Secondo dati raccolti dal Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), dall’inizio del 2019 fino a marzo 2020, 67 delle 173 scuole elementari pubbliche di Belgrado hanno denunciato gravi episodi di violenza tra alunni. Un quadro della situazione
(Originariamente pubblicato da CINS , il 26 agosto 2020)
Nel novembre 2019, Maša, che frequenta una scuola elementare di Belgrado, stava nel corridoio della scuola insieme ad alcune sue amiche quando un ragazzo della sua classe le si è avvicinato e l’ha spinta da dietro. Maša è caduta a terra, sbattendo la testa. La settimana successiva quello stesso ragazzo ha spinto Maša di nuovo, rompendole un ginocchio.
Il padre di Maša, Vladimir, sostiene che quel ragazzo creava problemi fin dal primo anno di scuola, insultava i compagni e disturbava lo svolgimento delle lezioni, motivo per cui è stato spesso oggetto di discussione durante gli incontri di ricevimento collettivo dei genitori. Oltre a Vladimir, anche altri genitori si sono lamentati del comportamento del ragazzo, ma ciononostante il problema è rimasto irrisolto.
Vladimir ha chiesto al personale scolastico di reagire, ma il padre del ragazzo non si è dimostrato disponibile a un dialogo costruttivo e durante un incontro scuola-famiglia ha negato l’esistenza del problema, cercando persino di innescare uno scontro fisico con Vladimir.
Vladimir è fermo nella sua intenzione di andare fino in fondo alla vicenda, pur temendo che, a causa della sua decisione, Maša possa avere ulteriori problemi a scuola.
"Arrivi ad un punto in cui pensi: ora la mia bambina inizierà a frequentare la quinta [elementare], sarà marchiata come figlia di quello che si lamenta. È successo ad un mio amico il cui figlio frequenta un’altra scuola", spiega Vladimir.
Maša è solo una dei tanti alunni che l’anno scorso hanno subito gravi violenze da parte dei coetanei.
Stando ai dati raccolti e analizzati dal Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), nel periodo compreso tra gennaio 2019 e marzo 2020, 67 delle 173 scuole elementari che rientrano nella competenza dell’Ufficio scolastico di Belgrado hanno segnalato gravi episodi di violenza al ministero dell’Istruzione, della Scienza e dello Sviluppo tecnologico.
La maggior parte dei casi si è verificata all’inizio dell’anno scolastico: 41 dei 94 episodi segnalati sono accaduti tra settembre e ottobre 2019, quindi subito dopo il rientro dei ragazzi a scuola. Nei mesi successivi, il numero di casi segnalati è diminuito, rimanendo fermo a una cifra.
Lo psicologo sociale Dragan Popadić spiega che nei casi di bullismo gli aggressori ricorrono alla violenza allo scopo di assicurarsi una posizione dominante all’interno di un gruppo, come ad esempio una classe scolastica.
Secondo Popadić, anche le vacanze estive possono incidere sul comportamento dei giovani: i ragazzi che sono abituati a litigare e a fare a botte con i loro familiari e amici tendono a ripetere tali comportamenti anche a scuola.
La forma di violenza più frequente è quella fisica: nella maggior parte dei casi si tratta di risse tra ragazzi. Le ragazze sono più spesso vittime che perpetratrici di violenze. Quando per violenza tra coetanei si intendeva solo la violenza fisica, era opinione diffusa che i ragazzi fossero più aggressivi delle ragazze, ma oggi – come spiega Popadić – la situazione è diversa. Le ragazze, molto più spesso dei ragazzi, tendono a parlare male degli altri alle loro spalle, a emarginarli dalla propria compagnia e a ricorrere a vari metodi di intimidazione psicologica, ma nessun tipo di violenza è prerogativa esclusiva dei ragazzi o delle ragazze.
Tuttavia, la violenza fisica di solito non accade all’improvviso.
Dalle denunce analizzate da CINS emerge infatti che i ragazzi di solito non denunciano la violenza psicologica subita fino a quando la situazione non sfocia in scontri fisici.
Lo dimostra un episodio accaduto nella scuola elementare “Aleksa Šantić” a Belgrado, dove due ragazzi si sono picchiati in classe. Parlando poi con lo psicologo, uno dei ragazzi ha ammesso che quella non era la prima volta che si era scontrato con il suo compagno di classe che per mesi lo avrebbe insultato e sfidato a uno scontro fisico, offendendo anche sua madre.
Dragan Popadić spiega che la violenza fisica è più visibile, e quindi più facilmente identificabile, ma gli insegnati devono essere in grado di riconoscere tutte le forme di violenza, per poter reagire in modo adeguato, eppure – come sottolinea lo psicologo – spesso non lo fanno. Popadić aggiunge inoltre che anche i ragazzi spesso non denunciano la violenza subita.
"Gli insegnati non riescono a risolvere il problema, si limitano ad ammonire l’aggressore o cercano in vari modi di nascondere quanto avvenuto, arrecando così danni ancora maggiori al bambino vittima di violenza", afferma Popadić.
Tra le scuole elementari di Belgrado che hanno denunciato il maggior numero di episodi di violenza vi è anche la scuola “Nadežda Petrović”.
Uno degli episodi accaduti in questa scuola riguarda una rissa provocata da un alunno durante l’ora di lezione. Stando alle parole della direttrice della suola, Ivana Stjepanović, il ragazzo che aveva provocato la rissa ha ricevuto il voto di condotta insufficiente e un’ammonizione da parte del Collegio dei docenti, mentre i suoi genitori per un certo periodo di tempo hanno partecipato ad incontri settimanali con il coordinatore di classe e un pedagogista. Inoltre, l’alunno responsabile della rissa è stato coinvolto in attività di utilità sociale e in un percorso rieducativo. Oltre a ciò – come afferma la direttrice – il ragazzo va anche dallo psichiatra.
Un altro episodio accaduto nella scuola “Nadežda Petrović” riguarda un ragazzo che ha lanciato un petardo dalla finestra dell’aula, dopodiché è stato trasferito in un’altra scuola. Negli altri casi denunciati non si è trattato di gravi forme di violenza, a differenza di quanto sospettato inizialmente.
"Al momento della presentazione della denuncia è impossibile stabilire se si sia trattato di [una violenza di] secondo o di terzo grado. Pertanto, vengono raccolte le dichiarazioni e si indaga sul caso", spiega Ivana Stjepanović.
L’inerzia del ministero dell’Istruzione
Dopo ripetuti episodi di violenza a cui è stata esposta sua figlia, il padre di Maša ha denunciato il problema alla scuola, ma ciononostante il caso di Maša non compare nell’elenco di episodi di violenza segnalati al ministero dell’Istruzione.
Stando al Regolamento sul protocollo di intervento all’interno dell’istituto scolastico per il contrasto alla violenza, ai maltrattamenti e all’emarginazione, le scuole hanno l’obbligo di denunciare – entro 24 ore dall’accaduto – le forme più gravi di violenza all’Ufficio scolastico competente, operante in seno al ministero dell’Istruzione, che svolge attività di monitoraggio e valutazione e fornisce sostegno alle scuole.
Tentativi di soffocamento, aggressioni con armi, intimidazioni, minacce, diffusione di immagini inappropriate sono solo alcune delle forme più gravi di violenza tra coetanei, tra cui rientrano anche le violenze ripetute nel tempo e ignorate dalle autorità.
Dragan Popadić ritiene che ogni scuola debba istituire un’unità per il contrasto alla violenza composta da persone competenti e in grado di affrontare il fenomeno, ma anche capaci di chiedere aiuto quando ne hanno bisogno.
"[I membri di queste unità] dovrebbero essere consapevoli della propria responsabilità e dovrebbero ricevere un’apposita formazione. Quando sorge un problema che non possono risolvere da soli, hanno il diritto di chiedere aiuto a soggetti esterni", spiega Popadić, aggiungendo però che le scuole raramente chiedono aiuto perché temono una pubblicità negativa.
La Legge sul sistema di istruzione ed educazione, approvata nel 2017, ha aperto la strada a una lotta più decisa contro la violenza tra coetanei, prevedendo sanzioni più severe per i genitori dei ragazzi responsabili delle violenze, ma anche per chi cerca di insabbiare le violenze. Tuttavia, a tre anni dall’approvazione della legge, la situazione non sembra essere migliorata.
Interpellato dai giornalisti di CINS in merito all’efficacia del nuovo meccanismo di contrasto alla violenza tra coetanei, il ministero dell’Istruzione ha risposto che le denunce riguardanti le forme più gravi di violenza sono in costante aumento, precisando però che il ministero non è al corrente delle eventuali sentenze di condanna nei confronti dei responsabili delle violenze segnalate.
Quindi, tutta la responsabilità della lotta al bullismo ricade sulle scuole e, in particolare, sulle unità per la prevenzione della discriminazione, della violenza, dei maltrattamenti e degli abusi che operano in seno alle scuole.
Il ministero segue le azioni messe in atto dalle scuole per contrastare il bullismo e, se necessario, intraprende ulteriori misure, soprattutto se i genitori si lamentano del modo in cui la scuola affronta il problema, ma anche quando la scuola chiede al ministero di intervenire. Qualora lo ritenesse necessario, il ministero può effettuare un’ispezione, anche a distanza di alcuni mesi dall’accaduto.
L’esperienza dimostra che il problema di solito viene risolto solo quando i genitori cominciano a fare pressione sulla scuola e a “minacciare” di rivolgersi al ministero o di raccontare tutto ai media.
"Quando risulta evidente che molte scuole tendono a insabbiare le violenze o a nascondere il fatto di non essere riuscite ad affrontare il problema in modo efficace, bisogna intraprendere altre misure", afferma Dragan Popadić.
Quando la scuola ignora il problema, i genitori reagiscono
Di fronte all’inerzia delle istituzioni, i genitori spesso decidono di prendere in mano la situazione.
È esattamente quello che hanno fatto i genitori di un ragazzo di nome Luka che hanno parlato con i giornalisti di CINS. Luka è stato vittima di violenze da parte dei coetanei dal primo al settimo anno della scuola elementare [in Serbia la scuola elementare dura otto anni], fino a quando i genitori non hanno deciso di trasferirlo in un’altra classe. Le violenze sono cominciate subito quando Luka ha iniziato a frequentare la scuola: i suoi compagni lo chiudevano in bagno, prendevano a calci il suo zaino, gli strappavano la giacca, gli gettavano la merenda in faccia.
La madre di Luka, Ivana, dice che la situazione è culminata nell’ottobre 2019. Luka frequentava il settimo anno di scuola e quello stesso gruppo di ragazzi cercava di convincerlo a buttarsi dal terzo piano della scuola.
Ivana racconta che uno dei ragazzi ha detto a Luka: "Luka, eccoti 1000 dinari, vieni che ti butto giù dal terzo piano".
"Non lo avrei mai saputo se il figlio più giovane non ce lo avesse detto. Ha visto tutto, è arrivato a casa e ci ha raccontato", spiega Ivana.
Stando alle sue parole, la scuola di Luka ha negato che si fossero verificati episodi di violenza, sostenendo che il vero problema sono i cattivi voti e il comportamento di Luka. Tuttavia, il registro elettronico di classe, di cui i giornalisti di CINS hanno preso visione, smentisce quanto affermato dalla scuola in merito al presunto cattivo comportamento di Luka. La scuola non ha mai denunciato questo caso al ministero dell’Istruzione.
Interpellato al riguardo, il ministero ha spiegato che i genitori di Luka hanno fatto una segnalazione all’ispettorato competente in seno al ministero e quest’ultimo l’ha inoltrata all’Ufficio ispettivo del comune di Belgrado. Il ministero non ha voluto rispondere alla domanda se intendesse intraprendere ulteriori azioni in merito a questo caso.
I genitori di Luka, avendo esaurito tutte le altre opzioni, nel novembre del 2019 hanno sporto denuncia contro la scuola, la preside e i genitori dei ragazzi responsabili delle violenze. A Ivana è stato detto che gli alunni denunciati sono traumatizzati dalla possibilità di finire in tribunale. "E quello che ha passato mio figlio? Non so e non mi interessa cosa succederà ai loro figli in tribunale, io mi preoccupo per mio figlio", conclude decisa la madre di Luka.
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