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Pubblichiamo il resoconto dettagliato degli interventi dei relatori al policy workshop "Fare politica senza fondi pubblici. Nuove vulnerabilità e sfide per la trasparenza", che si è svolto il 20 novembre 2019 a Roma, nell'ambito del progetto ESVEI promosso da OBCT/CCI

28/11/2019 -  Niccolò Caranti

La questione del finanziamento estero a partiti, movimenti politici o singoli candidati come strumento di interferenza nei processi democratici ha ottenuto molta attenzione negli ultimi anni, anche in seguito a recenti scandali, come il caso Lega-Russia in Italia o l’Ibiza-gate in Austria, che ha portato alle dimissioni del governo guidato da Sebastian Kurz. A prescindere dalle dinamiche di questi specifici casi - ha spiegato Giorgio Comai, ricercatore e analista di OBCT e coordinatore del progetto ESVEI - la questione della trasparenza e della vulnerabilità di un sistema politico ad interferenze sia esterne che interne è cruciale per l’integrità dei processi democratici. Ne abbiamo parlato durante il seminario "Fare politica senza fondi pubblici. Nuove vulnerabilità e sfide per la trasparenza", che si è tenuto presso la Fondazione Basso, a Roma, il 20 novembre. Riassumiamo i punti principali trattati dai relatori nei loro interventi.

Intervenuto per i saluti istituzionali, Mario Raffaelli, presidente del Centro per la Cooperazione Internazionale, ha ricordato, anche sulla base della sua esperienza di parlamentare e sottosegretario, che il problema del finanziamento ai partiti esiste da molti anni. La legge Piccoli nel 1974 ha introdotto il finanziamento pubblico, ma senza adeguati meccanismi di controllo e senza regolamentare effettivamente i partiti. Secondo Raffaelli, la tematica è stata affrontata in maniera non rigorosa, ma accavallando leggi e creando un panorama complicato: occorrono trasparenza, finanziamento pubblico (anche solo “in-kind”) e una regolamentazione anche dell’attività di lobbying.

Un quadro legislativo complesso

Irene Pellizzone

Irene Pellizzone, professoressa di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, ha illustrato il quadro legislativo: molto significativa per il tema della trasparenza è la legge 96/2012, a cui hanno fatto seguito il decreto del Governo Letta che ha abolito il finanziamento pubblico diretto (d.l. 149/2013), la cosiddetta “legge spazzacorrotti” (d.l. 3/2019) e il decreto crescita (d.l. 34/2019). 

Secondo la giurista la normativa risulta nel complesso complicata sia a causa della rapida serie di riforme, sia per la formulazione testuale: la legge spazzacorrotti, ad esempio, è composta da un unico articolo monstrum con un gran numero di commi. Inoltre, il decreto legge che ha abolito il finanziamento pubblico diretto prevede due diverse definizioni di partito politico e requisiti diversi per i partiti che chiedono di iscriversi al registro nazionale dei partiti politici e quelli che non lo fanno: questo crea un intrico che si sovrappone al precedente assetto normativo, che già si era stratificato negli anni.

Secondo la studiosa l’avvento della trasparenza è comunque un punto importante, anche se non è implementato a sufficienza. Anzi, l’equiparazione ai partiti di altre organizzazioni ha creato per certi aspetti un eccesso di trasparenza, che porta a una forma di opacità per confusione. Non è nemmeno chiaro chi possa e chi debba inviare i dati alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, che presiede alla pubblicazione di questi dati, e che è oltretutto priva di struttura e forze adeguate per andare ad individuare i soggetti destinatari dell’obbligo. Altre difficoltà applicative, sottolinea sempre Pellizzone, derivano dalla frequenza della nascita di nuovi partiti.

Il bluff della trasparenza

Daniele De Bernardin

Daniele de Bernardin, analista politico di OpenPolis, ha segnalato come molte leggi sull’argomento, compresa l’abolizione del finanziamento pubblico diretto, siano state fatte in maniera frettolosa. 
De Bernardin ha illustrato come le casse dei partiti si sono svuotate nel corso degli anni: il 2x1000 è un esperimento che sta fallendo, perché pochi cittadini usano questa possibilità. Sono calate anche le donazioni private, e la maggior parte delle donazioni provengono in realtà dai parlamentari: di fatto un finanziamento pubblico. Fare politica però ha un costo. Oggi i gruppi parlamentari sono la principale fonte di denaro dei partiti, con fondi dei gruppi utilizzati impropriamente per attività di partito: secondo De Bernardin, anche questa è in realtà un’altra forma di finanziamento pubblico.
Negli ultimi anni, think tank, fondazioni e associazioni si stanno sostituendo ai partiti nello svolgere attività politiche. Fra gli esempi citati, la fondazione Open (ora chiusa) e i Comitati di Azione Civile di Matteo Renzi, utilizzati ad esempio per l’organizzazione della Leopolda.

Andamento delle entrate dei partiti registrati (2013-17)

DA SAPERE
Sono conteggiate le entrate da gestione caratteristica dei partiti e del M5s come riportate nei bilanci depositati. Per il 2017 al momento della raccolta dati (luglio 2018) non sono stati rintracciati i bilanci di Stella Alpina, M5s (associazione), Idv, Cor, Mov. Puglia in più, Fare!
FONTE: elaborazione openpolis sui bilanci presentati dai partiti

Il Movimento 5 Stelle per le sue attività usa numerose strutture fra cui l’associazione Rousseau, l’associazione Gianroberto Casaleggio e comitati creati per le varie elezioni. De Bernardin ha sottolineato che questa moltiplicazione di soggetti rende più difficile il monitoraggio.
Alcuni documenti ufficiali, ad esempio relativi alle donazioni ricevute dai candidati, vengono pubblicati in modi tali da risultare un bluff: scansioni illeggibili, pecette selvagge che coprono anche elementi fondamentali, una presa in giro per il cittadino. Come ha sottolineato De Bernardin, fare comunicazione non significa fare trasparenza. Inoltre, la Commissione di garanzia non ha i mezzi per portare a termine il proprio lavoro, e dal 2019 questo lavoro è ulteriormente aumentato. “Partiti più deboli portano a una democrazia più debole e più vulnerabile”, ha esplicitato più volte l’analista di Openpolis, secondo cui abbiamo abolito il finanziamento pubblico senza fare una riflessione su quello privato.

Think tank o ditte individuali?

Mattia Diletti

Mattia Diletti, professore di scienze politiche alla Sapienza Università di Roma, ha iniziato con una citazione di Mark Hanna, strategist di William McKinley, presidente degli Stati Uniti a cavallo fra ‘800 e ‘900: “In politica contano due cose: una sono i soldi, l’altra non me la ricordo.” Secondo Diletti l’abolizione del finanziamento ai partiti è un errore che verrà sanato al prossimo scandalo.
Con il professor Diletti abbiamo approfondito la questione dei think tank, una delle strutture a volte utilizzate a fianco dei partiti. Diletti ha spiegato che i think tank sono un soggetto di derivazione americana, che in Italia ha avuto un boom nella seconda repubblica. C’è però una cosa che esiste solo da noi: i think tank personali. Nel 2011 se ne contavano 34. I think tank in Italia sono nati prima delle recenti riforme, con un boom negli anni 2007-2009, legato alla nascita di PD e PdL, che lasciavano ampia libertà ai singoli leader. Come ha spiegato Diletti, si tratta quasi di ditte individuali, legati a partiti sempre più destrutturati. La moltiplicazione di queste strutture ha destato un certo allarme, che però secondo il politologo è stato eccessivo se si considera il il giro d’affari di questi soggetti. Nel frattempo, fra l’altro sono diminuiti di numero: oggi si contano solo una quindicina di think tank personali. Secondo Diletti, occorre prestare attenzione anche al rapporto dei think tank con l’estero.

Una riforma mancata

Federico Anghelé

Secondo Federico Anghelé, direttore dell’ufficio italiano di The Good Lobby (che da poco ha inglobato Riparte il Futuro) possiamo parlare di riforma mancata: non è stato fatto ordine nella normativa; non si è riformato complessivamente il finanziamento alla politica; la soglia dei 100.000€, il massimo che un soggetto può donare in un anno, riguarda i partiti ma non politici e candidati; mancano informazioni sulle “altre utilità”, ovvero contributi diversi dai finanziamenti.
Anghelè ha sottolineato che molti paesi sono passati dal finanziamento privato a quello pubblico mentre noi abbiamo fatto il contrario, e che una possibile soluzione può essere un sistema misto.
Anche secondo Anghelè, i risultati del 2x1000 sono deludenti, anche se questo potrebbe essere un elemento importante perché parcellizza le donazioni, coinvolgendo i cittadini nella politica e riducendo il ruolo dei grandi donatori. L’analista di The Good Lobby ha citato l’esempio dei finanziamenti fatti dalla compagnia di navigazione Moby alla fondazione Change del presidente della Liguria Giovanni Toti che secondo l’analista pongono dubbi, anche se c’è da sottolineare comunque un miglioramento rispetto al passato, quando i nomi dei finanziatori erano ignoti. È naturale pensare che aziende che finanziano la politica possono farlo per ottenere dei vantaggi in cambio: dunque, ai problemi legati alla normativa sui finanziamenti si aggiunge quello della mancanza di una regolamentazione organica del lobbying, o rappresentanza di interessi (spesso fra l’altro fatta presso fondazioni e associazioni politiche). Complessivamente, ha concluso Anghelè, in termini di trasparenza rimane molto da migliorare.

Cosa fare?

A conclusione dei lavori, Giorgio Comai ha aperto il confronto sulle soluzioni possibili, illustrando alcune proposte su cui ragionare:

Giorgio Comai

  • vietare le donazioni da parte di persone giuridiche (e in particolare aziende) come accade in Francia.
  • limitare la soglia massima di donazioni, abbassandola di molto rispetto agli attuali 100.000€ (ad es. in Francia è di 7.500€);
  • trasparenza effettiva, ovvero l’obbligatorietà della pubblicazione dei dati in formati aperti e riutilizzabili;
  • aumentare risorse per gli enti di controllo;
  • reintrodurre il finanziamento pubblico.

Durante il dibattito, Pellizzone si è chiesta quanto il problema dell’assenza di trasparenza sia un problema di legge e quanto di implementazione della legge, mentre ha espresso dubbi sull’opportunità di vietare le donazioni da parte di aziende.

De Bernardin ha segnalato come alcune norme non vengano proprio implementate. Secondo l’analista di Openpolis, occorre limitare l’arco delle organizzazioni equiparate ai partiti. I modi per aggirare il sistema comunque ci sono: le organizzazioni possono evitare di essere sottoposte agli obblighi di trasparenza evitando di avere politici negli organi apicali.

Mattia Diletti si è detto d’accordo con l’abbassamento dei tetti delle donazioni, anche se forse occorre farlo con gradualità. Secondo il docente de La Sapienza, i partiti al momento non sono capaci di attrarre fondi dal basso e devono riorganizzarsi. La soluzione, sottolinea Diletti, potrebbe essere la reintroduzione del finanziamento pubblico, ma in misura ridotta rispetto al passato in modo da costringere i partiti ad avere rapporti con la società. Diletti non è d’accordo sul divieto di finanziamenti da parte di aziende.

Federico Anghelé teme che un limite basso delle donazioni, in mancanza di una visione organica, spingerebbe i partiti a cercare scappatoie. L’analista di The Good Lobby ha ricordato che attualmente la soglia prevista non vale per soggetti equiparati ai partiti. Secondo Anghelè, i candidati dovrebbero darsi dei codici di condotta, delle regole su quali finanziamenti accettare e quali no.

Giorgio Comai si chiede infine se abbia senso continuare a vietare donazioni da parte di cittadini di altri paesi dell’Unione europa, rischiando di limitare lo sviluppo di forze politiche transnazionali nello spazio politico europeo; secondo Pellizzone questo divieto può essere inopportuno ma non è probabilmente incostituzionale.

Per approfondire

questo link è disponibile il video integrale della conferenza curato da Radio Radicale. Qui  invece un video-riassunto dell'evento, con interviste ai relatori, a cura di OBCT.

 

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. 


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