Immaginando un film che ne racconti la vita intensa, Božidar Stanišić ci porta alla scoperta della vita e dell'opera di Jovan Bijelić, uno dei maestri della pittura modernista bosniaca, serba e jugoslava, in parte esposta nel museo a lui dedicato a Bosanski Petrovac
Se doveste decidere di visitare la Bosnia Erzegovina e di raggiungere Sarajevo passando per Karlovac e Bihać, non perdete l’occasione di fermarvi a Bosanski Petrovac, non ve ne pentirete. (Qui mi limiterò a spiegare il motivo per cui vi consiglio di fare una breve sosta a Bosanski Petrovac, della città e dei dintorni parleremo un’altra volta).
Il motivo? Ovviamente, è frutto di una scelta soggettiva: il Museo memoriale di Jovan Bijelić (Revenik, nei pressi di Bosanski Petrovac, 1886 – Belgrado, 1964) in via Bosanska 111. Il Museo è parte integrante del Centro per la cultura e l’educazione. Se decideste di segnalare in anticipo il vostro arrivo, la giovane professoressa Dušica Ćulibrk, direttrice del Centro, vi accoglierà gentilmente e con le sue spiegazioni approfondite renderà più completa e più piacevole la vostra visita ad uno dei microcosmi culturali semisconosciuti della Bosnia Erzegovina.
Il Museo memoriale, ospitato in un bell’edificio neoclassico, fu inaugurato nel 1972, quindi otto anni dopo la morte di Jovan Bijelić, uno dei maestri della pittura modernista bosniaca, serba e jugoslava.
La raccolta museale, composta perlopiù da opere di Bijelić acquistate da collezionisti privati, rimase accessibile al pubblico fino all’agosto del 1995 quando, a causa della guerra, fu trasferita alla Galleria di arti figurative della Republika Srpska, poi ribattezzata Museo d’arte contemporanea di Banja Luka. Nel 2005 la collezione – nello specifico venti opere di Bijelić tra dipinti e disegni, alcuni suoi oggetti personali e quattro quadri di altri pittori, amici di Bijelić – fu restituita al Museo memoriale di Bosanski Petrovac e dichiarata bene di interesse pubblico.
La collezione di Bosanski Petrovac rappresenta soltanto un tassello della produzione artistica di Bijelić[1], le cui opere sono sparse in tutta la ex Jugoslavia, principalmente in collezioni private. Fortunatamente, alcune delle sue opere sono custodite in gallerie e musei accessibili al pubblico, in particolare nel Museo d’Arte contemporanea a Belgrado, nel Museo Nazionale, anch’esso situato nella capitale serba, nonché nella Raccolta memoriale di Pavle Beljanski a Novi Sad.
Chi è Jovan Bijelić, pittore di cui Miloš Crnjanski scriveva con entusiasmo e la cui vita e le opere sono state studiate, tra gli altri, dallo storico Smail Tihić (il quale ne ha dedicato uno studio approfondito di 436 pagine) e dal pittore e critico d'arte Miodrag B. Protić[2], allievo di Bijelić? Chi è l’artista che nel periodo tra le due guerre mondiali, oltre alle numerose mostre personali tenute in patria, espose le sue opere anche a New York e Filadelfia (1926), Worcester e Buffalo (1927), Barcellona (1929), Londra (1930), Salonicco (1933), Sofia e Praga (1934), Roma (1937)?
Prima di provare a rispondere, vi invito a guardare, solo se vi va ovviamente, un breve video (solo immagini e musica) realizzato da Dragan Cvetković per farvi un’idea della produzione artistica di Bijelić. Se poi, una volta guardato il video, doveste avere l’impressione di non aver sprecato otto minuti del vostro tempo, sarei felice di saperlo.
Cercherò di riassumere la mia risposta abbozzando una sceneggiatura (ovviamente immaginaria) per una docu-fiction su Jovan Bijelić (se nelle emittenti pubbliche della Federazione BiH e della Republika Srpska ci fossero più professionisti e meno quadri di partito, cioè più creatività e meno politica, sarebbe possibile realizzare non solo questo, ma molti altri progetti simili; Bijelić, figlio della terra bosniaco-erzegovese, fu un autentico sostenitore del ritorno all’Europa.)
Sarebbe un film su un pittore nato da una famiglia di contadini, cristiani ortodossi, da generazioni dedita alla vocazione sacerdotale, vocazione che, secondo suo padre, il giovane Jovan avrebbe dovuto seguire. Il ragazzo però si oppose a quest’idea. Un film che ci offrirebbe l’immagine di una Sarajevo, a cavallo di due secoli, priva di qualsiasi tradizione pittorica, una città che accolse il liceale Bijelić (era bravo solo in disegno e ginnastica, e pur avendo intrapreso un percorso quadriennale, non ottenne la promozione nemmeno alla classe terza).
L’autenticità del film sarebbe rafforzata dall’utilizzo delle immagini della Scuola popolare di artigianato che Jovan decise di frequentare perché c’era un corso di disegno, rifiutando l’invito di suo padre a tornare al villaggio. Oltre alle fotografie d’epoca, verrebbero utilizzati anche alcuni frammenti tratti dal libro di Smail Tihić dedicato a Bijelić, in particolare gli aneddoti che raccontano di come il giovane pittore, faticando a sbarcare il lunario, fosse costretto ad eseguire opere d’arte su commissione per commercianti e artigiani e a dare lezioni di disegno ai liceali poco talentuosi.
Nel film, ovviamente, verrebbero menzionati anche i pittori Balthasar Baumgartl e Jan Karel Janovsky, sotto la cui guida Bijelić si perfezionava a Sarajevo, nonché l’associazione culturale serba “Prosvjeta”, grazie alla quale il giovane artista riuscì ad iscriversi all’Accademia di Cracovia dove studiò pittura prima con il professor Théodor Axentowicz, poi con Józef Pankiewicz.
Un posto importante nel film sarebbe poi riservato a Parigi, dove Bijelić trascorse l’anno che precedette lo scoppio della Grande guerra, scoprendo la tradizione pittorica della capitale mondiale dell’arte e le correnti moderniste. Poi Praga e la sua Accademia che il giovane pittore frequentò brevemente, studiando con il professor Vlaho Bukovac; il ritorno in Bosnia, a Bihać, dove per tre anni lavorò come insegnante di disegno al liceo e sposò Sofija Gzondzel, di origine polacca.
Nella cittadina bosniaca Jovan impartiva lezioni di disegno anche a Muhamed, fratello di Skender Kulenović. Questa però è un’altra storia, una lunga e triste storia del pittore ucciso nel 1941, dopo la fuga dal lager ustascia di Kerestinec. Una storia in cui sicuramente troverebbe posto anche Bijelić, come uno dei personaggi del romanzo Ponornica [Il fiume sotterraneo] di Skender.
Il film poi, inevitabilmente, parlerebbe di due mostre – una organizzata a Sarajevo (1917) e l’altra a Zagabria (1919) – a seguito delle quali Bijelić si affermò come pittore capace di dare un’impronta personale alle tendenze artistiche moderniste. Qui si sentirebbe nuovamente “la voce” di Tihić che ci parlerebbe dei tre anni che Bijelić trascorse a Bihać alla ricerca di una propria espressione artistica basata sulle conoscenze assorbite da varie correnti artistiche, dall’impressionismo all’arte astratta, passando per la secessione, il naturalismo e l’arte di Cézanne. Alle raffinate osservazioni di Tihić aggiungerei, modestamente, una nota sull’indubbia influenza di Henri Matisse e della sua poetica della pittura, espressa nel celebre saggio Notes d’un peintre del 1908. In questo scritto, l’artista francese fa distinzione tra chiarezza della forma e purezza della sensazione.
Belgrado, dove Bijelić si trasferì con la moglie alla fine del 1919, sarebbe rappresentata nel nostro film come un luogo di fondamentale importanza per il percorso esistenziale e creativo del pittore. Iniziò a lavorare come scenografo al Teatro Nazionale, dove gli venne affidata anche la direzione del laboratorio di pittura. Lo seguiamo poi nei suoi viaggi degli anni Venti: Berlino, Dresda, Praga, Francia, Italia e il suo entusiasmo per la pittura di Segantini. Nonostante gli impegni lavorativi, continuò a dipingere assiduamente. Esiste qualche fotografia del camerino del Teatro Nazionale in cui viveva con la moglie, la figlia Dubravka e il figlio Severin all’inizio del periodo belgradese? E le immagini dei capanni fatiscenti raggruppati attorno ad un cortile interno, con una fontana comune, dove vivevano in affitto, in condizioni a dir poco modeste? Non conosco la risposta.
Poi Bijelić, carismatico insegnante di pittura: le porte del suo atelier a Belgrado (sempre in soffitta, prima nel Secondo ginnasio maschile, poi nell’edificio dell’Accademia serba delle scienze) erano sempre rimaste aperte ai giovani artisti. Bijelić, l’avanguardista: nel 1926 fu uno dei fondatori del gruppo artistico “Oblik” [Forma], partecipando poi alla creazione dei gruppi “Nezavisni” [Gli indipendenti] e “Samostalni” [Gli autonomi]. Sarebbe utile ascoltare anche “la voce” del suo allievo Đorđe Popović rievocando gli anni Venti, quando Bijelić eseguì il suo celebre dipinto raffigurante un nudo femminile intitolato Kupačica [La bagnante]: “Per un intero decennio […] il suo metodo rimarrà lo stesso, la sua tavolozza resterà invariata. Dal bianco di zinco al nero d’avorio, sviluppa una gamma di colori freddi e caldi, rosso scuro e rosso vermiglio, caput mortuum, terra naturale e terracotta, giallo ocra, arancio cadmio e limone, verde ossido di cromo, blu di Prussia e blu oltremare. Mai […] un nuovo colore entrerà nella sua tavolozza. Evita supporti totalmente porosi, essendo un amante della pittura succosa, gli piace la lucentezza dell’olio, talvolta anche un impasto ricco. Non si adatta al consueto stile francese della pittura ‘opaca’”.
I due matrimoni di Bijelić: si separò dalla prima moglie nel 1923, mantenendo però buoni rapporti, poi sposò Ljubica Jovanović, con la quale visse fino alla fine dei suoi giorni.
Bijelić, padre che perse la figlia Dubravka, fucilata dai nazisti nel 1944 nel lager di Banjica. Jovan non si riprese mai da quel colpo (Severin, suo figlio, fu un noto atleta e attore di grande successo). Il pittore immortalò la figlia fucilata nel dipinto Mala Dubravka [La piccola Dubravka], eseguito nel periodo di ritorno di alcuni artisti europei al realismo classico.
Belgrado, 1954: la grande mostra di Bijelić, ormai cieco da due anni. Dopo un intervento agli occhi nel 1958, continuò a dipingere. Poi “la voce” di Isidora Sekulić che apprezzava anche la scrittura di Bijelić, autore di otto racconti.
Jovan Bijelić morì nel 1964 a Belgrado in una via intitolata a Ivo Lola Ribar, fratello di un suo allievo, il pittore Jurica Ribar. Una targa commemorativa, una semplice tavola di legno, è custodita nel Museo memoriale di Bosanski Petrovac.
Belgrado, 2014: la mostra organizzata dall’Accademia serba delle scienze e delle arti, quarantotto opere di Bijelić con motivi bosniaci e belgradesi.
Tornando da dove siamo partiti, a Bosanski Petrovac, la piccola collezione del Museo memoriale suscita interesse anche perché rappresenta un’autentica sintesi delle caratteristiche salienti della pittura e delle fasi creative attraversate da Bijelić, dal paesaggio alla natura morta, dalla veduta urbana al ritratto e al nudo femminile. No, non vi consiglierò davanti al quale dipinto o acquerello dovreste fermarvi più a lungo, né tanto meno rilancerò l’idea – con cui vi ho già annoiato abbastanza – di una mostra (im)possibile di pittori della cosiddetta Altra Europa (da Sarajevo e Belgrado a Varsavia, passando per Sofia, Bucarest, Budapest… potete pure completare l’elenco). Mi limiterò a citare una riflessione di Bijelić sulla forza del paesaggio: “Ho percepito i colori della mia terra. I colori dei campi, del cielo e delle nuvole che salgono verso le montagne, si disperdono e svaniscono… Sono grato ai paesaggi della Bosnia per avermi aiutato a ritrovare me stesso”.
Per concludere – Miloš Crnjanski su Bijelić:
In tutti i suoi dipinti e nella sua intera vita da pittore, Jovan Bijelić resterà saldamente amalgamato al paesaggio della sua immensa e montuosa Bosnia, lussureggiante nelle sue sfumature autunnali di rosso carminio, verde e una “terra di Siena” intrisa di blu. È su questa terra, rocciosa e sconfinata, che poggia il suo essere e ad essa si ispira per creare altre terre. Lassù in alto, in una composizione immensa, si fondono tutti i suoi paesaggi, rispetto ai quali i paesaggi di molti dei nostri pittori appaiono come rappresentazioni sdolcinate del territorio e riproduzioni sterili del visibile nella disposizione di colline, valli, pendii e altopiani, estranee alla bellezza dell’eterno immutabile e invisibile… Con questo nostro pittore è emersa una Bosnia meravigliosa, magnifica e sconfinata, splendente nelle sue sfumature di bordeaux, blu, rosso fulvo e viola, eccezionale anche per la bellezza, del tutto peculiare nella sua architettura, dei pendii ondeggianti e delle cime dei suoi monti. Quanti paesaggi eccellenti secondo i criteri parigini, quanti dipinti eccellenti secondo le autorevoli norme europee di allora…”.
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[1] 981 oli su tela, 103 acquerelli, 52 pastelli, 676 disegni, 94 scenografie, 12 icone per la chiesa Aleksandar Nevski a Belgrado, 19 illustrazioni per libri.
[2] Smail Tihić, Jovan Bijelić – život i djelo [Jovan Bijelić – vita e opere], V. Masleša, Sarajevo 1972; Miodrag B. Protić, Jovan Bijelić – monografija [Jovan Bijelić – monografia], Jugoslavija, Belgrado 1966, p. 106.
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