Riccardo Muti

Riccardo Muti

Se ne parlava da un decennio, senza risultati concreti. Alla fine, a portare a Trieste i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia per un gesto di riconciliazione sul tormentato passato del confine orientale è riuscito, grazie alla sua fama e un po' per caso, il maestro Riccardo Muti

15/07/2010 -  Stefano Lusa Capodistria

Di un possibile gesto di riconciliazione tra Italia, Slovenia e Croazia si parlava ormai da più di un decennio. In passato ci avevano provato in molti e almeno altrettanti lo avevano auspicato, ma nessun tentativo aveva finora avuto reale successo. Dove in molti avevano fallito è riuscito il maestro Riccardo Muti, un po’ grazie alla sua fama e un po’ per caso.

Il grande direttore d’orchestra aveva scelto di far passare il suo tradizionale concerto “Le vie dell’amicizia” per piazza Unità d’Italia a Trieste. L’iniziativa musicale, partita nel 1997 da Sarajevo, avrebbe accomunato musicisti italiani, sloveni e croati. Sono stati quindi invitati a presenziare all’evento anche i capi di Stato dei tre Paesi.

La data scelta era quella del 13 luglio che, in maniera del tutto casuale, coincideva con il novantesimo anniversario dell’incendio del Narodni dom a Trieste. L’edificio, simbolo della presenza slovena e croata in città, venne preso di mira e dato alle fiamme proprio il 13 luglio 1920 nel corso di una manifestazione nazionalista, capeggiata dai maggiorenti del nascente movimento fascista.

Per gli sloveni ed i croati quei fatti coincidono con l’inizio delle persecuzioni che avrebbero subito,dopo l’annessione all’Italia della Venezia Giulia. Da Lubiana quindi è arrivato chiaro il messaggio che il presidente sloveno Danilo Türk sarebbe potuto venire a Trieste solo se si fosse ricordato quell’anniversario.

La questione ha subito messo in subbuglio le cancellerie. Sulla direttrice Roma - Lubiana – Zagabria, in questi anni, infatti non sono mancate polemiche anche accese legate all’interpretazione della travagliata storia del confine orientale.

Ad ogni modo il concerto di Muti era già stato annunciato. Sarebbe stato piuttosto sgradevole dover comunicare che i tre presidenti non erano in grado di trovare un’intesa nemmeno per assistere insieme ad un’esecuzione musicale. A quel punto c’era già chi iniziava a speculare che fosse più facile organizzare una simile manifestazione nella capitale bosniaca o a Gerusalemme, piuttosto che a Trieste.

Per superare l’impasse venutasi a creare sono intervenuti due “vecchi amici”, i senatori Miloš Budin e Lucio Toth. Il primo esponente di spicco della minoranza slovena in Italia, il secondo storico rappresentante del variegato mondo degli esuli.

I due si erano conosciuti nel 2006. All’epoca Budin era sottosegretario nel governo Prodi. Non senza spregiudicatezza venne allora inviato dall’esecutivo al Congresso di una delle più importanti organizzazioni degli esuli: l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Budin, da sloveno di Trieste, portò il saluto del governo italiano e lo fece, a detta dello stesso Toth, “con particolare garbo”.

Da quel momento è iniziato un dialogo che venne suggellato durante un dibattito organizzato nel 2009 a Trieste, che mise per la prima volta a confronto le memorie della minoranza slovena e quelle degli esuli. In qualche modo, con quell’iniziativa, due mondi che sembravano non poter comunicare tra loro riconobbero l’una all’altra le reciproche sofferenze.

Di fronte alla prospettiva che l’incontro saltasse, i due hanno pensato bene di parlarsi e di fare qualcosa. Era ovvio che se i tre presidenti non fossero giunti in città, sarebbe stato facile trovare il capro espiatorio del fallito incontro nell’intransigenza della minoranza slovena o in quella del mondo degli esuli.

A sbrogliare l’intricata matassa ha pensato il pragmatico presidente della Federazione degli esuli, Renzo Coradin, che ha ipotizzato di far tappa anche al “Monumento all’esodo dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati”. A quel punto Budin e Toth hanno lanciato praticamente all’unisono l’idea che poi è stata accolta dai tre capi di Stato.

Così martedì a Trieste il presidente italiano, Giorgio Napolitano, quello sloveno Danilo Türk e quello croato Ivo Josipović hanno prima deposto una corona di fronte alla lapide che ricorda l’incendio del Narodni dom, per poi rendere omaggio al monumento dedicato all’esodo. In seguito tutti e tre sono andati in piazza Unità d’Italia per assistere al concerto del maestro Muti.

Per molti, si è trattato di una giornata storica. Per gli sloveni, infatti, fino a pochi giorni fa era del tutto impensabile che il presidente italiano onorasse con la sua presenza il novantesimo anniversario dell’incendio del Narodni dom; per gli italiani, invece, era inimmaginabile che i presidenti di Slovenia e Croazia potessero rendere omaggio al monumento all’esodo.

In un ambiente dove il passato continua a pesare come un macigno sul futuro e dove sembra non voler proprio passare, forse è stato chiuso un capitolo. Secondo un esponente di spicco del mondo degli esuli “con le classi intellettuali e politiche che non riuscivano a trovare un modo per guardare avanti, c’hanno pensato i presidenti a buttare la gruccia oltre l’ostacolo, nel rispetto delle reciproche memorie. Sia dal mondo degli esuli, sia da quello della minoranza slovena, non sono in pochi a dire che da oggi tutto sarà più semplice.

Non tutti comunque hanno accolto con entusiasmo il gesto dei tre presidenti. Per il sottosegretario all’ambiente Roberto Menia, storico esponente della destra triestina, tutto è stato deciso da Lubiana. Menia ed altre personalità di spicco del centrodestra triestino hanno quindi deciso di disertare la manifestazione. Insoddisfazione anche nell’Unione degli istriani, l’organizzazione degli esuli guidata da Massimiliano Lacota. Se in Italia qualcuno mugugna, nemmeno in Slovenia e Croazia tutti sembrano soddisfatti. Ai rispettivi presidenti c’è infatti chi contesta di aver accettato quello che è stato definito il “mito” dei 350.000 esuli.

Al di là delle polemiche, comunque, sembra sia più forte la volontà di guardare al futuro e di lasciarsi alle spalle il peso del passato. Sarebbe, infatti, stato semplice sia per le organizzazioni degli esuli sia per la minoranza slovena mettere i bastoni tra le ruote ai presidenti. Non l’hanno fatto. Anzi, hanno fatto di tutto per favorire l’incontro.


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