Arrestati ieri in Turchia direttore e capoufficio di Ankara del quotidiano Cumhuriyet, accusati di spionaggio e depistaggio sulle armi spedite in Siria. La denuncia è arrivata dal presidente Erdoğan in persona
Can Dündar, direttore del quotidiano Cumhuriyet è stato arrestato ieri dalle autorità turche insieme ad Erdem Gül, capo della redazione di Ankara dello stesso giornale. I due sono stati fermati con l'accusa di aver divulgato lo scorso maggio notizie sul sequestro e la perquisizione di alcuni camion appartenenti ai servizi segreti turchi (MIT) carichi di armi e diretti in Siria.
L'accusa a carico dei due giornalisti è di spionaggio politico e militare, divulgazione di informazioni coperte da segreto di stato e propaganda a favore di organizzazioni terroristiche, più precisamente quella che fa capo al predicatore islamico Fetullah Gülen. Esule da anni negli Stati Uniti, Gülen è stato un tempo alleato del presidente Recep Tayyip Erdoğan, ma oggi è accusato di essere l'architetto del cosiddetto “stato parallelo” contro cui le operazioni di polizia si contano ormai a centinaia.
In particolare, i giornalisti di Cumhuriyet sono accusati di aver costruito notizie false attraverso informazioni ricevute dall'organizzazione di Gülen, allo scopo di dare un'immagine della Turchia come collaboratrice di gruppi terroristi.
L'arresto è l'esito di un'indagine lanciata a fine maggio scorso, quando Cumhuriyet aveva pubblicato un articolo dal titolo “Ecco le armi che Erdoğan sostiene non esistano”, in cui si rendeva pubblico il sequestro, avvenuto nel gennaio 2014 da parte della polizia, di tre camion carichi di armi nascoste sotto casse di medicinali diretti in Siria. L'arsenale includeva munizioni per artiglieria e mitragliatrici, colpi di mortaio e munizioni per contraerea, contenuti in casse con scritte in cirillico e partite dall'aeroporto Esenboga di Ankara.
L'operazione di polizia, avviata da una soffiata ricevuta dal procuratore generale di Adana che aveva quindi autorizzato le indagini ed il sequestro, rischiava di porre nuovamente la Turchia sul banco degli imputati per l'atteggiamento ambiguo nei confronti dello scenario siriano e dei gruppi armati che vi combattono. Non è mai stato chiarito a chi fosse destinato il carico di armi.
La circolazione della notizia sui media nazionali era poi stata immediatamente bloccata da un'ordinanza del tribunale di Adana, che aveva disposto il bando di ogni materiale scritto, audio video e online sulla perquisizione dei camion, mentre i contenuti già online venivano cancellati.
Erdoğan stesso aveva commentato l'episodio sostenendo che i responsabili della divulgazione avrebbero pagato un prezzo salato. Il presidente turco aveva sporto personale denuncia contro Dündar, chiedendone due ergastoli più 42 anni di carcere per aver minato gli interessi dello stato attraverso l'uso di falso materiale giornalistico.
Dopo il blocco delle indagini e la restituzione dei camion al personale del MIT, grazie all'intervento diretto del governatore di Adana, diversi membri ed ufficiali delle forze di polizia erano stati posti in stato di accusa ed espulsi. Durante la propria deposizione, l'autista Murat Kislakci dichiarò che per diverso tempo aveva guidato camion da Ankara alla cittadina di Reyhanli, sul confine turco-siriano, e che sapeva perfettamente di lavorare per il MIT. L'avvocato Hasan Tok, legale rappresentante del comandante delle forze di polizia di Adana colonnello Ozkan Çokay, aveva poi rilasciato una dichiarazione secondo la quale, nel corso di un'udienza, il procuratore di Adana Ali Doğan avrebbe dichiarato che oltre duemila camion sono stati inviati in Siria dalla Turchia.
L'arresto di Dündar e Gül ha scatenato le proteste di diverse personalità di spicco del mondo politico e dei sindacati. Manifestazioni in segno di solidarietà sono attese oggi in Istanbul di fronte alla sede di Cumhuriyet.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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