Il primo ministro sloveno Robert Golob - © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Il primo ministro sloveno Robert Golob - © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Per il sussidio di disoccupazione? Certificato di conoscenza dello sloveno. Per ricongiungimenti familiari? Certificato di conoscenza dello sloveno. Una normativa discriminatoria nei confronti dei lavoratori stranieri che, l'attuale governo, non sembra intenzionato a modificare

07/04/2023 -  Stefano Lusa

L’ossessione che l’immigrazione possa cambiare il volto della Slovenia non è una preoccupazione solo recente. Accade oggi ed accadeva negli anni Ottanta, quando in tutto il paese non aveva mancato di svilupparsi una vera e propria avversione per quelli che beffardamente venivano definiti i “fratelli del sud”. Erano i lavoratori provenienti dalle ex repubbliche jugoslave, che trovavano un impiego nelle catene di montaggio o nei cantieri edili.

Come da tradizione, anche oggi si fa poco o nulla per integrarli. La sensazione è che una volta finito di costruire ville, strade e palazzoni sarebbe cosa gradita che se ne tornassero il prima possibile a casa loro. Vederli insieme per le vie del centro, sentirli parlare nelle loro lingue o trovarli a comprare appartamenti in alcune zone delle città da fastidio. Se per i colletti bianchi, che vanno a riempire gli studi medici, l’inserimento nella società è relativamente più semplice, non è altrettanto facile per quelli che fanno i lavori più umili. La convinzione è che sono loro a doversi adeguare prima di tutto imparando la lingua.

Finché se ne stanno a lavorare nei cantieri non hanno bisogno di nulla. Tra di loro parlano in albanese o in una delle varianti di quello che era il serbo-croato. Quando le cose vanno male e vogliono iscriversi all’ufficio di collocamento o ottenere il sussidio di disoccupazione, invece, gli immigrati devono fornire alle autorità un certificato di conoscenza dello sloveno a livello base (A1). Se vogliono passare dal semplice permesso di soggiorno alla residenza devono portare un attestato che certifica una conoscenza ancora migliore della lingua (A2). Si tratta quindi di frequentare un corso e anche di investire parte dei guadagni per pagarsi l’esame. Un'operazione non semplice. Uros Škerl Kramberger sul Dnevnik ha raccontato la storia di un manovale bosniaco ultrasessantenne rimasto senza lavoro, che dopo anni passati nei cantieri non ce l’ha proprio fatta a tornare sui banchi di scuola. Il suo è un caso tutt’altro che isolato.

Il precedente governo di centrodestra aveva pensato bene di introdurre la necessità di produrre un attestato anche per i ricongiungimenti. Dopo un certo periodo i famigliari avrebbero dovuto consegnarlo alle autorità per continuare a rimanere in Slovenia. Non un foglio qualsiasi, ma un documento rilasciato da un apposito centro. Peccato che la struttura preposta può far fare 3000 esami l’anno, mentre le persone che avrebbero bisogno del documento sono più di 9000. La scadenza fissata per quest'anno è quella del 27 aprile.

Il governo di centrosinistra, ossessionato dall’idea di dover alleggerire le condizioni per poter accaparrarsi all’estero forza lavoro a basso costo, ha subito messo mano ad una serie di leggi che regolano l’impiego degli stranieri e che renderanno la vita più facile ai datori di lavoro ed anche ai migranti. Sino ad un certo punto l’articolo che imponeva la presentazione dell’attestato di conoscenza della lingua per i ricongiungimenti sembrava dover venir cassato, ma poi i “progressisti” hanno cambiato idea. Il centrosinistra ha spesso paura di venir accusato di non tenere nel dovuto conto la cura dell’identità nazionale. L’opposizione ha subito giocato su questa carta ed ha annunciato che avrebbero raccolto le firme per indire un referendum se la conoscenza della lingua fosse stata depennata. Così il centrosinistra ha fatto marcia indietro. La legge è stata approvata in parlamento con i soli voti di Movimento Libertà e dei Socialdemocratici. La Sinistra, il terzo partito governo, in aula ha dato battaglia prendendosela con tutti e lanciando strali contro il “nazionalismo” del centrodestra. A Democratici e Nuova Slovenia, che avrebbero voluto norme ancora più severe, non è restato che spiegare alla sinistra radicale che la legge in discussione alla camera non l’avevano proposta loro e che dovevano prendersela con i loro alleati di governo.

Immediatamente il Consiglio di Stato, la quasi inutile seconda camera del parlamento sloveno, ha votato il veto sospensivo. Non per solidarietà nei confronti dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie, ma perché con la nuova norma la presentazione dell’attestato di lingua era stata procrastinata di altri 18 mesi. Lo sloveno è una delle basi della cultura e dell’identità nazionale, è stato detto, precisando che solo la conoscenza della lingua garantirebbe l’integrazione. Ora la camera dovrà approvare il provvedimento a maggioranza assoluta. Per raggiungerla in aula dovranno esserci praticamente tutti i deputati del premier Robert Golob e anche tutti i post-comunisti della ministra degli Esteri, Tanja Fajon.

Il capo dello Stato, Nataša Pirc Musar, in una nota diramata alla vigilia del dibattito in parlamento aveva invitato a togliere la clausola della lingua per i ricongiungimenti. Secondo la presidente ai lavoratori ed alle loro famiglie vanno offerti tutti gli strumenti per l’integrazione linguistica, “ma ciò non deve essere fatto in maniera punitiva, discriminatoria ed in modo umiliante per le persone”. Levata di scudi anche da parte delle organizzazioni non governative, che hanno parlato senza mezzi termini di provvedimenti che hanno il solo scopo di alimentare la xenofobia, di impedire ai lavoratori stranieri di vivere una vita dignitosa, di riunirsi alle loro famiglie e di integrarsi nella società. In sintesi, una legge che servirà per deportare donne e bambini.

Sulla vicenda il sociologo Roman Kuhar, in un durissimo fondo sul Delo ha precisato che chi crede che con simili interventi la lingua e la cultura slovena verrà tutelata e che gli stranieri si integreranno incorre in un grande (populistico) errore. L’integrazione, ha scritto, non è una strada a senso unico, precisando che questa via porta “alla segregazione, all’isolamento e prima o poi anche alla violenza”.

Il dibattito e le proteste delle organizzazioni non governative e anche di una parte dell’opinione pubblica, però, probabilmente non faranno cambiare opinione alla politica, dove ancora una volta il “patriottismo” (o per meglio dire il nazionalismo) prevarrà su tutto il resto.


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