Il primo ministro sloveno, lo scorso martedì, ha incontrato a Kiev il presidente ucraino Zelensky. In Slovenia l'aggressione russa ricorda il 1991: ma è in generale in tutta l'Europa orientale che gli echi della guerra risuonano - più che altrove - sinistri
Quel giovanotto in abbigliamento militare che resiste insieme alla sua gente e non scappa davanti ad un’invasione deve aver riportato Janez Janša alla sua giovinezza. Nel 1991 anche lui stava in mimetica asserragliato a Lubiana, mentre i carri armati dell’esercito jugoslavo sferragliavano per la Slovenia. Janša prima aveva messo in piedi un esercito e poi aveva difeso con le armi la proclamazione dell'indipendenza. I generali jugoslavi pensavano che il popolo li avrebbe accolti a braccia aperte e che gli unici ostacoli alla normalizzazione della repubblica separatista sarebbero state le colonne di traditori delle Patria socialista, guidate dallo stesso Janša e dagli altri leader politici sloveni, in fuga verso l'Austria e l'Italia. La difesa territoriale slovena, invece, alla fine, sconfisse l’Armata popolare jugoslava, che all’epoca era considerata uno dei migliori eserciti in Europa.
Non ha avuto dubbi Janša a schierarsi immediatamente dalla parte del presidente Volodymyr Zelensky e dell’Ucraina. Del resto, la sua esperienza personale gli dice che la volontà di resistere conta più delle forze in campo. Già durante prime ore dopo l’invasone russa, assieme al premier polacco Mateusz Morawiecki, ha invitato il Consiglio europeo a concedere all’Ucraina una prospettiva di adesione a pieno titolo nell’Unione europea. La sua tesi è semplice: se non si allarga l’Unione, se non si ampia lo spazio di libertà e democrazia, questo verrà occupato da altri. Proprio per questo le porte dovrebbero essere aperte per l’Ucraina, ma anche per la Moldavia, la Georgia e per i paesi dei Balcani Occidentali. Il premier sloveno è andato anche oltre ed ha auspicato che venga imposta la “no fly zone” sull’Ucraina.
Al momento dell’attacco russo il Primo ministro sloveno avrebbe dovuto essere proprio a Kiev. La visita all’ultimo momento è stata rimandata, ma Janša non ha rinunciato all'idea di mettere piede nella capitale assediata. Lo ha fatto martedì, assieme ai capi di governo di Polonia e Repubblica ceca. Con Morawiecki e Petr Fiala ha passato il confine di prima mattina e dopo un lungo viaggio in treno è arrivato in serata nella capitale. Lì hanno incontrato Zelensky ed i suoi uomini, che ha detto loro che stanno combattendo per il loro paese, ma anche per difendere l’Europa ed i suoi valori. Un messaggio simbolico importante, visto che Janša sa benissimo quello che avrebbe significato per lui e per gli sloveni, l’arrivo di capi di governo stranieri a Lubiana, mentre i militari jugoslavi stringevano la loro morsa sulla Slovenia.
Una visita che è frutto dell’iniziativa dei tre capi di governo. Si potrebbe dire che l’Est si sta prendendo la scena in questa crisi. Quello che dalle varie capitali della “Nuova Europa” si sta cercando di dire è che del presidente russo Vladimir Putin e di Mosca non ci si può fidare. In sintesi, il messaggio è che le sue mire non si placheranno con l’Ucraina e che se Kiev verrà lasciata al proprio destino poi toccherà ad altri. Anche se nessuno l’ha citato esplicitamente il riferimento sembra essere quello della Conferenza di Monaco e alle origini della Seconda guerra mondiale. È innegabile, comunque, che una serie di politici dell’Est Europa non sembrano aver paura di rischiare l’osso del collo per arrivare a Kiev. Lo ha fatto anche il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis che, sempre martedì, ha incontrato il suo omologo ucraino, Dmytro Kuleba.
Intanto proprio ad Est si sta sviluppando una vera e propria gara di solidarietà per l’accoglienza dei profughi. Nulla di simile si era visto durante la crisi siriana o quella afghana. Il ministro dell’Interno sloveno, Aleš Hojs, nel dire che la Slovenia è disposta a fare la sua parte e ad ospitare un gran numero di profughi, con disarmante sincerità ha spiegato che in questo caso arrivano da un contesto che dal punto di vista culturale, religioso e storico è qualcosa di assolutamente diverso da quello da cui arrivavano gli afghani.
In ogni modo, vista da Est l’azione russa in Ucraina fa paura, perché ricorda le mire egemoniche sovietiche su questa parte d’Europa. Per molti paesi, partendo da Talin e arrivando a Lubiana, l’Unione europea e la Nato non sono altro che una garanzia di sicurezza e stabilità, ma soprattutto la certezza che se attaccati non saranno lasciati soli come sta accadendo all’Ucraina. Gli inviti a Kiev di cedere a Mosca fette consistenti del proprio territorio per cercare di placare Putin risuonano da queste parti ancor più sinistri e fanno tremare i Balcani. Il principio su cui si è basata la dissoluzione della Jugoslavia è stato quello che si sarebbero applicati anche alle frontiere interne gli accordi di Helsinki sull’inviolabilità dei confini in Europa. Se il principio sarà derogato per le zone russofone dell’Ucraina, nuove “grandi speranze” potrebbero aprirsi anche per gli irredentisti del sud est europeo, che mai hanno rinunciato alla speranza di poter riunificare sotto la stessa bandiera le loro minoranze.
Tutti i nostri approfondimenti nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"
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