L’agenzia di stampa turca indipendente Bianet ha parlato con alcuni dei rifugiati che da Istanbul si stanno dirigendo verso le province di confine con la speranza di entrare in Europa. Le loro voci
(Originariamente pubblicato da Bianet il 2 marzo 2020)
Dopo che venerdì 27 febbraio la Turchia ha annunciato che non cercherà più di impedire ai rifugiati presenti nel paese di raggiungere l'Europa, migliaia di loro si stanno dirigendo verso le province di confine e costiere per entrare in Grecia.
Autobus che partono dal distretto di Zeytinburnu di Istanbul portano ogni giorno rifugiati al confine nord-occidentale, nella provincia di Edirne. I rifugiati si radunano nella zona di Zeytinburnu tra la stazione e la sede della polizia locale e aspettano gli autobus.
Un autista di autobus, Orhan B., racconta a Bianet: "Prendiamo i rifugiati che si radunano qui e li portiamo al confine. Poi torniamo a Istanbul e partiamo di nuovo per Edirne".
“Voglio andare in Germania”
Fershad Daveri, un rifugiato afgano, racconta che chi è andato a Edirne venerdì mattina non ha pagato e che le associazioni di rifugiati aprono la strada a quelli che vogliono lasciare la Turchia.
"Sono passati cinque anni da quando sono arrivato in Turchia. Abbiamo ricevuto il messaggio che le frontiere sono state aperte. Abbiamo vissuto qui per cinque anni e non è mai successo nulla. 'Dovremmo andarcene', così abbiamo pensato", spiega.
"Le associazioni organizzavano gli autobus al mattino, portavano la gente al confine gratuitamente. Ma ora ci chiedono 150 lire [circa 22 euro]. Non sappiamo dove ci lasceranno. Gli autisti hanno detto che ci porteranno fino al confine, fino al cancello. Dopo di che ci avrebbero dato indicazioni. Hanno detto: ‘C'è la polizia’. Voglio andare in Germania. Ho dei parenti lì".
“Ho lasciato il mio lavoro per partire”
Abdullah Safi, un altro rifugiato afgano di 22 anni, dice di essere arrivato in Turchia sei anni e mezzo fa attraverso l'Iran.
"Da quando sono arrivato qui ho sempre voluto andare in Europa, ma non avevo i soldi. Qui gli stipendi sono bassi, è difficile vivere. Raccogliere soldi richiede tempo”.
"C'è un gruppo del consolato. Gli impiegati hanno pubblicato un messaggio la mattina, dicendo: 'Lo stato ha aperto le frontiere. Chi vuole andare, potrà andare, chi vuole restare, potrà restare'.
Io ero un fornaio qui. Il mio stipendio era tra le 700 e le 800 lire alla settimana [100-120 euro circa]. Abbiamo visto che tutto si è sbloccato, lo stato ha aperto le frontiere e noi siamo venuti. Tutti si sono informati. Abbiamo anche lasciato il lavoro. I nostri soldi sono rimasti nei posti dove lavoravamo”.
"Da quando sono venuto, ho conosciuto sia buone che cattive persone. Non mi hanno pagato, sono stati ingiusti con me molte volte. Ora le mie 1.800 lire sono rimaste dov’ero. Non solo a me, a tutti sono successe cose simili. Sono rimasti anche i soldi dei miei amici che se ne sono andati. Tutti pensano: ‘Dovrei solo andarmene’. Non abbiamo nemmeno portato con noi degli effetti personali, solo una piccola borsa e pochi soldi. Ho lasciato tutto. Vorrei andarmene e basta.”
"Mentre ai miei amici siriani è stata concessa la cittadinanza, a noi non è stata concessa. Abbiamo un sacco di problemi. Ora voglio andare in Francia o in Germania. Una volta attraversato il confine, vedremo cosa ci aspetta".
“Ci avevano detto che era gratis”
Anche Muhammedi Asker, venuto dall'Iran quattro anni fa, ha lasciato il suo lavoro per andare in Europa: "Non c’è lavoro in Turchia che non abbia fatto. Mi è stato proibito di lavorare in Iran, è stato difficile. Lo stato ci stava causando problemi. Sono venuto in Turchia e ora lascio il mio lavoro e vado in Europa. Andrò in Germania e poi in Inghilterra”.
"Le frontiere erano rimaste chiuse fino ad ora, ma ora lo stato le ha aperte. Vogliamo solo una vita migliore. Ci hanno detto che era gratis, ma ora gli autisti vogliono soldi da noi. Vogliono 150 lire a persona. Ci porteranno a Edirne".
“Voglio che i miei figli siano salvi”
Muhammad e Şerife Özbek, una coppia sposata con due figli che è venuta in Turchia circa un anno fa, dicono che hanno avuto molti problemi, non hanno potuto trovare un lavoro e non hanno potuto beneficiare degli ospedali in Turchia.
"Con i bambini, siamo venuti in quattro persone. La mia vita era in pericolo in Afghanistan. La famiglia di mia moglie voleva uccidermi. Prima sono andato in Arabia Saudita, ma mi hanno estradato. Poi sono andato in Iran e poi in Turchia. Appena arrivati, abbiamo fatto domanda di asilo, ma i nostri documenti sono in attesa ormai da un anno e mezzo".
"In questo periodo mi sono ammalato al piede. Sono andato in ospedale ma non mi hanno curato perché non avevo documenti. I miei figli si sono ammalati, non li hanno neanche visitati. Io non sono andato a scuola. Ma ho due figli e voglio che loro vadano a scuola. Non voglio nient'altro al mondo se non che si sentano a loro agio. Me ne andrò quando la strada sarà aperta. Non importa dove, voglio che i miei figli siano al sicuro".
“Se non posso attraversare il confine, cercherò un lavoro qui a Istanbul”
Sebghatullah Amani (21 anni), originario dell'Afghanistan, racconta di vivere a Istanbul da circa tre anni: "Io vengo dall'Afghanistan. Sono arrivato attraverso l'Iran. Sono stato Istanbul per circa tre anni. Ora hanno detto: 'Il confine è aperto'. Quando è arrivata la notizia, mi sono messo in viaggio. In Grecia e Germania, ci arriverò quando ci arriverò".
"Abbiamo lasciato l'Afghanistan perché c'è la guerra, ci sono problemi. Qui ho trovato conforto, ma ora avrò una vita migliore in Germania. Perché qui è tutto difficile. Non c'è lavoro, vogliono l'assicurazione e non mi assumono perché non ho documenti".
"Se non posso attraversare il confine, tornerò a Istanbul e cercherò un lavoro. Sono comunque disoccupato da qualche mese. Prima lavoravo in un ristorante a Çağlayan. Quindi non cambierà nulla nella mia vita".
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