Le tenere emozioni della vita quotidiana, raccontate in un foto-documentario dalle immagini di Serkan Gürbüz e dalle interviste di Caroline Trent-Gürbüz. Ecco il loro viaggio nell'ultimo villaggio armeno in Turchia, tra speranze e paure per il futuro
In un lembo di terra baciato dal sole, tra le valli del Monte Musa Dagh, sorge un piccolo villaggio dove la vita è ancora scandita dai tempi della natura e dalle feste popolari, circondato da boschi e aranceti. La semplicità della vita di comunità non lascia spazio alla solitudine e, al contempo, non garantisce un futuro alle nuove generazioni.
Vakifli Koyu è l'ultimo villaggio armeno rimasto in Turchia. Ospita una piccola comunità di appena 130 persone, delle poche migliaia rimaste nel paese. Un numero esiguo, considerando che appena un secolo fa, 2 milioni di armeni abitavano la regione. Musa Dagh, il Monte di Mosè, proteggeva tra le sue insenature altri cinque villaggi, che però non hanno resistito alla furia travolgente della storia e sono stati spazzati via dal genocidio armeno agli inizi del '900. Molti dei sopravvissuti di quei villaggi si spostarono in Libano: tranne questo sparuto gruppo di resistenza che continua ad abitare queste montagne, armato solo di un'arancia in un mano (assolutamente non trattata) e di un bicchierino di raki nell'altra.
Questa piccola comunità ci mostra la forza e la grazia presente nella vita di tutti i giorni. Una vita fatta di lavoro, di routine, di sogni infranti, a volte di percorsi di studio intrapresi lontano da casa e da intere vite vissute altrove. Questa terra però, ha il potere di richiamare a sé ogni suo figlio, quando la stagione della propria vita rende insistente la necessità di tornare a casa, tra quelle montagne, con quella gente, dalla propria famiglia. Si può abitare e vivere ovunque, ma solo una è la tua casa, e per i discendenti di questa terra è Vakifli.
Eroi di tutti i giorni
La saggezza popolare e le tradizioni condivise uniscono i suoi abitanti come le maglie di una catena. Mehmet, ad esempio, è un turco musulmano, e sostiene l'MHP, il partito nazionalista turco, ma è nato e cresciuto a Vakifli. I suoi amici d'infanzia sono armeni e perciò conosce la loro lingua. Durante la cerimonia della sua circoncisione, un rito di passaggio molto importante nella sua cultura e che determina la fine dell'infanzia, era accompagnato da un kirve, una figura simile al padrino, armeno ortodosso.
A Vakifli, le case a due piani fanno capolino da una muro di oleandri e accolgono famiglie con tre o quattro figli, rimanendo sempre aperte ad ogni visitatore: abitante, turista o giornalista. Le nuove generazioni, per quanto orgogliose delle proprie origini, sono costrette però ad andarsene. A volte anche solo paradossalmente per mantenere le proprie tradizioni lingustiche. In uno stato dove raramente l'insegnamento delle lingue delle minoranze è garantito, solo gli studi effettuati all'Armenian high school di Istanbul possono dare alla lingua armena una continuità.
Il dialetto di Vakifli rischia comunque l'estinzione con l'avanzare dell'età dei suoi abitanti. Il pericolo quindi di una turchizzazione delle loro abitudini è non più solo incombente, ma una realtà. A questo si mescola il fatto che le nuove generazioni, in quanto tali, impongono nuove regole e nuove mode da seguire. Come negli amori: Canik spiega infatti che “nel 1942, e anche negli anni '50, non era appropriato per una coppia parlarsi in pubblico”. Persino quando lui stesso dovette salutare sua moglie Vartuhi quando partì per il servizio di leva, le persone si dimostrarono sgomenti che loro si tenessero per mano. Purtroppo il villaggio non festeggia un matrimonio ormai da 16 anni.
Il futuro se ne va
I giovani respirano l'aria del rinnovamento, cercano la cultura, la scuola, ma desiderano una vita semplice, una famiglia, un lavoro. Sognano di tornare alla loro terra come i loro nonni. Melina, una giovane quindicenne che desidera diventare psicologa, lamenta di quanto il tempo scorra troppo veloce quando è casa, a Vakifli, piuttosto che ad Istanbul, dove studia.
Le prospettive di lavoro però che questo villaggio ha da offrire sono scarse: gli aranceti inorgogliscono le vallate, ma non possono costituire una fonte di reddito per tutti. A Vakifli si lavorano tanto, tutto il giorno, per portare a casa solo quanto necessario per sopravvivere. “Se non lotti per denaro e lavoro, allora questo è un bel posto”, dice Toros. Un uomo del posto, semplice, la cui relazione più lunga è stata col suo cane, la simpatica Şirin.
Viken, un giovane laureato che ha deciso di non lavorare per le grosse aziende ma di produrre da sé i suoi frutti, dice che accetterebbe anche la compagnia di una donna non armena, pur di assicurare la continuità a questa comunità. “Siamo determinati a far sopravvivere questo villaggio, Vakifli ha i giorni contati”.
Tra 50 anni...
Una frase che risuona come un monito: "Tra cinquant'anni...". I giovani se ne vanno, non si formano nuove famiglie. Si ha la sensazione che le dolci colline si stiano svuotando.
“Spero che Vakifli continui ad esistere come unico villaggio armeno in Turchia, ma sfortunatamente perderà le sue caratteristiche nei prossimi 50 anni. Così va la vita”, dice con una nota di amarezza la giovane Anus. “Ho iniziato i miei studi ad Istanbul e probabilmente rimarrò là per il resto della mia vita”, spiega Melina “ ma nel 2062, quando sarò in pensione, spero di tornare qui, così come fecero i miei zii, i miei nonni e tutti coloro che tornarono da fuori per vivere qui”.
Ognuno spera un giorno di tornare in una fiorente cittadina, che nel frattempo avrà accolto turisti e vecchi abitanti. Tra il desiderio di rimanere e le reali possibilità che questo villaggio ha da offrire, ci sono solo le speranze legate al turismo. “Rispetto al passato, possono accadere cose migliori. Le case, i frutteti, tante cose legate al turismo possono accadere. Con il turismo, la nostra popolazione può crescere”, si augura Viken che di abbandonare i suoi aranceti, non ha alcuna intenzione.
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