I toni sono pacati, ma la Slovenia continua a costruire barriere al passaggio di migranti nel paese. Non da ultimo una legge che dà più poteri alla polizia per respingerli al confine
La Slovenia sulla strada di Austria e Ungheria annuncia un giro di vite in materia di immigrazione. Il provvedimento è pronto. La convergenza tra le forze politiche è ampia e i tempi per la sua approvazione si annunciano brevi. La polizia potrà vietare l’ingresso nel paese agli stranieri e rispedirli da dove sono arrivati anche nel caso siano intenzionati a chiedere asilo.
La norma verrebbe attivata solo qualora le migrazioni minacciassero l’ordine pubblico e la sicurezza dello stato. Il provvedimento avrebbe una durata di sei mesi (con possibilità di proroga) e per metterlo in atto si dovrà raccogliere, di volta in volta, una maggioranza di due terzi in parlamento, mentre per cancellarlo basterà quella semplice. In pratica una sorta di stato d’emergenza che la camera potrà proclamare su proposta del governo nel caso si dovesse riaprire la rotta balcanica o se la pressione dei migranti dovesse diventare troppo alta.
"Urgente e adeguato"
La fredda e poco carismatica ministra dell’Interno Vesna Györkös Žnidar l’ha definita una misura urgente e adeguata, che tiene conto del fatto che la Slovenia confina con paesi sicuri. In sintesi se i migranti si sentono minacciati possono trovare riparo da un'altra parte. Il premier Miro Cerar ha spiegato che la situazione è preoccupante visto che il numero di migranti irregolari è in aumento, che i centri che li ospitano si stanno riempiendo e che starebbero arrivando molti uomini giovani con il rischio sempre maggiore che tra di essi possano infiltrarsi persone pericolose. Per il ministro degli Esteri Karl Erjavec, viste le condizioni internazionali, se c’è da scegliere tra più libertà o più sicurezza non si può optare che per quest’ultima soluzione.
L’idea di approvare simili misure era nell’aria da tempo e se fosse stato per Cerar e per il suo ministro dell’Interno il provvedimento sarebbe già in vigore, ma la legge aveva suscitato polemiche, perché a detta di alcuni non sarebbe stata in linea con il rispetto dei diritti umani. Ora, dopo gli attentati in Germania ed in Turchia e qualche ritocco, gli ultimi dubbi sembrano superati. Nel centrosinistra c’è comunione di vedute. Il governo ha però incassato le critiche dei democratici di Janez Janša, convinti che misure anche più dure avrebbero dovuto essere approvate oramai da tempo, mentre sull’altro versante la sinistra radicale ha annunciato battaglia contro la legge che sarebbe incostituzionale e che violerebbe le convenzioni internazionali; molti dubbi sono emersi anche nell’Alleanza di Alenka Bratušek. La luce verde del parlamento comunque sembra scontata.
L'ennesimo mattone del muro?
Le organizzazioni umanitarie, intanto, hanno parlato di diritti umani dei profughi non rispettati, di assenza di strumenti per opporsi al libero arbitrio della polizia, nonché di un provvedimento che respinge in massa alle frontiere i migranti. L’ufficio del tutore dei diritti dell’uomo ha detto chiaramente di non essere stato consultato in fase di stesura della legge e ha annunciato che se ci saranno violazioni dei diritti dei migranti è intenzionato ad intervenire. Scontato che la legge finisca al vaglio della Corte costituzionale.
Se dovesse ottenere l’avvallo dei giudici - e c’è chi è pronto a scommettere che sarà così - potrebbe essere l’ennesimo mattone nel muro anti-immigrati costruito dalla Slovenia. Cerar e i suoi uomini hanno reso possibile affidare temporaneamente ai militari competenze in materia di tutela dell’ordine pubblico, steso rotoli di nastro spinato ai confini e adesso potrebbero dare alle guardie di frontiera gli strumenti per il respingimento diretto. Provvedimenti questi che difficilmente il centrosinistra avrebbe tollerato se a metterli in atto fosse stato il centrodestra e soprattutto se alla guida del governo ci fosse stato Janez Janša.
Profughi? Pochi
La questione dei migranti, così, continua ad essere al centro del dibattito politico in Slovenia, anche se di profughi in giro per il paese praticamente non se ne vedono. Se si sommano a quelli che hanno ottenuto asilo, quelli che sono in attesa di una risposta o che invece stanno aspettando di venir espulsi siamo più nell’ordine delle centinaia di persone che delle migliaia.
I flussi dallo scorso marzo, quando venne formalmente chiusa la rotta balcanica, si sono praticamente bloccati. La polizia continua a fermare persone che tentano di passare illegalmente, ma i numeri sono tutto sommato limitati. Nel paese comunque ci si mobilita ogniqualvolta gira voce che qualche vecchia struttura potrebbe essere destinata a ospitare i migranti. I politici continuano a ripetere il mantra che la Slovenia rischia di diventare una sacca qualora la rotta balcanica dovesse riaprirsi e l’Austria ed Ungheria decidessero di blindare i confini. L’idea è che, comunque, queste persone al paese non servano e che per risolvere i problemi demografici è meglio incrementare la natalità e magari evitare che gli sloveni vadano in cerca di fortuna all’estero. In ogni modo si è fermamente convinti che si possono accogliere solo le persone che si è in grado di integrare e che se non arrivasse nessuno sarebbe anche meglio.
Tutto sommato l’atteggiamento non è molto diverso da quello degli ungheresi o degli austriaci, ma i toni sono molto più gentili, più morbidi e meno decisi: il filo spinato ai confini è ufficialmente definito “barriera tecnica per regolare il flusso di migranti” e le nuove misure anti-migranti non sono altro che “provvedimenti da adottare in caso di una situazione aggravata”. In fondo la sostanza conta relativamente: l’immagine è tutto.
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