Finale agrodolce per la prima udienza del processo ai 17 giornalisti del quotidiano turco Cumhuriyet, dei quali 7 sono stati rilasciati in attesa di giudizio. Prossima udienza l'11 settembre
Si è conclusa venerdì scorso la prima udienza del processo che vede coinvolti 17 tra giornalisti e personale del quotidiano turco Cumhuriyet. I giudici hanno confermato la detenzione in attesa della conclusione del processo per Murat Sabuncu, Akın Atalay, Kadri Gürsel, Ahmet Şık e Ahmet Kemal Aydoğdu. Sono stati invece rilasciati in attesa di giudizio Güray Öz, Musa Kart, Bülent Utku, Hakan Kara, Önder Çelik, Mustafa Kemal Güngör e Turhan Günay.
Restano in vigore i mandati d'arresto per l'ex direttore Can Dündar ed il giornalista Ilhan Tanır, rifugiati all'estero dove hanno chiesto asilo politico. La corte ha inoltre disposto la rimozione dei limiti alle visite degli avvocati e la restituzione dei materiali digitali sequestrati ai legittimi proprietari, una volta che saranno terminate le analisi da parte degli inquirenti.
I giudici hanno inoltre accettato la richiesta da parte del procuratore Hacı Hasan Bölükbaşı di messa in stato d'accusa nei confronti di Ahmet Şık per le dichiarazioni rilasciate in aula nel corso del suo turno di difesa. Il lungo discorso del corrispondente di Cumhuriyet, lungi dal limitarsi ad essere una dichiarazione di discolpa, è invece una vera e propria inchiesta giornalistica e un atto d'accusa contro il partito di governo Akp, il movimento di Gülen, l'introduzione dello stato di emergenza e la soppressione dei diritti per un intero paese.
Secondo Şık, Erdoğan e Gülen non lottano tra loro in favore della democrazia o per ripulire la società, ma per decidere chi avrà pieno controllo dello stato. Ripercorrendo le fasi storiche della crescita del gülenismo all'interno dello stato turco, la sua infiltrazione nelle forze di polizia, nel sistema scolastico e giudiziario e nei ranghi dell'esercito, Şık ha rinnovato le accuse verso il presidente Erdoğan.
Secondo il giornalista infatti il presidente e il suo partito sarebbero i principali responsabili della serie di eventi che hanno condotto al tentato golpe del 15 luglio 2016, definito da Şık “la pietra miliare della storiografia falsificata degli ultimi dieci anni” e che “anche se il golpe è stato sventato, una giunta è salita al potere”. Il paese, lungi dall'essersi salvato dal pericolo, avrebbe perso ogni connotato di democrazia proprio a causa dello stato di emergenza e dei decreti che il governo ha adottato con la giustificazione di combattere Fetö, acronimo coniato dal governo per indicare l'organizzazione che fa a capo a Fethullah Gülen.
Ahmet Şık ha concluso con la rivendicazione del suo lavoro giornalistico e dell'aspirazione alla verità come unico antidoto contro gli autoritarismi di ogni tempo.
L'esito di questa prima udienza del processo, tenutasi quasi dieci mesi dopo l'arresto degli imputati, ha dunque un finale agrodolce. I giornalisti rimessi a piede libero in attesa di giudizio si sono recati nella giornata di sabato alla sede di Cumhuriyet, in un incontro pubblico con familiari, colleghi, lettori e staff del giornale.
Insieme hanno rinnovato l'appello a sostenere la difesa non solo dei cinque giornalisti di Cumhuriyet rimasti in carcere, ma anche di tutti gli oltre 160 giornalisti rinchiusi nelle carceri turche.
Numerose le organizzazioni turche ed internazionali che si sono unite a quest'appello e hanno denunciato il processo come “costruito su prove deboli e selezionate a sostegno di una teoria accusatoria premeditata e preconfezionata. Nella migliore delle ipotesi, le testimonianze della difesa hanno reso palese come le autorità abbiano fallito nel condurre un'indagine accurata e adeguata”.
Così la Federazione europea dei giornalisti (EFJ), presente in aula, in un comunicato stampa condiviso con altre sigle internazionali, tra cui International Press Institute (IPI), Reporters without borders, PEN International, International Publisher Association (IPA) e l'European Centre for Press & Media Freedom (ECPMF ), istituzione di cui OBC Transeuropa è membro fondatore.
Il comunicato, rilasciato poco dopo la conclusione delle udienze, rincara la dose: “Alla luce degli accadimenti recenti in Turchia, è difficile liquidare l'ipotesi che questo sia l'ennesimo caso di criminalizzazione del giornalismo a scopi politici. Ci preoccupa che [questo processo] sia costruito su una teoria che equipara giornalismo e attività criminale”.
Fissata per l'11 settembre la prossima udienza, che si terrà questa volta nel carcere di Sivrili ad Istanbul. I giudici puntano a concludere il procedimento entro la fine dell'anno.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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