In autunno si voterà per le presidenziali. Già partita l'isteria nel campo del centro-sinistra che, ciononostante, ha sempre visto suoi rappresentanti a ricoprire la carica più prestigiosa - ma senza poteri - del paese
A livello macroscopico la scena politica slovena non sembra uscire mai dai soliti cliché. Le presidenziali in programma questo autunno non dovrebbero essere altro che la trita e ritrita riproposizione dello scontro tra centrodestra e centrosinistra. L’appuntamento elettorale segna, però, un'altra tappa dell’ennesima crisi del centrosinistra spaccato dalle smanie di potere e incapace di trovare un collante diverso dall’antijanšismo.
Nonostante l’elezione diretta del capo dello stato, in Slovenia la carica è meramente rappresentativa e senza poteri reali. Il presidente indìce le elezioni e nomina e revoca gli ambasciatori. Dopo le politiche e dopo le crisi di governo però non assegna nemmeno l’incarico di formare il nuovo governo, ma semplicemente propone un suo nome al parlamento; poi i deputati possono anche fare di testa loro.
Le sue prerogative sono frutto di una costituzione nata durante il processo di indipendenza dove una maggioranza di centrodestra non voleva dare troppo spazio a Milan Kučan, l'ex leader comunista, diventato il primo “presidente della presidenza” democraticamente eletto e poi riconfermato a larga maggioranza ai vertici dello stato per altre due volte. Ad occupare il prestigioso scranno per ora sono stati solo socialdemocratici e liberali mentre spesso il centrodestra non è nemmeno riuscito a portare il proprio candidato al ballottaggio. Dopo Kučan l'incarico è andato a Janez Drnovšek, Danilo Türk e Borut Pahor. In Slovenia in sostanza il presidente è stato pensato soprattutto come un’autorità morale, almeno sinché non è arrivato sulla scena Pahor che a più riprese ha detto di voler rifiutare questo ruolo, cercando di presentarsi come un uomo del popolo. Proprio per questo spesso ha taciuto quando avrebbe dovuto parlare ed ha parlato quando invece avrebbe dovuto tacere. Proprio la sua elezione nel 2012, da parte di alcuni, è stata considerata come una vittoria del centrodestra o almeno come quella di una strana alleanza tra conservatori e socialdemocratici per far fuori un presidente liberale come Danilo Türk.
A giocarsi la successione di Pahor, secondo i sondaggi, saranno Nataša Pirc Musar e Anže Logar. I due sono accreditati rispettivamente del 31% e del 24% dei consensi. Tutta l’altra caterva di potenziali (e a volte improbabili) candidati non superano invece il 4%. Il primo turno è in programma il 23 ottobre, il ballottaggio invece è in agenda tre settimane più tardi. Le carte comunque potranno essere rimescolate almeno fino a fine settembre quando scadranno i termini per la consegna delle candidature.
Come al solito gli unici a non essere in difficoltà sono i democratici, che rispetto alle altre forze politiche hanno almeno dimostrato di avere subito un candidato da gettare nell’arena. Janez Janša ha fatto scendere in campo uno dei suoi uomini migliori e più presentabili, l'ex ministro degli Esteri Anže Logar. Sostanzialmente passa per un quarantenne efficiente, che è cresciuto nel corso degli anni e che ha sempre saputo fare bene il suo lavoro. Uno che comunque, rispetto ad altri brillanti giovanotti, che hanno fatto un tratto di strada insieme a Janša, per ora, è riuscito a non farsi cacciare inimicandosi il padre padrone del partito. Formalmente correrà da indipendente con le firme degli elettori.
Molto più complicato, invece, il panorama nel centrosinistra, dove ancora una volta tutti sembrano procedere in ordine sparso nel marasma generale. I primi a rompere gli indugi, dopo lo strabiliante successo ottenuto alle elezioni politiche, sono stati quelli di Movimento Libertà del premier Robert Golob, che hanno cercato di mettere in campo Marta Kos, dinamica portavoce del governo Drnovšek e già ambasciatrice slovena in Germania e Svizzera. Quest'ultima però si è ritirata ancor prima di cominciare quando i sondaggi oramai dicevano che la sua non sarebbe stata altro che la cronaca di una sconfitta annunciata. Eppure era scesa in campo con la prospettiva di una facile vittoria. Movimento Libertà pensava di riuscire a far convogliare sulla Kos anche i consensi delle altre forze di governo o comunque di portarla al secondo turno per poi far convergere su di lei tutti i voti del centrosinistra. Non aveva fatto i conti con le logiche interne del suo stesso schieramento, che come al solito prima pesca dal cilindro un utile idiota per battere Janša e poi con convinzione comincia sin dal giorno successivo a minarlo. Non è un caso quindi che siano state proprio due importanti figure del centrosinistra, gli ex presidenti della repubblica Milan Kučan e Danilo Türk, ad appoggiare la candidatura di Nataša Pirc Musar e sostanzialmente a mettere all’angolo la Kos. Nel farlo Kučan ha rimarcato che non sarebbe un bene per la democrazia se le tre più alte cariche dello stato (quella di presidente della repubblica, di premier e di presidente del parlamento) fossero nelle mani dello stesso partito.
La discesa in campo della Pirc Musar, perciò, più che il risultato di un accorto progetto politico sembra essere il prodotto della sua ambizione personale e dell’intento della nomenklatura del centrosinistra di far capire a Golob che non è lui che comanda in Slovenia. La Pirc Musar, salita alla ribalta prima come conduttrice televisiva, poi come garante della privacy ed infine come avvocato di successo, del resto, non pare rispondere a logiche di partito o di coalizione. È stata avvocato di Melania Trump in Slovenia, campionessa slovena di bowling, è nota per essere una appassionata motocilista e tra le curiosità va aggiunto che nel suo garage di famiglia c’è anche una Rolls Royce Phamton del 1971, commissionata all’epoca per una dei rampolli della famiglia reale britannica.
Per sperare di diventare presidente la Pirc Musar dovrà contare sul fatto che gli elettori ancora una volta più che per lei vadano a votare contro il candidato di Janša. L'operazione per ora è sempre riuscita, ma non potrà funzionare all’infinito. Intanto chi sembra non giocare nemmeno la partita sono i partiti della coalizione di governo che si stanno dimostrando incapaci di trovare un candidato unitario. Del resto la socialdemocratica Tanja Fajon, il leader della Sinistra, Luka Mesec e Robert Golob di Movimento Libertà sono molto più bravi a sorridere in televisione e a fare roboanti proclami sui giornali che a imprimere una svolta nella loro azione politica per liberarsi delle vecchie eminenze grigie e “carismatiche” figure che dietro le quinte continuano a dettare i tempi del centrosinistra.
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