La Serbia potrebbe essere il frutteto d'Europa, ma non è facile piazzare le marmellate in un mercato saturo. E la produzione di frutta secca è redditizia solo pagando salari miserabili ai lavoratori stagionali
(Pubblicato originariamente da Biznis i Finansije , selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC Transeuropa il 29 agosto 2021)
Željko Ćosić produce marmellate a Valjevo da quindici anni. Si è messo in proprio all'inizio del 2020. "Ci vogliono almeno 5.000 euro per iniziare una produzione seria di marmellata, ma gli investimenti possono arrivare fino a 500.000 euro. Io ho investito quasi 50.000 euro in attrezzature che mi permetteranno di rispettare le norme sanitarie. Per avviare l'attività, ho anche pagato tra i 1.000 e 2.000 euro di tasse allo stato", enumera.
La difficoltà più grande per ogni produttore è quello di portare i prodotti sul mercato, ma purtroppo avere potenziali clienti non è l’unico problema. L'amministrazione può porre molti ostacoli. "Ho già diverse aziende di Valjevo come clienti. Ci sono negozi biologici, negozi di souvenir e supermercati che sono un po' più attrezzati, ma non posso collaborare con certe reti di distribuzione, perché vogliono che abbia un codice a barre... Anche una catena russa è interessata alle mie marmellate, ma la situazione non si sblocca a causa di ostacoli burocratici", racconta Željko Ćosić.
"Preparare la marmellata non è particolarmente impegnativo, ma richiede che i lavoratori siano sempre in movimento. Non ho avuto problemi a trovare dipendenti perché ho reclutato donne e ragazze che già conoscevo. Vengono pagate 200 dinari all'ora (1,7 euro) e, quando ricomincerà la produzione più consistente, ho intenzione di aumentare la paga oraria a 250 dinari all'ora (2 euro). Per il momento, rimane un lavoro occasionale ma conto di aver bisogno di dipendenti fissi. Saranno pagati con lo stesso importo orario, saranno dichiarati e io mi occuperò dei loro contributi". Željko Ćosić è riuscito a ripagare sino ad ora il 10% del denaro preso in prestito, ma la produzione è attualmente sospesa, in attesa della finalizzazione dei contratti con gli acquirenti.
Schiavi della snocciolatura
Per la frutta secca, la produzione di prugne è la più diffusa e redditizia. Il produttore può iniziare la sua attività con un essiccatore da 500 a 600 kg per ciclo di lavoro, che costa circa 6000 euro e può essere utilizzato per essiccare anche altri frutti. Idealmente, il produttore dovrebbe essiccare la propria frutta, ma anche se la compra l'attività rimane redditizia: un chilo di prugne costa 12 dinari (10 centesimi), che è dieci volte meno di un chilo di prugne secche, e servono quattro chili di prugne per ottenerne un chilo di secche. Il vantaggio delle prugne è che possono essere conservate a lungo. Con uno snocciolatore, che costa 1800 euro, il prezzo di un chilo di prugne secche snocciolate può salire a 220 dinari (1,9 euro). L'investimento iniziale non è trascurabile, ma si recupera rapidamente.
La snocciolatura su larga scala richiede però molta forza lavoro e spesso i lavoratori e le lavoratrici di questo settore non ricevono un salario decente. In un sito di produzione alla periferia di Valjevo, circa 20 donne lavorano alla pulizia delle prugne per dieci ore al giorno, cercando di raggiungere la loro quota di produzione. La loro paga è di 21 dinari - 8 centesimi di euro - al chilo: solo le più veloci possono sperare di guadagnare una somma decente.
"La prugna non deve essere né troppo morbida né troppo dura. Una prugna troppo dura si rompe, richiede più sforzo e mi ci vogliono almeno tre ore per riempire un bidone da dieci a dodici chili. Se la frutta è troppo matura, non puoi ricavarne nulla", spiega una ex lavoratrice. "Il primo giorno sono riuscita a guadagnare solo 500 dinari (4,2 euro) e i giorni seguenti da 700 a 800 dinari (6-7 euro). Per guadagnare di più, dovresti essere un polpo con otto braccia... Il lavoro non è facile. E' faticoso azionare per tutto il tempo il pedale della snocciolatrice, e a volte devi portare un contenitore che pesa quasi dodici chili", racconta una lavoratrice stagionale che è resistita per una sola settimana.
Non vengono pagati né il trasporto né i pasti e le donne si comprano da sole i guanti protettivi, un costo di circa 300 dinari a settimana. "Questi costi non sarebbero gravi se fossimo pagate con uno stipendio medio da operaia. Forse si sta meglio da altri produttori, ma qui portiamo a casa ben poco", aggiunge, sottolineando che la maggior parte delle persone impiegate sono pensionati. Queste donne lavorano anche nei campi e raccolgono la frutta, il che porta loro molto più denaro della snocciolatura.
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