Sabato scorso si è dimesso il ministro delle Finanze serbo Lazar Krstić. Più che un conflitto all’interno del governo, l’uscita di scena del ministro sembra una manovra politica per indorare la pillola delle draconiane riforme in campo economico: in primis stipendi, pensioni e pubblico impiego
Le dimissioni del ministro delle Finanze serbo, Lazar Krstić potrebbero essere più una manovra politica che il segnale di una netta incomprensione all’interno del governo guidato autoritariamente dal premier Aleksandar Vučić. Con queste dimissioni è iniziato un gioco politico molto delicato che riguarda l’avvio della tanto attesa riforma dell'economia serba dove il premier, per ora in modo incontrastato, controlla la situazione e blocca efficacemente i potenziali oppositori che, sui temi sensibili di carattere sociale, potrebbero sfruttare il momento per mettere alle strette l'attuale esecutivo.
Spiegando ai media le ragioni delle proprie dimissioni, Krstić ha dichiarato che non erano state accettate le sue proposte sulla riduzione delle pensioni di almeno il 20%, gli stipendi del settore pubblico di almeno il 15%, il licenziamento di 160.000 dipendenti del pubblico impiego e l’aumento del costo dell’elettricità del 30%. Il premier ha precisato che non può essere d’accordo con tali richieste, ma ha fatto intendere che concorda con le stime fatte dal ministro, precisando che gli riserverà un posto come consulente speciale.
Le dimissioni sono servite come mezzo per poter piazzare con forza la tesi sulla necessità di forti tagli sulla politica fiscale, cosa che Vučić d’altra parte aveva già annunciato sin dalla formazione del suo governo la scorsa primavera. Le dichiarazioni del ministro Krstić ora funzionano come una sorta di paravento che consente ai cittadini di avere diminuzioni delle pensioni e degli stipendi un po’ meno restrittive, e soprattutto serve a contenere il pericolo di proteste sociali. L’intento è di far abituare i cittadini all’idea di misure draconiane, e quindi anche le conseguenti misure d'austerità dovrebbero essere accolte più facilmente.
L’epilogo di questa storia, come sostengono fonti ben informate, sarà che sia pensioni che stipendi saranno presto diminuiti del 10%, cosa che solo in parte avrà effetto sulla stabilità fiscale della Serbia. È molto probabile che seguiranno nuovi tagli, che alla fine si avvicineranno di molto alle cifre menzionate da Krstić. Il problema quindi è stato risolto spezzando in due il pacchetto di misure proposto dall'ormai ex ministro, con l’obiettivo indorare la pillola amara delle riforme volute dal governo.
Tagli
Le dimissioni di Krstić e l’idea della necessità di una drastica diminuzione delle pensioni, degli stipendi e di nuovi licenziamenti aprono al processo delle dolorose riforme, il cui esito determinerà la permanenza al potere del governo Vučić, così come il rating del suo Partito progressista serbo (SNS). Il premier ha praticamente infilato i piedi in un lago gelato, non è a suo agio e continua a dare l’impressione, presso gli elettori e ampie fasce della popolazione, di essere un politico che si confronta con il popolo e condivide con esso i momenti difficili. Ma le emozioni non dureranno in eterno: il governo deve fare molto in fretta e bene se vuole continuare a rimanere in sella.
Il giorno stesso in cui sono state rese note le dimissioni di Krstić (sabato scorso) e proposti i necessari tagli agli stipendi e alle pensioni, il governo ha presentato e inviato al parlamento un nuovo disegno di Legge sul lavoro e sulle pensioni di invalidità. Le nuove norme previste da queste leggi dovrebbero ammorbidire l’introduzione delle misure restrittive che seguiranno, ossia riduzione dei diritti dei lavoratori e dei pensionati.
Gli analisti economici sostengono che tutto ciò sia necessario perché la Serbia già oggi ha più pensionati che lavoratori, e il livello di protezione dei dipendenti nel settore pubblico è straordinariamente alto. Se qualcosa non cambia il paese potrebbe, già forse dalla prossima primavera, fare i conti con la bancarotta. Ciò che preoccupa seriamente Vučić e che sta cercando di evitare a tutti i costi, è di passare alla storia come il premier che ha portato la Serbia allo sfascio economico.
Come previsto i sindacati hanno reagito duramente alle modifiche della Legge sul lavoro, ma il governo ha ignorato le loro richieste. Per poter evitare il più possibile eventuali critiche, il governo ha evitato di organizzare un dibattito pubblico su questo provvedimento, passaggio però giuridicamente obbligatorio. L’iter è stato chiuso in poche settimane, mentre la legge, grazie alla maggioranza assoluta di cui gode l’SNS al parlamento, sarà approvata entro la fine di questa settimana.
Resistenze
La legge sul lavoro e la legge sulle pensioni di invalidità sono politicamente sensibili perché toccano direttamente i diritti sociali e dei lavoratori della maggior parte dei cittadini serbi. Una recente analisi dell’opinione pubblica, realizzata dall’SNS per poter verificare il grado di accettazione delle riforme tra i simpatizzanti del partito, ha dimostrato che per le riforme sono a favore circa l’80% degli intervistati, ma il sostegno cade sotto il 10% quando gli si spiega quale influenza avranno su stipendi, pensioni ecc.
Vučić, quindi, ha motivo di temere le resistenze alle misure draconiane che sta per introdurre, in particolare all’interno del suo stesso partito, i cui accoliti si rendono conto che possono risultare sconfitti dai cambiamenti da loro stessi introdotti. Queste resistenze non sono ancora articolate perché la popolarità del premier e leader del partito continua ad essere molto alta, ma le cose potrebbero cambiare col passare del tempo e con l’aumento delle misure restrittive. Ecco perché gli attivisti del partito di Vučić continuano ad organizzare campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in supporto alle misure adottate dal governo e dimostrare così un’unità del partito e dei suoi elettori.
Il premier e l’SNS invece non hanno motivo di temere i sindacati e l’opposizione. I leader sindacali sono compromessi e senza un sufficiente sostegno, mentre l’opposizione continua ad essere divisa e senza un progetto politico tangibile. Per ora non ci sono motivi convincenti che possano unire i rivali del governo. Il Partito democratico (DS), la maggior forza di opposizione, ha detto che appoggerà i sindacati, ma esso stesso non è riuscito ad offrire un chiaro e convincente concetto che potesse efficacemente contrastare le misure del governo e far tornare la fiducia nei membri di questo partito.
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