Alla fine degli anni Ottanta, il settimanale della gioventù slovena Mladina si era imposto come una voce nuova e audace, dando corpo ad aspirazioni democratiche che in quel periodo cominciarono a diffondersi in tutta la Jugoslavia. Ne abbiamo parlato con il giornalista Ali Žerdin
(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans, il 17 luglio 2021)
Qual è la prima cosa a cui pensa quanso viene menzionato il settimanale Mladina?
Penso alla monelleria, alla vivacità. Un giorno, Jože Smole, giornalista, uomo politico ed esponente di spicco del regime comunista jugoslavo, aveva rimproverato alla redazione di Mladina, di cui fu caporedattore durante la Seconda guerra mondiale, di comportarsi come un ragazzino insolente.
Lei ha lavorato per Mladina quando era molto giovane, alla fine degli anni Ottanta. Direbbe di essere ancora un ragazzino insolente?
Immagino di esserlo ancora, un po’, ma a quel tempo lo ero indubbiamente. Al pari di molti dei miei colleghi, nel 1985 ottenni il mio primo incarico da giornalista a Radio Študent, incarico che lasciai quattro anni dopo per unirmi alla redazione di Mladina. All’epoca vigeva una regola non scritta per cui i giornalisti di Mladina, o almeno gran parte di loro, dovevano passare prima da Radio Študent.
I suoi colleghi avevano iniziato a criticare duramente il regime comunista jugoslavo prima ancora che lei arrivasse a Mladina, o sbaglio?
Sarebbe più preciso dire che avevano già rotto molti tabù legati sia al passato, ad esempio a Goli Otok e ai massacri compiuti a guerra finita, sia alla democrazia, le elezioni libere, il sistema monopartitico, la libertà di espressione e manifestazione, i diritti umani, ma anche all’esercito jugoslavo, alla politica del non-allineamento e ad altri assiomi intoccabili.
A quel tempo la questione dell’indipendenza della Slovenia non figurava tra i principali temi trattati da Mladina, ma la redazione del settimanale, che riuniva giornalisti molto giovani – all’epoca tutti avevamo meno di 30 anni – aveva compreso che l’indipendenza poteva diventare una via che portasse verso la democrazia. Tuttavia, il settimanale Mladina non aveva mai promosso alcuna agenda (politica) per un futuro stato sloveno indipendente e questo approccio lo distingueva nettamente dalla rivista Nova Revija che aveva dato priorità alla questione dell’indipendenza.
I due giornali si sostenevano reciprocamente?
Più che altro erano rivali, ma parliamo di una rivalità molto sana, e in tempi difficili seppero sostenersi a vicenda. Questa solidarietà era emersa per la prima volta nel 1987, quando, durante il cosiddetto scandalo dei manifesti, molti collaboratori di Mladina, Nova Revija e Radio Študent, sottoscrissero una petizione intitolata “Appello alla ragione“. Poi nel marzo 1988, alcune persone vicine a Nova Revija e Mladina lanciarono una petizione chiedendo che venisse indetto un referendum su una proposta di riforma costituzionale che mirava a traformare la Jugoslavia in uno stato centralizzato. La petizione raccolse numerose adesioni sia da parte dei rappresentanti delle istituzioni slovene sia di singoli cittadini. Fu in quegli stessi ambienti che nacque l’idea di istituire un Comitato per la difesa dei diritti umani, fondato il 3 giugno 1988 negli uffici di Mladina in via Resljeva 16. Lo statuto del Comitato, scritto dal filosofo Slavoj Žižek, vide tra i firmatari numerose realtà culturali, compresi i giornali Tribuna, Problemi e Časopis za kritiko znanosti [Rivista di critica della scienza].
Come sono riusciti i giornalisti di Mladina a infrangere i tabù nella Jugoslavia della fine degli anni Ottanta?
Appena entravamo in possesso di un’informazione ci affrettavamo a verificarne l’attendibilità e a contestualizzarla. Pubblicavamo articoli ben scritti che richiedevano una lettura approfondita, pensati per quei lettori esigenti che si erano ormai distanziati dall’ideologia socialista e dal progetto jugoslavo, e soprattutto dal partito comunista, mostrando invece grande interesse per la cultura alternativa.
Disponevamo di tempo sufficiente per scrivere bene gli articoli e la tiratura contava molto. Nel 1988 vendevano 50mila copie a settimana e venivamo retribuiti molto bene. Inoltre, i nostri articoli erano sempre accompagnati da stupendi disegni di Tomaž Lavrič, Zoran Smiljanić e altri disegnatori e da splendide fotografie di Tone Stojko. Mladina vantava una fitta rete di collaboratori in tutta la Jugoslavia. Da ogni parte del paese ci pervenivano lettere, telefonate, documenti, dossier riguardanti vari argomenti, come ad esempio il lager di Goli Otok, oppure i servizi segreti jugoslavi.
Al contempo, intrattenevamo stretti rapporti con la diaspora, a prescindere dalle posizioni ideologiche dei suoi membri. La diaspora slovena, ma anche di altri popoli che facevano parte della Jugoslavia, riconobbe in Mladina una realtà che potesse fungere da apripista verso la democrazia e quindi voleva dialogare con noi. In occasione della proclamazione dell’indipendenza della Slovenia e durante la guerra dei dieci giorni che ne seguì, Mladina aveva continuato a perseguire la sua missione giornalistica, rimanendo distanziata dai partiti politici. I giornalisti di Mladina avevano fatto del loro meglio per spiegare quel conflitto ai loro colleghi stranieri, provando al contempo una forte indignazione morale, non riuscendo ad accettare il fatto che il paese venisse distrutto, che le persone venissero uccise.
Quale ruolo ebbe Mladina nel celebre “Processo di Lubliana” del 1988?
Tre dei quattro imputati in quel processo erano direttamente legati a Mladina: Janez Janša, che interveniva occasionalmente sulle pagine del settimanale; il giornalista David Tasić e il caporedattore di Mladina Franci Zavrl. Ivan Borštner, sottotenente dell’Esercito popolare jugoslavo (JNA), aveva consegnato alla redazione di Mladina un documento considerato confidenziale, seppur inizialmente non classificato come tale. Per quel che ne sappiamo, Tasić aveva passato quel documento a Zavrl, il quale poi lo aveva inviato a Janša. Il documento in questione fu di grande interesse per Mladina perché conteneva informazioni secondo cui l’Esercito jugoslavo avrebbe iniziato a sorvegliare strettamente le attività della società civile slovena. Quando i servizi segreti sloveni scoprirono che il settimanale era venuto in possesso di quel documento avviarono un’indagine informale, focalizzandosi su Janša, perché il documento fu trovato da lui. In un secondo momento, i servizi segreti aprirono un’inchiesta ufficiale, trovando lo stesso documento nell’ufficio di Tasić. A tutt’oggi non è ancora chiaro chi avesse messo quel documento sulla scrivania di Tasić che sosteneva di non averne mai fatto alcuna copia.
Janez Janša fu arrestato nella mattina di martedì 31 maggio 1988. Quel giorno Mladina uscì in edicola con un supplemento di alcune decine di pagine in cui la redazione spiegava che i servizi segreti avevano arrestato un collaboratore del settimanale. All’epoca io ero caporedattore di Radio Študent e appena Franci Zavrl mi informò dell’intera vicenda la nostra emittente ne diede notizia. La scena dell’arresto di Janša venne immortalata dal fotografo di Mladina,Tone Stojko, che aveva intuito che qualcosa di strano stesse accadendo nell’ufficio di Janša. Si era nascosto in un edificio vicino e lì scattò la celebre foto. Fu una cosa davvero eccezionale, perché gli arresti di solito avvenivano lontano dagli occhi dell’opinione pubblica.
Quindi, Mladina entrò nella leggenda grazie al “processo contro i quattro“?
Diciamo che il settimanale Mladina divenne un’icona. Se fosse diventato un mito, avrebbe chiuso i battenti. Quell’episodio però contribuì alla trasformazione della personalità di Janša. Al momento dell’arresto Janša era uno sconosciuto, poi col tempo divenne molto popolare, almeno tra i suoi sostenitori.
Prima parlavamo di insolenza, di audacia. Negli anni Ottanta il noto giornalista e fotografo Ivo Štandeker, morto a Sarajevo nel 1992, aveva pubblicato una cartina della Jugoslavia divisa in due blocchi: Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina da una parte, e Montenegro, Serbia e Macedonia dall’altra, accompagnandola con una domanda molto provocatoria: “Davvero volete vivere in un paese così?“. Il suo gesto suscitò forti reazioni, tutti i giornali jugoslavi ne parlarono. I montenegrini persino chiesero di modificare la mappa perché volevano far parte del blocco occidentale.
Lei legge ancora il settimanale Mladina?
Sì.
Pensa che Mladina stia vivendo una fase di declino?
Il settimanale Mladina è diventato, troppo presto, un feroce critico di Janez Janša e quest’ultimo oggi occupa un posto centrale sulle pagine di Mladina. La figura di Janša è diventata una specie di filo rosso che lega tutte le fasi della storia del giornale. Con un tale approccio è impossibile attrarre un vasto pubblico.
Perché Mladina critica così duramente Janša?
Incontrai per la prima volta Janez Janša nel 1986, quando militava nelle fila di un movimento pacifista, battendosi affinché ai testimoni di Geova venisse riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza. All’epoca i testimoni di Geova rischiavano pene detentive molto severe nel caso in cui rifiutassero di prestare servizio militare. Poi negli anni Novanta, da ministro della Difesa, Janša si schierò dalla parte opposta, insistendo affinché l’esercito mantenesse il potere di intervenire nella sfera civile. E questo nonostante già alla fine degli anni Ottanta fosse prevalsa l’idea che l’esercito dovesse limitarsi a difendere lo stato e i suoi confini. È un valore della nostra civiltà che Janša (che ha una personalità complessa e preferisce giocare da solo) non ha mai interiorizzato.
Oggi in molti criticano Janez Janša. Secondo lei, l’attuale primo ministro sloveno possiede qualche caratteristica positiva?
Di tutti gli uomini e le donne attualmente presenti sulla scena politica slovena nessuno padroneggia le tecniche del potere politico meglio di Janša. L’attuale primo ministro capisce bene come funziona il sistema, i suoi strumenti e meccanismi, nonché i principi dell’organizzazione pratica di un partito. Inoltre, Janša conosce e capisce vari aspetti della nostra storia, è sempre pieno di energia e lavora freneticamente. È un personaggio carismatico ed è proprio grazie a questa caratteristica che ad ogni tornata elettorale riesce a conquistare un quarto degli elettori. Non vi è dubbio che Janša ha alcuni meriti “storici“, ma egli tende a considerarli più importanti di quanto non lo siano realmente.
Janša preferisce persone servili o intelligenti?
Si è circondato di persone servili, con capacità inferiori alle sue.
Janez Janša aveva esordito sulla scena pubblica come giornalista. Pensa che l’attuale primo ministro capisca i media contemporanei?
Sì, Janša capisce bene i media, ma li percepisce come uno strumento politico e cerca di impedire loro di perseguire una linea editoriale indipendente. Secondo Janša, i media non possono essere altro che uno strumento nelle mani di un potere, sia che si tratti di uno stato profondo, un’organizzazione politica o grandi aziende.
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