Il 2022 in Slovenia sarà un anno di elezioni: amministrative, politiche e presidenziali. L’appuntamento più importante è fissato per il 24 aprile, quando gli elettori saranno chiamati a scegliere il nuovo parlamento
Elezioni politiche, elezioni amministrative ed elezioni presidenziali. I cittadini sloveni in pochi mesi si recheranno tre volte alle urne per decidere dove portare il paese nel prossimo futuro. Da una parte la via ungherese tracciata dal premier Janez Janša, dall’altra le vecchie lobby di potere politico ed economico che hanno gestito quasi ininterrottamente la Slovenia dall’indipendenza in qua. Intanto i contendenti affilano le armi e quella che si delinea all’orizzonte sembra una vera e propria sfida all’OK Corral.
L’appuntamento più importante è fissato per il 24 aprile, quando gli elettori saranno chiamati a scegliere il nuovo parlamento. Sino a pochi mesi fa quella che si delineava era una marcia trionfale per il centrosinistra. I sondaggi davano nettamente in testa i partiti della coalizione antijanša. Nelle ultime settimane invece tutto si sta facendo più complicato. Sulla scena stanno spuntando nuove formazioni politiche, che potrebbero contribuire a rimescolare le carte. Così alle urne ci potrebbe essere una battaglia all’ultimo voto.
Il centrosinistra, come è sempre accaduto nelle scorse tornate elettorali, sta puntando sull’ennesimo volto nuovo. Ancora una volta si tratta di un manager defenestrato. Robert Golob, sino a ieri a capo della GEN-I, un colosso della distribuzione elettro energetica, viene oramai presentato come il potenziale salvatore della patria. Per ora non ha ancora un partito e nemmeno un programma elettorale, ma in passato ciò non ha impedito a Zoran Janković, Miro Cerar e Marjan Šarec di fare il pieno di voti. La cosa non sta entusiasmando gli altri leader del centrosinistra. Tanja Fajon, Marjan Šarec, Alenka Bratušek e Luka Mesec erano convinti di potersi giocare tra loro la poltrona di premier. Intanto, in soccorso al centrosinistra sta arrivando anche la “società civile”. L’”Istituto 8 marzo”, che era tra quelli che hanno promosso il referendum vincente sull’acqua, ha annunciato una legge di iniziativa popolare per cancellare tutti i provvedimenti “dannosi” del governo Janša, con l’intento di “resettare” il paese con la nuova legislatura. L’obbiettivo è quello di raccogliere 60.000 firme per cassare le nuove riforme su scuola, polizia, trasporti ed in materia ambientale. Una iniziativa che dovrebbe servire a mobilitare le persone ed a farle andare alle urne. L’appello lanciato è quello di votare tutti i partiti che si impegneranno a non collaborare con i Democratici e con Nuova Slovenia. Il modello oramai sembra essere quello del “Fronte Popolare”, lo stesso utilizzato per le elezioni del prossimo aprile anche dall’opposizione ungherese per provare a scardinare Orban e già utilizzato in Russia contro Putin.
La cosa ha suscitato un certo nervosismo nel centrodestra che ha reagito all’iniziativa sostenendo che in caso di vittoria del centrosinistra i cittadini saranno costretti a restituire i cospicui ristori concessi dallo stato durante l’emergenza Covid. Proprio la strategia degli aiuti a pioggia sembra, infatti, aver ridato speranza al centrodestra. A beneficiarne, in termini di consensi, non tanto i Democratici del premier Janes Janša, ma piuttosto i suoi alleati, con in testa il ministro dell’Economia Zdravko Počivalšek, arcigno difensore di artigiani, piccoli imprenditori, proprietari di bar e di altri esercizi commerciali. È stato lui ad opporsi alle chiusure per far fronte all’emergenza virus. Ora sta dando vita ad una nuova formazione politica che ha l’intento di “unire la Slovenia”. Il proposito è far scendere in campo in ogni circoscrizione volti noti a livello locale per fare incetta di consensi e fare entrare la sua nuova alleanza in parlamento. Ad un simile progetto sta lavorando anche l’ex leader del Partito dei pensionati; Aleksandra Pivec. La loro retorica è quella classica dell’antipolitica con il rifiuto di sovrastrutture ideologiche e con l’intento dichiarato di fare i non meglio precisati “interessi della gente”. Potrebbero essere i tasselli fondamentali per consentire a Janša di rimanere al governo.
In un equilibrio che potrebbe essere perfetto, intanto, cominciano a pesare anche i due seggi (su novanta), che in Slovenia sono riservati per le minoranze italiana ed ungherese. I due deputati in questi mesi sono stati fondamentali per la tenuta dell’esecutivo di centrodestra. In cambio hanno ottenuto cose per le loro comunità che mai erano state concesse prima. Sono stati subissati dalle critiche del centrosinistra e lo scontro politico nazionale potrebbe coinvolgere anche quelle che sono state quasi sempre “invisibili” minoranze.
Intanto sono in fermento anche gli oltre 200 comuni, dove in autunno si sceglieranno le nuove amministrazioni locali. In un paese dove non esiste un limite di mandato per l’incarico di sindaco molti scontri andranno in scena tra gli sceriffi locali e i loro contendenti. Qui le logiche nazionali spesso non contano visto che da molti mandati a prevalere sono oramai sempre più spesso i candidati di liste civiche.
Sempre in autunno sono in programma anche le presidenziali. Il capo dello Stato uscente, Borut Pahor, ha esaurito i suoi due mandati. Dopo aver fatto il politico per tutta la vita dovrà cercarsi un nuovo lavoro. Proprio alla vigilia della sua elezione sono stati infatti ridotti i benefit per gli ex presidenti, che potevano godere di uno stipendio e di un ufficio per i successivi 5 anni. Ora tutto è ridotto ad un solo anno. 10 anni fa, Pahor, venne eletto grazie ad una intesa informale tra Socialdemocratici e Democratici e ad una campagna elettorale all’insegna dell’antipolitica, dove quello che era stato un giovane quadro di luminose prospettive della Lega dei comunisti, si era tolto la giacca e la cravatta per vestire i panni di spazzino, stradino, macellaio e molto altro ancora, inaugurando il nuovo corso populista della politica slovena.
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