Il carattere nazionale del cinema, la dittatura di Tito e quella di Hollywood: Ivo Skrabalo, docente e critico cinematografico, descrive le evoluzioni della cinematografia croata nel corso del novecento. Nostra intervista
Che significato ha avuto il cinema croato per il regime e per la società?
Un merito del regime totalitario è stato quello di dare una struttura ad un sistema che, fino al 1945, non era assolutamente organizzato. Negli anni Venti e Trenta, lo Stato finanziava il cinema solo nell'ambito delle attività scolastiche, a fini educativi. La prima casa di produzione croata, la Hrvatski Slikopis, fu fondata nel 1942 da Oktavian Miletić, una grande personalità degli albori del cinema croato, che ottenne diversi premi in festival internazionali di cinema amatoriale. Un pioniere, insomma. Poi il totalitarismo, trovando nel cinema un potenziale strumento di propaganda, vi ha naturalmente destinato più attenzione e finanziamenti, e di conseguenza anche controllo. Ricordo che si giravano dei telegiornali propagandistici, che venivano proiettati ogni sabato. Il coordinatore era Branko Marianović. La fortuna e la disgrazia del cinema jugoslavo stavano nel fatto che Tito fosse un appassionato cinefilo!
L'assioma ideologico che dominava allora affermava che il socialismo stesso fosse il fondamento del cinema come nuova forma d'arte, e che il cinema non potesse esistere senza socialismo. Di conseguenza, al cinema era attribuita una fortissima funzione educativa. A partire dal 1945, il cinema ha attraversato diverse fasi. La prima è stata ovviamente caratterizzata da questa forte identificazione con l'ideologia socialista. In seguito, gli autori hanno iniziato a sperimentare con una varietà di generi, dal dramma psicologico alla commedia e alla satira; questa tendenza alla sperimentazione era particolarmente pronunciata negli ambienti di Zagabria. Negli anni Sessanta, invece, sia a Zagabria che a Belgrado, con Petrović e Pavlović, si è avuto un inizio di modernizzazione sotto l'influenza del cinema francese. In generale, comunque, le influenze sono state svariate: oltre al cinema francese c'è stata ovviamente la scuola di Praga e, con la graduale liberalizzazione dello spirito e dei costumi, sono diventate popolari anche le commedie erotiche o porno-soft all'italiana, sul genere "Quando le donne avevano la coda".
Come possiamo spiegare l'interesse del pubblico per i film sulla seconda guerra mondiale?
Credo che nasca da un interesse della mia generazione per un periodo che non abbiamo vissuto, non credo ci siano ragioni ideologiche dietro questa passione, ad esempio io non sono mai stato comunista.
Può raccontarci la sua formazione, i suoi primi passi nel mondo del cinema e la sua esperienza in Accademia?
All'università ho studiato diritto, e ho seguito un dottorato in diritto internazionale... La mia tesi di dottorato riguardava il Bangladesh! Invece il mio primo libro, pubblicato nel 1984, era una sorta di inventario che aveva lo scopo di identificare un corpus del cinema croato. Ho cominciato a lavorare in Accademia come tutor per gli studenti del terzo anno, nel 1986-87, e poi negli anni Novanta sono stato chiamato come docente. Fino ad allora si insegnavano regia, montaggio e recitazione, ma mancava il dipartimento di produzione, e io ho introdotto questo insegnamento (produzione cinematografica e televisiva). La storia del cinema croato, invece, era una materia facoltativa per i primi tre anni. C'era una forte selezione all'ingresso, ma gli esami di ammissione erano aperti a tutti, e si presentavano anche molti studenti stranieri, mi ricordo perfino di uno studente che veniva dal Kenya. Proprio il rapporto con gli studenti ha reso e rende tuttora molto positiva questa esperienza.
Come si pone oggi il cinema locale sul mercato internazionale?
Il nostro spazio comune dal punto di vista linguistico è limitato, quindi anche le nostre possibilità di entrare in altri mercati sono ristrette.
Come possiamo invece caratterizzare, sempre sia possibile, il cinema croato rispetto a quello serbo o bosniaco?
A partire dal 1945 la cultura è stata dominata dal dogma dell'entità unitaria jugoslava. Non si trattava di un concetto sul genere del melting pot americano, ma proprio di una concezione omogenea dell'identità del paese. Se all'inizio infatti l'idea di Jugoslavia era fondamentalmente quella di una federazione, si era poi fatta lentamente strada l'idea di una sola nazione, un solo Stato, un solo comunismo. Non era quindi possibile distinguere una cinematografia serba, croata o bosniaca: era più facile distinguere invece il cinema sloveno o macedone, per una semplice questione linguistica. In realtà il sistema non era rigidamente centralizzato. C'era un governo centrale, ma ogni repubblica aveva una propria direzione che si occupava di cinema. Alla fine degli anni Sessanta, c'era un dibattito che si occupava proprio di definire se esistessero o meno delle cinematografie nazionali all'interno della Jugoslavia, ma gli esponenti più autorevoli del mondo della critica, come Ranko Munitić a Zagabria e Slobodan Novaković a Belgrado, tendevano a negare la loro esistenza.
Poi all'inizio degli anni Settanta, con la "primavera croata" del 1971, cominciò a farsi spazio l'insoddisfazione per il ruolo della nazione croata nella Jugoslavia, e quindi un desiderio di maggiore specificità nazionale, dalla lingua alla cultura in generale e quindi anche al cinema.
Credo che il concetto di carattere nazionale non sia facile da applicare al cinema della nostra regione. Ad esempio "Slavica", che viene considerato il primo film jugoslavo, fu girato a Belgrado, ma il regista era croato. Anche in "No Man's Land" di Danis Tanović, che è stato il miglior film sul periodo delle guerre, la maggioranza degli attori erano croati. In ogni caso io ritengo che il carattere nazionale, e questo vale per qualsiasi cinematografia, sia indispensabile, in quanto è il fattore che conferisce sostanza ad un film in un mondo in cui la tecnologia è globalizzata, e il mondo cinematografico è dominato dalla dittatura di Hollywood...
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