La ricetta è semplice: tagliare sui dipendenti pubblici e inserire in costituzione il pareggio di bilancio. Il nuovo governo sloveno ha presentato le sue ricette anti-crisi. L'opposizione tentenna, ma i sindacati non ci stanno e domani scendono in piazza
La ricetta è semplice: tagliare circa 800 milioni di euro di spesa per portare il deficit di bilancio, che è oltre il sei percento, al tre. Giù le paghe degli statali, tagli allo stato sociale con la riduzione degli assegni famigliari, della maternità, dei bonus per le famiglie numerose, delle sovvenzioni per gli asili, degli indennizzi di disoccupazione ed altro ancora. Sforbiciate consistenti anche a scuola ed università e soprattutto razionalizzazione nell’amministrazione pubblica, con tanto di licenziamenti.
Provvedimenti indispensabili, dice il governo, per salvare la Slovenia dalla catastrofe e dal commissariamento europeo. Per i sindacati simili misure basterebbero a salvare “tre volte la Grecia” e così mercoledì è stato indetto lo sciopero generale del settore pubblico.
Una mossa ingiustificata, precisano dall’esecutivo, perché la trattativa è ancora in corso ed i provvedimenti non sono pertanto definitivi; sta di fatto, però, che sono stati spediti in parlamento, che dovrebbe approvarli entro gli inizi di maggio, prima dell’arrivo di una missione europea incaricata di controllare i conti sloveni. Fino ad allora ci sarebbe tempo per discutere.
La prima della classe
La Slovenia, come tradizione, dimostra di voler essere la prima della classe e come se ciò non bastasse il parlamento, con un consenso pressoché generale, ha avviato l’iter per modificare la costituzione ed introdurre la regola aurea, che imporrà al Paese di mantenere in equilibrio entrate ed uscite. In questo caso l’opposizione di centrosinistra, pur manifestando qualche perplessità, non ha mancato di tendere una mano al governo, che aveva bisogno dei suoi voti per poter avviare il procedimento. L’iter di approvazione definitiva non sarà velocissimo e ci sarà ancora tempo per poter cambiare idea.
Il provvedimento secondo i suoi detrattori non servirà tanto a migliorare il rating del Paese sui mercati, ma piuttosto a bloccare possibili referendum sui tagli della spesa pubblica. Del resto i sindacati hanno già ventilato l’idea che se la manovra fosse approvata potrebbero ricorrere proprio al referendum per farla bocciare dai cittadini.
Proprio i sindacati sono stati accusati di essere fuori dal mondo e di non rendersi conto della realtà. Oramai da tempo si ripete che in Slovenia il “settore produttivo” ha pagato pesantemente la crisi, con licenziamenti e riduzioni di stipendi, mentre i dipendenti pubblici, fin ora, hanno potuto godere dei loro privilegi e della sicurezza del loro posto di lavoro.
La scure sui dipendenti pubblici?
Più di qualcuno crede che sia giusto che anche loro comincino a pagare. Del resto uno dei detti più popolari nel Paese recita: “Che al vicino crepi la vacca”. Un modo di dire malaugurate e sostanzialmente più cattivo della sua versione italiana: “Mal comune mezzo gaudio”. Al di là di ciò però non mancano, anche tra gli economisti, perplessità per i radicali interventi proposti dall’esecutivo.
Comunque nel Paese c’è paura ed incertezza per il futuro. Per ora a pagare sono stati i precari che lavoravano nel settore pubblico. Il governo, infatti, ha bloccato, sino a nuovo ordine, il rinnovo di alcuni tipi di contratti e delle consulenze. Il provvedimento ha colpito i ministeri, ma soprattutto il mondo della cultura e la RTV di Slovenia, che ha già dovuto cancellare alcune trasmissioni, tra cui anche quelle destinate alla minoranza slovena in Italia.
Per il direttore del settimanale Mladina, Grega Repovž, che tira un parallelo con la situazione in Ungheria, all'ombra dei provvedimenti anticrisi è in atto una vera "guerra culturale". Del resto in questi primi mesi di governo Janša non sono mancate defenestrazioni ed avvicendamenti dal chiaro connotato politico, mentre la maggioranza ha anche chiesto le dimissioni di uno dei principali organismi di controllo della RTV.
Ricette neoliberiste
Quello che al momento appare chiaro è che il governo sta cercando di mettere in atto una serie di ricette neoliberiste. Un simile programma aveva caratterizzato anche la primissima fase del precedente governo Janša, ma il proposito era stato abbandonato in fretta e furia di fronte ai primi accenni di protesta.
Questa volta la cose sono diverse. Il primo ministro ha una maggioranza tutt’altro che granitica e uno dei fondatori della Lista Virant, Rado Pezdir, non ha fatto mistero che lo scopo del movimento, oggi indispensabile per la stabilità del governo, era quello di portare al ministero delle finanze Janez Šušteršič. Il suo compito sarebbe di mettere in atto nel Paese proprio quelle riforme liberiste che nel 2004 erano fallite.
La crisi, i moniti che arrivano da Bruxelles e che chiedono rigore nella spesa pubblica, gli appelli degli industriali per far ridurre le spese, l’idea che la Slovenia sia sull’orlo del fallimento, del resto, sono la situazione ideale per iniziare a cambiare radicalmente un Paese dove le differenze sociali sono minime e dove i poveri non sono tanto poveri ed i ricchi non sono tanto ricchi.
Con una sonnacchiosa opposizione di centrosinistra, pronta a correre in soccorso al governo, l’unica vera opposizione sembra essere quella dei sindacati del pubblico impiego. Per loro lo sciopero di mercoledì sarà un banco di prova importantissimo.
Per suo leader Branimir Štrulekj con la riduzione degli stipendi ed i licenziamenti la Slovenia si collocherebbe a fianco di Grecia, Romania e Bulgaria e constata che in occidente invece ci sarebbe la volontà di colpire meno brutalmente il livello di vita delle persone. Štrulekj , che parla di modelli da shock economy applicati alla Slovenia la maggior parte degli indicatori macroeconomici del Paese sono nella media europea, mentre il debito pubblico e la disoccupazione sono addirittura sotto la media.
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