno portato alla politica di equidistanza tra Oriente e Occidente sono irrimediabilmente sparite, in parte grazie al suo operato, in parte grazie alle circostanze internazionali. Vučić, dopo aver raggiunto il potere più di due ani fa, ha compiuto una svolta nella politica sul Kosovo, a partire dai colloqui diretti con Pristina. Con ciò è significativamente diminuita l’importanza della Russia che, in qualità di alleato serbo, difendeva all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU il diritto della Serbia al territorio del Kosovo.
Ora arriva il tempo in cui, oltre ad un approccio costruttivo nelle crisi regionali, da Belgrado si attendono veloci e convincenti aggiustamenti della strategia politica estera serba nell’ottica di Bruxelles. Con la dichiarazione che l’UE è l’obiettivo della Serbia e che non c’è scelta tra Bruxelles e Mosca, Vučić ha iniziato a preparare il terreno per la messa in pratica della sua svolta. Un approccio differente lo porterebbe ad avere maggiori pressioni da Bruxelles e Washington, cosa che potrebbe solo peggiorare la sua posizione.
L’altro motivo che ha orientato Vučić a cambiare la strategia di politica estera della Serbia riguarda gli eventi in Ucraina. È del tutto chiaro che l’influenza dell’Occidente e della Nato in Ucraina diventano molto maggiori di prima e che la Russia, a dispetto del fatto di essere riuscita ad annettersi la Crimea e ad innescare la rivolta nell’Ucraina orientale, si è ulteriormente indebolita. In breve, la capacità di Mosca di influire sugli accadimenti dei Balcani e di sostenere, economicamente e in altri modi, i potenziali alleati si è ridotta, il che significa che anche i motivi di un rafforzamento dell’alleanza tra Russia e Serbia sono svaniti.
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