In marcia da Ankara a Istanbul: il leader dell'opposizione Kemal Kılıçdaroğlu ha deciso di protestare così contro il "regime dittatoriale" turco per la condanna dell'ex giornalista e deputato CHP Enis Berberoğlu
“Abbiamo di fronte un regime dittatoriale. È ora di dire basta”. Con queste parole Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito repubblicano del popolo (CHP), ha iniziato ieri una marcia di protesta dal Parco Güven di Ankara. “Porterò con me un’unica insegna sulla quale sarà scritto: Giustizia”, ha detto il segretario del CHP, che assieme ai sostenitori del suo partito prevede di arrivare a Istanbul in 28 giorni. Destinazione ultima: il penitenziario di Maltepe. Dove da mercoledì scorso è rinchiuso il deputato CHP Enis Berberoğlu, condannato all’ergastolo, commutato in 25 anni di carcere. Si tratta del primo parlamentare CHP imprigionato – altri 11, afferenti al partito filo-curdo HDP tra cui i due co-leader del partito, si trovano in cella da diversi mesi.
Con Berberoğlu, ex giornalista ed editore del quotidiano Hürriyet, il numero dei parlamentari detenuti sale a 12 in Turchia. E ora si teme che la misura possa colpire anche altri membri del CHP, rimasti senza immunità parlamentare dopo una legge approvata nel maggio 2016 grazie al sostegno dello stesso CHP. Kılıçdaroğlu, ospite mercoledì sera della CNN turca, ha risposto alle critiche riguardo a questo sostegno. “Se dovessi ripetere oggi il voto, opterei di nuovo per abolire l’immunità dei parlamentari”, ha detto il leader del CHP, affermando che è una decisione corretta a livello di principio. Ma secondo i critici, in un contesto politico dove la magistratura è da tempo ritenuta sotto l’influenza politica del governo dell’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo), tale decisione non ha fatto altro che rafforzare la mano di Ankara contro l’opposizione.
Gli intrecci con il caso Dündar
Berberoğlu si trovava da mesi sotto processo con l’accusa di aver “procurato documenti e informazioni segrete dello Stato per attività di spionaggio militare e politico” e di aver “prestato aiuto consapevole e volontario all’organizzazione terroristica armata FETÖ/PDY”, ossia al movimento di Fethullah Gülen, che Ankara ritiene responsabile del tentato golpe del 15 luglio scorso.
Nello specifico il deputato – che nega ogni accusa – è imputato di aver fornito all’ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dündar, le immagini dei TIR fermati nel gennaio 2014 a Hatay – al confine turco-siriano – e che secondo la notizia pubblicata dal giornale il 29 maggio 2015, appartenevano all’intelligence turca ed erano carichi di armi destinate ai jihadisti in Siria. Cumhuriyet supportava lo scoop con delle immagini che – secondo quanto affermato nell’articolo – erano state reperite dal fascicolo della procura.
Nelle stesse immagini, immediatamente vietate da parte delle autorità turche, si vedevano delle scatole di medicinali sotto le quali erano state nascoste armi e munizioni. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, aveva successivamente confermato che i TIR appartenevano all’intelligence, affermando che erano però carichi di aiuti umanitari destinati ai turkmeni che combattevano contro le forze di Bashar al-Assad in Siria. Il presidente, si era poi scagliato su Dündar e il collega Erdem Gül – seconda firma dell’articolo – accusandoli di avere leso l’immagine del paese e – riferendosi a Dündar – aveva detto che non lo avrebbe “lasciato in pace”.
Dopo essere stati tenuti in stato d’arresto per tre mesi, nel febbraio 2016, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, i due giornalisti sono stati rilasciati. Attualmente Dündar vive in esilio in Germania mentre Gül, è ancora sotto processo a piede libero. Tutte le cariche pubbliche coinvolte nel fermo dei TIR – procuratori, giudici e gendarmi – sono sotto processo con l’accusa di fare parte dell’organizzazione di Gülen oppure sono diventati fuggitivi. Il nome di Berberoğlu, invece,è emerso dopo che Dündar ha scritto nel libro “Arrestati” (Ed. Nutrimenti) di avere ottenuto le immagini da un “deputato di sinistra”. Una breve conversazione telefonica avvenuta tra il parlamentare e il giornalista lo stesso giorno avrebbe portato a ritenere che il deputato in questione fosse Berberoğlu.
“Tutto ciò che sta accadendo sta forzando un po’ troppo i limiti della politica e della giustizia in Turchia. Se qualcuno crede che alla vigilia dell’anniversario del [tentato golpe del] 15 luglio questi sviluppi potranno ammansire il CHP e l’opposizione in generale portando un vantaggio all’AKP, secondo me si sbaglia”, scrive il giornalista Murat Yetkin sulle pagine di Hürriyet.
Giustizia selettiva
Yetkin fa riferimento anche a recenti sentenze dei tribunali che hanno deciso di rilasciare i parenti di due nomi estremamente influenti dell’AKP: il sindaco di Istanbul Kadir Topbaş e Bülent Arınç, tra i fondatori del partito. Ömer Faruk Kavurmacı ed Ekrem Yeter generi, rispettivamente, di Topbaş e Arınç, erano stati arrestati con l’accusa di far parte dell’organizzazione di Gülen. Il loro rilascio, ritenuto arbitrario dagli stessi opinionisti vicini alle posizioni dell’AKP, ha suscitato critiche perché è stato visto come un favore fatto ai due politici. A ciò vanno aggiunti gli innumerevoli punti interrogativi riguardo ai fatti della notte del tentato golpe, che ormai dopo quasi un anno non hanno ancora trovato risposta, nonostante le inchieste e i processi in corso contro i militari golpisti e oltre 50mila arresti di presunti colpevoli, tra cui anche circa 150 giornalisti.
L’arresto di un parlamentare del CHP, il partito fondato da Atatürk, “padre” della Turchia moderna, ha suscitato un vasto moto di reazione tra i sostenitori del partito in parte rimasti profondamente delusi dalla mancanza di reazione della leadership del CHP di fronte al contestatissimo risultato del referendum sul sistema presidenziale, che concentra il potere nelle mani del presidente della repubblica e nella fattispecie di Erdoğan.
In diverse province sono state organizzate delle manifestazioni di sostegno alla marcia di Kılıçdaroğlu e anche dagli altri politici dell’opposizione sono arrivati messaggi di sostegno. Mentre Devlet Bahçeli, leader del nazionalista MHP che ha sostenuto la riforma presidenziale di Erdoğan, ha criticato l’azione del CHP definendola “non innocente”. L’antagonista Meral Akşener, radiata dal partito ma sostenuta dalla base, ha scritto su Twitter che “se il leader del primo partito d’opposizione si vede costretto a camminare portando un cartello dove c’è scritto ‘giustizia’, dobbiamo fermarci tutti e riflettere. È necessario ristabilire la pace e la giustizia”.
Un sostegno al CHP è arrivato anche dal filo-curdo HDP, il cui portavoce Osman Baydemir, condannando a nome dell’HDP l’arresto di Berberoğlu, non ha mancato di sottolineare la mancanza di reazione del CHP nel momento dell’arresto dei deputati HDP. “I membri del partito non resteranno in silenzio con chi lo ha fatto quando è stato arrestato il leader HDP Selahattin Demirtaş”, ha affermato il politico.
Infine Temel Karamollaoğlu, leader del partito islamista Selamet, con un messaggio scritto ha affermato che “i fatti recenti portano a sviluppare giustificate preoccupazioni sul futuro della Turchia”.
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