Come è evoluto, dagli anni '90 ad oggi il giornalismo nello stato che non esiste? Un incontro con Nikolaj Kuzmin, giornalista ed attivista di ILC Apriori di Tiraspol, spazio di assistenza legale e promozione dei diritti umani
Da un anno a questa parte a Tiraspol, capitale dello stato indipendente de facto della Transnistria, hanno inaugurato un ufficio del turismo, in cui è possibile ricevere consigli su cosa visitare al di là del Nistru nonché acquistare – come ti dicono gentilmente le dipendenti - "dei souvenir dal paese che non esiste". A novembre dello scorso anno, tra l'altro, sono stati siglati alcuni accordi di collaborazione con la sponda moldava, che dovrebbero consentire una maggiore distensione su alcuni fronti caldi quali educazione e telecomunicazioni.
È segno di una maggiore apertura della regione verso l'esterno? Si stanno creando inediti spiragli di libertà per la popolazione? La realtà è che in una situazione di conflitto congelato da più di vent'anni, anche la società civile risulta spesso ostacolata a muoversi e cambiare. Le analisi rivelano come, in particolare nel campo dell'informazione, si replichino consuete prassi di controllo e (auto-)censura.
Nikolaj Kuzmin, giovane giornalista che lavora presso il ILC Apriori di Tiraspol (spazio di assistenza legale e promozione dei diritti umani), prova a fare un po' il punto della situazione con noi. Cercando di leggere, nelle dinamiche del passato, anche possibili evoluzioni future.
Ci potresti descrivere, a grandi linee, come si è evoluta la situazione del giornalismo in Transnistria dal conflitto degli anni ‘90 fino a oggi?
Premetto che faccio parte di questo ambiente da poco, per cui la mia è inevitabilmente una prospettiva parziale. Tuttavia, possiamo dire che dalla fine del conflitto fra Moldavia e Transnistria, anzi sin dal crollo dell’Unione Sovietica del 1991, i giornali e le pubblicazioni presenti sul territorio hanno cominciato a dividersi in due fronti (com’era logico, in un certo senso). Il primo fronte sosteneva la Transnistria, il secondo si schierava invece con la Moldavia. E, ben presto, questo secondo fronte si è trasferito completamente al di là del Nistru, sul territorio controllato dal governo di Chişinău. Non c’era d’altronde motivo per restare: il suo pubblico si trovava in Moldavia, non qua, e inoltre la loro presa di posizione poteva risultare pericolosa.
Dunque fin da subito si è creata una situazione in cui praticamente tutti i giornalisti e le redazioni in Transnistria erano favorevoli al potere che si veniva formando. Ma, verso la fine degli anni ‘90, è emersa anche una tendenza diversa: questi giornalisti diventavano sempre più insoddisfatti e scontenti del modo in cui il potere si era infine stabilizzato. Era ormai chiaro che Smirnov avrebbe mantenuto saldo il suo controllo, e pochi altri candidati credibili apparivano all’orizzonte. Tuttavia, in quel momento cambiava anche l’atteggiamento generale della popolazione verso il giornalismo e i giornalisti: si tendeva a percepire questi ultimi come parte della stessa “casta”, della stesso “torbido ambiente”. Qualcosa di simile avveniva in tutto lo spazio post-sovietico. Perché è avvenuto anche in Transnistria? Mi sembra che il motivo sia semplice: i giornalisti sostanzialmente si conoscevano tutti fra loro.
Guardiamo al panorama odierno: c’è il giornale Chjelovjek i jego prava, il cui direttore è Nikolaj Buchatskij; c’è Dnester-TV, il cui direttore è Grigorij Volovoj; infine, c’è Pravda Pridnjestrovja, guidato da Nadjezhda Bondarjenko. Cosa succede? Succede che a volte il primo parla male del secondo, che a sua volta parla male della terza, o viceversa e così via, in una serie di scambi poco costruttivi. Il fatto è che prima questi tre giornalisti lavoravano per lo stesso giornale. In generale, come dicevo, le figure nel campo dell’informazione qui in Transnistria si conoscono in maniera molto stretta e ciò amplifica l’impressione che l’informazione sia un “affare sporco”.
Se invece parliamo dei giovani, di chi magari si avvicina ora alla professione, prevale la convinzione che quello del giornalista sia semplicemente un lavoro come altri. Nessuna “etica” o “fedeltà ai fatti”, solo devi portare a termine quello che ti viene chiesto. Inizio quasi quasi a pensarla così anch’io...
Che ruolo ha invece il web? Pensi ci sia libertà di espressione su internet?
Direi di sì, in linea di massima. Tuttavia, alcuni fatti avvenuti recentemente indicano come potrebbe non essere più così nel prossimo futuro. Per esempio, qualche tempo fa un post pubblicato da Nadjezhda Bondarjenko sul suo profilo Facebook è stato accusato dalle autorità di essere oltraggioso nei confronti del nostro ministro dell’Interno. Oppure, Dnester-TV di Grigorij Volovoj il quale, per mantenere l'indipendenza del suo canale, ha deciso di tramutarlo di fatto in un blog, evitando di registrarlo come mezzo di comunicazione di massa ufficiale (ed essere quindi maggiormente sottoposto al controllo delle autorità) come gli era stato chiesto.
Per sua stessa ammissione, esistono diversi metodi per sfuggire alla censura o al controllo delle autorità su internet. Però, come dimostrano gli esempi precedenti, esiste una tendenza a censurare anche il web. Potrebbe trattarsi di azioni isolate, come è accaduto nel 2013 quando c’è stato un improvviso blocco di vari siti e forum. Ma potrebbe anche trattarsi di una prassi che diventerà sempre più frequente. Soprattutto ora, che il potere transnistriano è praticamente in mano alla holding Sheriff. E, tra l’altro, il maggiore provider della Transnistria è la compagnia IDC, che appartiene appunto alla Sheriff. Sappiamo che nel 2013 agenti del KGB si sono recati proprio dalla IDC, facendo pressione affinché bloccassero alcuni siti e forum.
In generale, direi che in Transnistria sul web è molto forte il fenomeno cosiddetto delle filter-bubble. In particolare, su Facebook ci sono due gruppi, uno che sembra essere generalmente a favore della Sheriff e del suo potere e l'altro apparentemente più a sostegno di Yevgeny Shevchuk (il presidente eletto dopo Smirnov, NdR): le discussioni sono veramente fini a se stesse e non c’è reale interazione.
Cosa pensi del modo in cui la stampa internazionale si occupa della Transnistria?
Questa è una mia opinione molto personale. Credo che la maggior parte dei mezzi di informazione stranieri si occupano della Transnistria attraverso la collaborazione con dei freelance. Molto spesso, i freelance che provengono da questa zona sono giornalisti che sono stati licenziati o non sono riusciti a collocarsi professionalmente qui. L’unica opzione che gli rimane è dunque quella di collaborare con giornali o pubblicazioni straniere, appunto. Ciò li porta magari a esprimere, tra le righe, degli insulti velati verso questa regione. Mi sembra che spesso la situazione in Transnistria venga esagerata in senso negativo, sia dipinta il più delle volte in modo grottesco…
Viceversa, se prendiamo alcune pubblicazioni dei paesi vicini a est, come Russia e Ucraina, la situazione diventa molto strana. In Russia esiste la pubblicazione Regnum per cui scrive spesso Andrei Safonov, un nostro ex-deputato, mentre in Ucraina molti mezzi di informazione sono schierati contro il Maidan. La loro posizione sulla Transnisitra è la seguente: sono molto contenti che esista, perché si tratta dell'ultimo avamposto in occidente a difesa del “mondo russo”; quindi sì, è vero che magari gli abitanti della Transnistria soffrono e hanno dei problemi, ma questo succede per una giusta causa.
Devo dire, però, che esiste un portale moldavo che apprezzo parecchio. Newsmaker si occupa della Transnistria in maniera equilibrata, senza utilizzare termini esagerati e propagandistici ma provando semplicemente a mettere in luce cosa succede in questa regione. Olga Gnatkova, giornalista di Newsmaker, ci raccontava di come questo sia inviso a tanti altri mezzi di informazione moldavi, che invece si riferiscono a quest'area ponendo sempre l'accento sulla sua natura “separatista”.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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