Il 7 giugno scorso un nuovo attentato nel centro di Istanbul. Nel frattempo il governo reagisce con media silenziati, l'approvazione di uno scudo legale a favore dell'esercito e toglie invece l'immunità ai parlamentari
Il 7 giugno un'esplosione nel centro di Istanbul ha colpito un autobus della polizia di passaggio. 12 i morti e 42 i feriti. Un altro attentato che colpisce il cuore pulsante della città, in una delle sue zone più frequentate da persone del luogo e turisti, non distante dall'Università di Istanbul e dal famoso Gran Bazar.
Si ricomincia quindi a contare morti e feriti, a cercare i responsabili, ad additare i colpevoli. Non è la prima volta, nel solo ultimo anno è l'undicesima o la tredicesima, a seconda di come si voglia considerare alcuni episodi minori solo per quantità di sangue versato, non per inquietudine causata: la terra che trema, il fumo che si alza in funebri volute, vetri infranti e sirene urlanti. Una ritualità a cui ci si assuefa senza neppure accorgersene. A confermarlo c'è la bomba che, ventiquattr'ore dopo, esplode a Mardin, una città del sudest del paese, e che causa 8 morti e decine di feriti.
In questo paese in guerra, è lo scoppio degli ordigni a scandire il tempo, non più solo il canto delle moschee.
A far da contraltare allo scoppio assordante della bomba, scatta il silenzio imposto ai media. Poco dopo l'attentato, un tribunale di Istanbul ha emesso un'ordinanza di divieto di “pubblicazione di ogni sorta di notizia, intervista, critica e simili pubblicazioni di tipo scritto, visivo e digitale fino a che le indagini non saranno ultimate”. Lo scopo, si precisa con testuali parole, è “proteggere l'integrità territoriale, prevenire la perpetrazione, e preservare l'autorità e l'obiettività degli organi giudiziari”.
Eppure, ad ogni drammatico episodio, in molti insistono sul fatto che non ci si può illudere che la violenza scatenata nel sudest del paese, nel conflitto che vede coinvolto esercito turco e Pkk curdo, rimanga circoscritta a quella regione. Se nell'ovest della Turchia si fa ancora la conta di bombe e morti, nell'est i numeri sono stati smarriti da tempo, sepolti sotto le macerie di interi distretti urbani cannoneggiati con carri armati, artiglieria pesante ed elicotteri. Le bombe non esplodono per caso; con troppa fretta, e con molto calcolo politico, si è cestinato il lungo, faticoso, traballante processo di pace tra stato turco e Pkk.
Scudo legale per l'esercito e via l'immunità ai parlamentari
Le opposizioni si sgolano per denunciare l'inaccettabilità di ogni attacco e al tempo stesso denunciano le responsabilità di un governo che sta giocando la propria partita politica sulla destabilizzazione e il conflitto.
Governo che intanto si prepara a varare una nuova norma che fornirà un più efficace scudo legale a soldati e ufficiali dell'esercito impegnati nelle operazioni antiterrorismo. Non solo gli ufficiali risponderanno direttamente ai governatori e, in ultima istanza, al primo ministro, ma ogni indagine a carico di militari dovrà prima essere approvata dal governo stesso. L'ennesimo colpo di scalpello alla democrazia turca e alla separazione dei poteri.
Una legge, questa, che va in direzione opposta rispetto a ciò per cui preme l'Unione europea che, tra i 72 criteri a cui la Turchia dovrebbe adeguarsi per ottenere la liberalizzazione dei visti, ha inserito una revisione della legge antiterrorismo turca in senso restrittivo, così che non possa essere usata per spazzare via l'opposizione politica e mettere a tacere i media e la società civile.
Non succederà. Erdoğan ha recentemente etichettato l'Unione un “club di cristiani” ed ha rigettato tale richiesta. Nel frattempo firmava un'altra legge, quella che toglie l'immunità legale ai parlamentari, i quali potranno ora essere perseguiti penalmente. Il ministero della Giustizia ha inoltre da poco sostituito e rimpiazzato 3.700 tra giudici e procuratori, una mossa non rara in Turchia, ma con pochi precedenti se si considerano i numeri. Poiché la maggior parte delle indagini riguarda parlamentari dei partiti d'opposizione, in particolare l'HDP accusato di avere legami terroristici con il PKK proprio attraverso la contestata legge antiterrorismo, è facile profetizzare come questa nuova legge consentirà di ridisegnare la composizione parlamentare e, perché no, arrivare ai numeri che servono per poter approvare le modifiche costituzionali necessarie a trasformare il paese da repubblica parlamentare a presidenziale.
Tutte queste decisioni del governo sembrano ben lontane dal voler ricercare una pacificazione che non sia quella ottenuta con la forza. Erdoğan cerca lo scontro frontale e gli ordigni che esplodono nei centri cittadini sono parte prevedibile di questo conflitto. Ogni bomba non solo uccide persone: demolisce le fondamenta di un intero paese.
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