Cooperazione

Per una globalizzazione dal basso dei diritti, della solidarietà e della democrazia

22/10/2001 -  Anonymous User

Riportiamo qui di seguito un documento dell'Ufficio di Presidenza dell'ICS, che ribadisce il rifiuto della guerra e la condanna di ogni forma di terrorismo e sottolinea l'impegno dell'ICS con i movimenti della societa' civile. I contenuti del documento nascono da riflessioni favorite dai lunghi anni di attività dell'ICS anche e soprattutto nei Balcani. Non a caso uno degli impegni concreti che l'ICS si propone è quello di favorire la costruzione di un network europeo denominato "Europe from below" che confronti e coordini, proprio a partire dall'appello per l'integrazione dei Balcani in Europa- il lavoro di organizzazioni della società civile dell'est e dell'ovest sui temi della cittadinanza, dell'integrazione, della pace facendo della dimensione europea occasione di confronto e di iniziativa sul terreno dei conflitti e dei diritti e del ruolo dell'Europa nel rispetto alle politiche della globalizzazione e alle iniquità nel rapporto con il Sud del mondo.
IL DOCUMENTO

Dopo l'attacco terroristico agli Stati Uniti dell'11 settembre e l'inizio, il 7 ottobre scorso, della guerra contro l'Afganistan l'ICS ribadisce l'importanza di rilanciare l'impegno e l'iniziativa dei movimenti sociali, pacifisti, ambientalisti rafforzatisi ancora di più dopo la mobilitazione di Genova e dopo la marcia Perugia-Assisi del 14 ottobre scorso- per affermare i principi della democrazia, della convivenza, della solidarietà, della pace.
Alle "ragioni della forza" contrapponiamo la "forza della ragione"; alla vendetta e alla rappresaglia, il perseguimento e la punizione dei colpevoli del terrorismo sulla base della giustizia e del diritto internazionale, anche con l'entrata in funzione del Tribunale Penale Internazionale; al predominio delle alleanze militari e di parte il ruolo delle Nazioni Unite nell'opera di prevenzione, di costruzione di un sistema di "sicurezza comune", di mantenimento e di imposizione della pace. Diciamo di no alla guerra, alle rappresaglie, alle vendette; sì alla giustizia, al diritto internazionale, alla pace. Ribadiamo l¹importanza di una grande mobilitazione per fronteggiare l'emergenza umanitaria sofferta da milioni di profughi afgani in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni.

E' questo il momento della partecipazione e della mobilitazione civile e sociale, dell'impegno di ciascuno, del lavoro in ogni città per spezzare la spirale incontrollabile di paura e rassegnazione, di impotenza e disincanto. In questi anni nei Balcani anche nelle situazioni più disperate- abbiamo visto che è possibile riannodare i fili e costruire i ponti di solidarietà e di convivenza, di percorrere le strade della pace, del dialogo, della solidarietà. Mai come in questo momento i principi della pace e della nonviolenza sono attuali e impellenti. Contro un mondo che si vuole sempre più dominato dalla forza delle armi e percorso dalla violenza, il nostro compito è di mettere la pace al primo posto delle relazioni internazionali e di fare della nonviolenza il principio fondante della politica e della società.
Ci impegniamo a combattere ogni violenza e tutti i terroristi nemici della pace e dell¹umanità intera- e a contrastare ogni ricorso alla guerra come metodo per risolvere i conflitti: le guerre colpiscono vittime innocenti, causano immani distruzioni, non risolvono i problemi. Sono come i sconvolgenti attentati di New York e Washington- un "crimine contro l¹umanità". Contrastiamo chi vorrebbe trascinarci in uno "scontro tra civiltà" e ribadiamo il nostro impegno per costruire il dialogo e la convivenza multietnica, mettendo al bando ogni forma di razzismo e xenofobia e favorendo il pieno rispetto dei diritti dei cittadini immigrati. Siamo impegnati contro ogni "balcanizzazione" del mondo, contro la proliferazione di confitti "di civiltà", etnici, nazionali e di conflitti "a bassa intensità" che causano sofferenze, perdite di vite umane e ingiustizie.
Con i movimenti della società civile: il contributo dell'ICS
Crediamo che questo patrimonio di considerazioni e valutazioni sia e debba essere il nucleo dei valori fondanti dei movimenti e della straordinaria esperienza di società civile che è emersa con grande forza a Genova e con la marcia per la pace da Perugia ad Assisi. Un movimento dall'ampiezza straordinaria, composto da tante forze e organizzazioni che costituiscono quella "politica diffusa" caratterizzata dal "fare", dall'impegno concreto, dal volontariato, dall'economia sociale, dalla presenza nelle zone del conflitto. Movimento che ha avuto il merito e la capacità di imporre i temi e le contraddizione della globalizzazione, che hanno costretto i media, i governi e persino l'agenda del G8 a "farci i conti" e a prendere atto dalle distorsioni e iniquità che le politiche economiche dei "grandi" hanno creato al pianeta.

L'ICS come ha fatto già attivamente e pienamente nel GSF fino alle manifestazioni di Genova e come ha fatto in questi anni sostenendo l'impegno della Tavola della Pace- intende sostenere il movimento ampio e plurale impegnato contro la guerra e per una globalizzazione della pace, dei diritti, della giustizia nel rispetto del pluralismo democratico e della diversa articolazione delle esperienze, mettendo al primo posto i contenuti e le proposte sui temi che vedono impegnate le organizzazioni presenti nel movimento. E' per questo che l'ICS parteciperà all'incontro del GSF che si terrà a Firenze il prossimo 20 e 21 ottobre e sostiene tutti i gruppi aderenti che a livello locale stanno partecipando alla formazione del social forum nelle città. Inoltre l'ICS intende rinnovare l'impegno nell'esperienza della Tavola per la pace, per costruire le prossime iniziative in discussione.
Il contributo che l'ICS vuole e può portare deriva dall'esperienza maturata nello scorso decennio nei Balcani e in Italia sul terreno dei conflitti e dei diritti di cittadinanza. Esperienza che mette al centro una lettura oltre ogni vecchio paradigma di tipo ideologico- del rapporto tra globalizzazione, conflitti nazionali e diritti di cittadinanza, che evidenzia l'importanza delle dinamiche specifiche (economiche, politiche, culturali) delle "nuove guerre" (ben 85 nello scorso decennio, di cui 79 "nazionali") e della creazione di una nuova "classe" di perseguitati, i profughi, passati in qualche anno da 4 a 50 milioni. Guerre combattute "su" e "contro" i civili: ben oltre il 90% delle vittime delle guerre degli anni '90. Con la consapevolezza che, oltre a "denunciare" i misfatti nelle guerre dei potenti e degli "imperi", bisogna sperimentarsi sulle alternative politiche e le pratiche concrete. Ecco perché da una parte l'impegno per la riforma dell¹ONU (in grado di gestire la prevenzione dei conflitti e dotato finalmente di un sistema di "polizia internazionale") e di un'Europa sociale e dall'altra la messa in pratica di una "solidarietà dal basso" e di "diplomazia popolare" nelle aree del conflitto rimangono i nostri principali punti di riferimento e di azione concreta.

Il contributo che l¹ICS può e vuole dare in questa direzione si articolerà nei prossimi mesi su tre impegni:
a) la promozione di una campagna nazionale aperta, unitaria, pluralista- per i diritti dei cittadini immigrati, contrastando il DDL del governo Berlusconi sull'immigrazione e richiedendo l'approvazione di una legge sul diritto d'asilo (l'Italia è l'unico paese europeo a non averla), garantito dalla nostra Costituzione; il primo incontro è già avvenuto lo scorso venerdì 12 ottobre a Perugia, nell'ambito dell'"Assemblea dell¹ONU dei Popoli";

b) la costruzione di un network europeo, denominato "Europe from below", che confronti e coordini a partire dall'appello per l'integrazione dei Balcani in Europa- il lavoro di organizzazioni della società civile dell'est e dell'ovest sui temi della cittadinanza, dell'integrazione, della pace facendo della dimensione europea il terreno di confronto e di iniziativa sul terreno dei conflitti e dei diritti e del ruolo dell'Europa nel rispetto alle politiche della globalizzazione e alle iniquità nel rapporto con il Sud del mondo; il network è stato presentato nella scorsa Assemblea dell'Onu dei Popoli;
c) la continuazione del lavoro nelle aree di conflitto in particolare nei Balcani e in Medio Oriente- favorendo percorsi di diplomazia popolare e di pace, di soluzione nonviolenta dei conflitti, di solidarietà concreta, sostenendo le forze democratiche e la società civile e partecipando a fine anno all'iniziativa di pace in Palestina, cui stanno lavorando molte organizzazioni pacifiste e di solidarietà italiane.
Per un movimento ampio, democratico e nonviolento
Se questo è il nostro impegno e contributo chiaro, positivo e costruttivo allo sviluppo di questa mobilitazione che ha caratteristiche di movimento differenziate, vogliamo anche portare un contributo alla riflessione per superare i limiti e le contraddizioni che sono presenti. Noi auspichiamo che vengano messi al primo posto i contenuti evitando le derive politiciste che qualche volta hanno attraversato le diverse esperienze. Molte delle esperienze cui facciamo riferimento hanno sedimentato in questi anni saperi, competenze, capacità di proposta e di alternative concrete sul terreno della globalizzazione che nella dinamica attuale- sono state talvolta sacrificate a favore del confronto sulle "forme della mobilitazione", dei dettagli della convocazione delle manifestazioni, della discussione sugli equilibri politici all¹interno delle strutture di coordinamento.

In secondo luogo crediamo che vada sciolta ogni ambiguità proprio sulla questione delle forme della mobilitazione: la nonviolenza è per noi una scelta fondamentale. Se come è stato detto- l'"antiliberismo" è una pregiudiziale, anche la nonviolenza per noi, come per molte organizzazioni pacifiste- lo è. Non vogliamo imporne i contenuti e la "filosofia" a nessuno. Ma la presenza di una concezione, di un linguaggio e di una pratica "muscolare" o "guerreggiata" dalla politica anche sotto forma della cosiddetta autodifesa o anche nella forma della "rappresentazione simbolica" dello scontro- mette in discussione la possibilità di uno sviluppo unitario di un movimento plurale e pacifico. E' possibile un incontro sulla radicalità dei contenuti; è impossibile sulle forme violenti o muscolari (anche nei linguaggi) della mobilitazione.
Per ultimo su alcuni singoli punti importanti di merito- della mobilitazione del movimento, vogliamo ribadire (oltre ad una non adeguata valutazione dell'importanza della vicenda migrazioni dentro la globalizzazione) la necessità di un diverso approccio sui temi della pace e della guerra, oggi quanto mai attuali e, però, nei mesi passati alquanto in ombra nel movimento di Porto Alegre e di Genova. Anche la recente mobilitazione di Napoli in occasione del (mancato) vertice della NATO ha messo in evidenza ombre e deficit politico-culturali. La denuncia delle responsabilità della NATO, degli imperialismi, della globalizzazione neoliberista non può dimenticare il tema delle alternative politiche per prevenire e fermare i conflitti e per far rispettare i diritti umani (cioè il ruolo di un'ONU riformata e di un'Europa "oltre i muri"), dell'importanza del disarmo, delle pratiche concrete che i pacifisti mettono in campo nel corso dei conflitti (la solidarietà, l'interposizione, la diplomazia, la costruzione di ponti di dialogo, il sostegno alle forze democratiche), ecc. Sempre di più dopo l'11 settembre e dopo la guerra contro l'Afganistan- il binomio "pace-guerra" sarà una chiave di lettura delle contraddizioni della globalizzazione. Ad un approccio sloganistico o ideologico (o puramente di denuncia) bisogna saper proporre i contenuti, le alternative, concrete, le pratiche di una "politica di pace" efficace e sostenibile.

E' per questo che anche a partire dall'esperienza dell'assemblea del 23 settembre a Napoli, incontro promosso dalle organizzazioni pacifiste e soprattutto dopo la marcia Perugia Assisi- auspichiamo che le organizzazioni pacifiste e della solidarietà internazionale possano avviare un proprio percorso di discussione e di proposta che sul terreno dei contenuti e delle forme di mobilitazione- possa dare un contributo allo sviluppo di un movimento plurale, ampio e democratico.
Ufficio di Presidenza dell'ICS

Perugia, 13 ottobre 2001

On-line un nuovo data-base su corsi ed occasioni di formazione

22/10/2001 -  Anonymous User

Corsi di formazione, master, seminari per operatori della cooperazione e volontari. Aggiornamenti sui temi dell'emergenza, dell'aiuto umanitario, dello sviluppo, dell'ambiente... Tutto in un data-base a cura dell'Osservatorio e di Unimondo.

Di ritorno dalla Perugia-Assisi...

16/10/2001 -  Anonymous User

Tra le più di 250.000 persone che l'altro ieri hanno camminato attraverso le belle ed assolate colline umbre per la Marcia della Pace Perugia-Assisi vi erano anche alcuni rappresentanti dell'Osservatorio sui Balcani. Si riteneva importante la presenza proprio perché l'Osservatorio è nato su un forte stimolo della società civile e si propone di favorire lo sviluppo sostenibile ed una vera pace per l'area balcanica. Rappresenta quindi un progetto quanto mai vicino alle molteplici sensibilità presenti alla Marcia, in particolare a quelle che uniscono il "no alla guerra" con il lavoro concreto per la pace e la ricostruzione dal basso.
Grazie ad uno stand in piazza Santa Maria degli Angeli ad Assisi si sono potute incontrare molte realtà che lavorano ed operano nei Balcani ed è stata un'importante occasione per conoscersi e scambiare esperienze. Sono state inoltre distribuite più di 10.000 copie dell'Appello 'L'Europa oltre i confini. Per un'integrazione dei Balcani nell'Unione Europea: rapida, sostenibile, dal basso', cui continuano ad aderire molte personalità da tutta Europa. Tra le ultime firme ricevute anche quelle di Agostino Zanotti del Comitato di Brescia dell'Agenzia della Democrazia Locale di Zavidovici, BiH e Gianfranco Schiavone, responsabile dell'ufficio accoglienza dell'ICS.
Anche il Documento presentato ad Assisi dalla Tavola della Pace in occasione della Marcia richiama con forza il ruolo delle istituzioni europee, UE, in primis, nella costruzione della pace nel mondo, dimostrando una forte consonanza con l'Appello. Si legge ad esempio: "Alla vigilia dell'entrata in vigore dell'Euro, chiediamo al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio Europeo, ai Governi e ai Parlamenti dei paesi membri un particolare impegno affinché l'originario disegno pacifista d'integrazione europea torni ad orientare le politiche dell'Unione Europea. In tutto il mondo cresce la domanda di Europa. Un'Europa a servizio della pace, del disarmo e della prevenzione dei conflitti. Un'Europa aperta al resto del mondo, capace di esprimersi con una sola voce nel contesto delle relazioni mondiali per difendere la causa della legalità e della solidarietà internazionale, per portare avanti la realizzazione di un modello di nuovo ordine mondiale coerente innanzitutto coi principi della Carta dell'Onu e del diritto internazionale dei diritti umani. Un'Europa dove la politica e la dimensione sociale abbiano il primato sul mercato. Un'Europa impegnata a colmare il deficit democratico interno tuttora persistente, a sviluppare il dialogo sociale e civile, a orientare la politica di coesione economica e sociale, a promuovere e sviluppare forme di più efficace cooperazione e solidarietà con i paesi del Mediterraneo e i più poveri, ad accelerare l'ingresso nell'Unione dei paesi dell'Europea centrale e orientale".

Il dialogo interreligioso. Intervista con Roberto Morozzo della Rocca

10/10/2001 -  Davide Sighele

Abbiamo sentito Roberto Morozzo della Rocca rappresentante della Comunità di Sant'Egidio in merito all'inizio delle ostilità in Afganistan e le possibili ripercussioni nei Balcani

Entro il 2001 un treno collegherà Sarajevo a Belgrado

05/10/2001 -  Anonymous User

Il direttore delle ferrovie bosniache, Faruk Curcic, ha dichiarato che entro la fine del 2001 sarà ristabilito il trasporto ferroviario tra Bosnia-Erzegovina e Repubblica Federale Jugoslava. Si tratta in particolare di due linee, la prima collegherà Sarajevo a Belgrado, la seconda collegherà invece la capitale serba con Banja Luka.
Non appena sarà terminata la ricostruzione del ponte presso Bosanski Samac, ha assicurato Curcic, verrà ristabilito pure il collegamento per treni merci via Zvornik.
A questi risultati si è arrivati dopo la trattativa ed i negoziati tra Dragan Mikerevic, ministro per l'integrazione in europa della BiH, e Miroljub Labus, vicepresidente della Federazione Jugoslava. Per la ricostruzione ed ammodernamento delle necessarie infrastutture ferroviarie la Banca Europea per lo Sviluppo ha già approvato lo stanziamento di 80.000 euro (Nezavisne Novine , 27.09.2001).

Veltroni sull'integrazione dei Balcani in Europa

04/10/2001 -  Anonymous User walter, veltroni, mio, tuo, suo, europa

L'appello 'L'Europa oltre i confini': venerdì la consegna a Prodi

03/10/2001 -  Anonymous User

Venerdì 5 ottobre, a Trento, verrà consegnato nelle mani di Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, l'appello L'Europa oltre i confini per un'integrazione certa e sostenibile dei Balcani nell'Unione Europea. Saranno presenti alcuni dei firmatari trentini che hanno fortemente sostenuto l'iniziativa. Tra questi il parlamentare Giovanni Kessler, il vice-Presidente della Provincia di Trento Roberto Pinter, il Preside della Facoltà di Girisprudenza Roberto Toniatti e la Presidente della Regione Trentino-Alto Adige Margherita Cogo. Sono solo alcuni di coloro che in Italia, Europa e nei Balcani hanno voluto manifestare il loro appoggio all'appello per evitare che in Europa, dopo il crollo di quelli vecchi, si creino nuovi muri e divisioni.

Dieci anni di cooperazione nei Balcani: il 24 novembre un seminario

01/10/2001 -  Anonymous User

Pienamente operativo l'Osservatorio sui Balcani.

A Venezia la conferenza sui rapporti con l'UE

29/09/2001 -  Anonymous User

Si terra' sul tema ''I Balcani e l'Unione Europea'' la conferenza internazionale organizzata dall'Aspen Institute Italia e dal Patto di stabilita' per l'Europa Sud Orientale per il 6 e 7 ottobre prossimi, al Lido di Venezia. Obiettivo dell'incontro, cui prenderanno parte politici, economisti, rappresentanti della diplomazia internazionale, e' di discutere modelli e strategie per giungere ad una maggiore cooperazione e integrazione tra l'Europa e l'area balcanica, per garantire sicurezza, stabilita' e democrazia in un'are ancora esposta a possibili conflitti.

Il 'Forum dei cittadini di Srebrenica' denuncia il clima di corruzione in città

28/09/2001 -  Anonymous User

L'organizzazione non-governativa "Forum dei cittadini di Srebrenica" ha rivolto una lettera aperta (Glas Srpski- 20 settembre) alle organizzazioni internazionali attive in Bosnia-Erzegovina nella quale viene denunciato il clima di corruzione e malversazioni in cui è caduta la città. Non esenti da responsabilità sarebbero, secondo gli attivisti del Forum, anche alcuni rappresentanti internazionali o poco attenti a leggere i rischi della propria presenza e dei propri interventi nella realtà locale o personalmente coinvolti negli illeciti. Il Forum porta ad esempio l'apertura, tre anni fa, di un panificio a Srebrenica grazie a fondi dell'UNHCR . Il progetto era stato affidato ad un ONG locale. I macchinari, obsoleti, furono acquistati in Serbia ma venne presentata ai donatori internazionali documentazione falsa dove veniva dichiarato fossero nuovi. I lavoratori del panificio non ricevettero per ben 17 mesi lo stipendio ed infine vennero licenziati ed il panificio chiuso. Nonostante questo l'UNHCR ha stanziato recentemente altri 100.000 DM affidandoli alla medesima ONG il cui presidente, Stevan Janjic, si era comportato in maniera perlomeno ambigua.
Nella lettera aperta si chiede ai rappresentanti delle Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina di controllare e revisionare maggiormente le donazioni e gli investimenti della Comunità Internazionale a Srebrenica. Il presidente del Forum, Marinko Sekulic Kokeza, ha tenuto a sottolineare come nei sei anni successivi alla guerra Srebrenica, a causa della corruzione, ha subito un progressivo impoverimento. Nonostante la presenza internazionale e paradossalmente anche a causa della stessa.

Insieme in Europa

26/09/2001 -  Anonymous User

Il sindaco di Sarajevo incontra l'ambasciatore jugoslavo a Roma

Dubbi croati sui progetti di integrazione balcanica

17/09/2001 -  Anonymous User

Si discute in queste settimane sull'iniziativa del ministro tedesco Joska Fischer per promuovere nuovi processi integrativi nei Balcani, insistendo sull'obbligo di cooperazione interstatale ed economica nella regione derivante dal Patto di Stabilità per il sud est Europa. La viceministra degli esteri croata Vesna Cvjetkovic Kurelec ha dichiarato recentemente che la Croazia non rientra nelle dispute balcaniche, e che perciò non può rappresentare neanche la chiave per la soluzione dei problemi nel sud est europeo (Vjesnik, 11.9). Secondo la viceministra, il paese ha un forte interesse per la pace e stabilità nella regione, ed è in grado di aiutare il processo di stabilizzazione in Bosnia Erzegovina. Allo stesso tempo accetta la proposta di intensificare la cooperazione bilaterale con tutti i paesi balcanici, ma respinge l'ipotesi di un'unione monetaria e doganale dell'area. Un commento molto più duro arriva dal presidente del HDZ Ivo Sanader: l'iniziativa di Fischer sull'unione economica dei Balcani occidentali si trova sulla linea delle idee "integrazioniste" già avanzate da diversi leader dell'Unione europea, dall'uomo d'affari Boris Vukobrat e dal periodico italiano Limes (Slobodna Dalmacija, 11.9). E, secondo Sanader, sono idee assolutamente inaccettabili per la destra croata. In parte diversa è la proposta contenuta nell'Appello "L'Europa oltre i confini", che sarà presentato lunedì prossimo in Campidoglio a Roma dai Sindaci di Sarajevo e Roma. Più che di un'Unione inter-balcanica, nell'Appello si sottolinea l'importanza di aprire la stessa Unione Europea alla partecipazione dei paesi di quell'area. Ma su tutto questo avremo modo di tornare nelle prossime settimane, anche con forum di discussione appositi.

Disastri umanitari e sociali

01/09/2001 -  Anonymous User

LE UCCISIONI DI CIVILI, I DANNI MATERIALI (DISTRUZIONE DI INFRASTRUTTURE, STABILIMENTI INDUSTRIALI, ECC.) E LE CONSEGUENZE AMBIENTALI (INQUINAMENTOTOSSICO E RADIATTIVO, URANIO IMPOVERITO, ECC.) CAUSATE DALL'INTERVENTO DELLA NATO (MARZO-GIUGNO 1999) IN SERBIA E IN KOSOVO SONO SOLO L'ULTIMO TASSELLODI UN DECENNIO DI DEVASTAZIONI CHE HANNO SCONVOLTO I PAESI DELL'AREA DELL'EX JUGOSLAVIA E CHE HANNO CAUSATO OLTRE 300.000 MORTI, PIÙ DI 2.700.000PROFUGHI, LA DISTRUZIONE GENERALIZZATA DI CITTÀ COME VUKOVAR, MOSTAR, SARAJEVO (E DI TANTE ALTRE CITTÀ E VILLAGGI), LA DEVASTAZIONE DEL TESSUTO SOCIALE,COMUNITARIO, CIVILE, UMANO, LA RIDUZIONE DELLE ECONOMIE DEI PAESI EX JUGO-SLAVI AL DI SOTTO DEI LIVELLI DI SUSSISTENZA.

Prendiamo proprio le conseguenze di dieci anni di guerre sulla situazione economica:i dati economici parlano chiaro: la disoccupazione è a percentuali altissime:
oltre il 40% in Bosnia e oltre il 30% in Macedonia e Repubblica Federale di Jugoslaviae quasi il 25% in Croazia. La Macedonia ha avuto una contrazione del 4% della propria
crescita economica nel corso del 1999. Tra il 1990 e il 1995 il PIL in termini realisi è ridotto di quasi il 30%, il volume dei traffici commerciali è sceso del 40% e i consumi sono caduti ad un tasso del 5% annuo. Si calcola che nella Repubblica Federale di Jugoslavia a causa delle conseguenzedella guerra - con la distruzione di infrastrutture e industrie - saranno
necessari 15 anni per ritornare ai livelli produttivi prebellici. Le stime riguardo alladisoccupazione parlano di 800.000 persone senza lavoro (oltre il 35% della popolazione attiva) e ben il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.Nel '99 la produzione industriale è diminuita del 23% ed ora continua ad essere a livelli nettamente inferiori a quelli anteguerra. Inoltre va ricordata la situazione drammaticadei profughi (circa 800.000) che vivono in FRJ e che non riescono a tornare alle loro case in Kosovo, in Bosnia e nelle Krajine.
Oggi la situazione della Croazia, dopo l'avvento del governo democratico diRacan (gennaio 2000), sembra sulla via della lenta ripresa. Va ricordato che solo un
anno fa la produzione industriale era il 20% di quella del 1990; i livelli produttivi didieci anni fa dunque sembrano ancora lontanissimi. La disoccupazione è oltre il 22%
(settembre 2000). Ad un tasso d'inflazione contenuto (non superiore al 4%) corrispondeperò un pesante debito estero: 9,9157 miliardi (giugno 2000). In Croazia il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Oggi quella della Bosnia è un'economia di sussistenza con larghe sacche di povertà: i dati riportati mostrano l'elevato tasso di disoccupazione nelle due entità territoriali bosniache. La disoccupazione è oltre il 40% nella Federazione mentre senzai finanziamenti internazionali - come già ricordato - la percentuale del PIL nel 1999
avrebbe fatto registrare un desolante -1%. Il PIL procapite bosniaco è il 3,3% di quellodegli Stati Uniti. Va ricordato che degli aiuti internazionali (più di 5 miliardi tra il 1995 e il 1998) arrivati circa il 20% è andato disperso, male utilizzato o finito nellereti dell'economia illegale e mafiosa. Solo il 10% di questo aiuto è stato destinato ai settori produttivi che oggi arrivano solo al 28% di quelli del 1991, l'anno precedenteallo scoppio della guerra. Riguardo ai profughi bosniaci va ricordato che in Bosnia Erzegovina erano rientrati nel 1999 circa 395.000 dei profughi che avevano abbandonatoil paese durante la guerra.
In Montenegro - centro di numerosi circuiti mafiosi e criminali - oltre il 40%
della popolazione montenegrina vive sotto la soglia della povertà e le perdite finanziarieper gli effetti delle sanzioni sull'economia generale del Montenegro sono state stimate approssimativamente in 6.39 miliardi di dollari. In Kosovo, dopo la cospicua assistenza della Federazione Jugoslava, la sopravvivenzadell'area è ancora legata all'aiuto della comunità internazionale per almeno molti anni. Il varo del Patto di Stabilità (Sarajevo, luglio 1999) con la partecipazione degliorganismi internazionali e dell'Unione Europea aveva aperto qualche speranza di ricostruzione,
di cooperazione e di integrazione nell'area, ma ben poco è stato fatto. Moltisoldi sono stati promessi (10.000 miliardi di lire solo dall'Unione Europea nel periodo 2000-2006), ma pochi sono stati effettivamente spesi. Inoltre ciò che è stato realizzatoè andato soprattutto a sostegno degli interventi per le infrastrutture e le vie di comunicazione: si tratta di ben il 90% dei fondi finora stanziati. Solo le briciolesono andate alla ricostruzione sociale e agli interventi di sviluppo umano. Sembrano così confermate le linee di tendenza di una strategia della ricostruzione verso l'areabalcanica che invece di privilegiare interventi a favore dell'integrazione e della cooperazione nell'Unione europea e tra i paesi dell'area propone un approccio estemporaneoe di breve respiro, legato magari a qualche interesse economico o di penetrazione commerciale. Altri - le organizzazioni non governative, le comunità locali,il terzo settore, ecc. - hanno proposto una diversa strada: un sostegno economico e una strategia cooperativa che valorizzino l'impatto integrativo, la formazione delcapitale sociale e delle risorse umane, lo sviluppo della comunità e delle democrazie locali, la costruzione di piani territoriali, l'economia sociale. E' questa la stradadi uno sviluppo umano e sostenibile che assicuri la transizione e l'integrazione nella
pace di tutti i Balcani.

© ICS - Osservatorio sui Balcani;

Aiuti, diplomazia popolare, solidarietà

01/09/2001 -  Anonymous User

A GLI INIZI DI GIUGNO DEL 1992 COMPARVE SULL'UNITÀ UN EDITORIALE,DAL TITOLO: "MA DOVE STANNO I PACIFISTI?", IN CUI CI SI INTERROGAVA COME
MAI PER SARAJEVO - ALLORA ALL'INIZIO DI UN LUNGO ASSEDIO- NON C'ERANO STATE LESTESSE MANIFESTAZIONI CHE ERANO STATE ORGANIZZATE CONTRO LA GUERRA IN VIETNAM.
Don Tonino Bello aveva così risposto dalle colonne di un altro quotidiano, quelle de
L'Avvenire: "Non stanno nelle piazze: non saprebbero che fare dal momento che nonè identificabile un soggetto preciso contro cui prendersela, stavolta. Non stanno a far
chiasso in corteo: fatica sprecata, visto che certi clamori non si sa bene, in questo caso,chi dovrebbe ascoltarli ... Voi lo sapete dove sono andati a finire i pacifisti. Li troverete
negli innumerevoli laboratori d'analisi in cui si smaschera la radice ultima di ogniguerra e quella ultimissima del suo archetipo di sangue: il potere del denaro. Li troverete
nei luoghi dove si formano le nuove generazioni a compitare le letture sovversivedella pace, facendo loro capire che i cannoni non tuonano mai amore di patria, ma sillabano
sempre in lettere di piombo la suprema ragione dell'oro. Li troverete là dovesi coscientizza la gente sulle strategie della nonviolenza attiva e la si educa a vivere
in una comunità senza frontiere e senza eserciti. Li troverete là dove, scoprendo tuttal'impostura dell'antico mito della città che si fonda sul sangue, si mostra che invece
è possibile fondarla sulla solidarietà...".

20.000 VOLONTARI

Molti pacifisti erano - ai tempi dell'editoriale de l'Unità - già in Jugoslavia a fiancodelle vittime della guerra. Nell'ex Jugoslavia le iniziative di volontariato, le esperienze
di diplomazia popolare dal basso, l'azione umanitaria e il sostegno alle forze democratichee non nazionaliste sono state molte diffuse sin dall'inizio, come in nessun altro
conflitto. I numeri lo testimoniano. Diverse fonti (Ics-Consorzio Italiano di Solidarietà,Agesci, Forum del Terzo Settore) concordano nello stimare in almeno 20.000 i volontari,
gli operatori umanitari e in generale i civili che si sono recati nelle aree della exJugoslavia per realizzare interventi umanitari, di interposizione e di cooperazione. E
sono stati, in base a queste stime, almeno oltre 1.200 le associazioni, i gruppi grandie piccoli, le parrocchie, le scuole, i comitati spontanei che si sono mobilitati per la solidarietà con le aree colpite dal conflitto. E per l'accoglienza diretta ai profughi: più di
5.000 in Italia, più di 45.000 nelle aree di conflitto. Analogamente si possono fare stime così significative anche per gli enti locali e, a alla luce dei dati accumulati fino ad oggi,si può realisticamente affermare (si tratta anche in questo caso di una stima prudente)
che in questa esperienza di intervento umanitario e di cooperazione con l'Europacentrale, orientale e balcanica siano stati coinvolti non meno di 1.000 enti locali.

IL PACIFISMO CONCRETO

Si potrebbero citare, a fianco delle mobilitazioni umanitarie, le tante iniziative politiche
e pacifiste promosse con alterni risultati: la "Carovana della pace" da Trieste aSarajevo (settembre 1991), la "marcia dei 500" a Sarajevo (dicembre '92) e "Time for
peace" in tutti i territori jugoslavi (dicembre '92), Mir Sada (agosto '93), "Tre città, unapace" (dicembre '93) ... e tante altre. E poi le manifestazioni in Italia: a Trieste nel giugno
del '91, il corteo da Ancona a Falconara nell'aprile del '93 e la marcia Perugia-Assisinel settembre '93, "mille giorni bastano!" a Roma per i mille giorni di assedio di Sarajevo
nel dicembre del 1994 e poi nel luglio del '95, manifestazioni e cortei in 50 città italianecontro le stragi di Srbrenica e Zepa. E poi, recentemente: le manifestazioni a Roma,
Aviano, da Perugia ad Assisi nel 1999 contro l'intervento della Nato in Kosovo.
Ma la novità del pacifismo di fronte al dramma jugoslavo si è manifestato "sulcampo". Il lavoro pacifista e di volontariato è stato uno strumento per conquistare la
fiducia delle comunità coinvolte nel conflitto e per ristabilire dei ponti di dialogo, esercitando un ruolo di pacificazione concreto e sul campo. Ha detto Alex Langer: "I pacifisti, anzi, sono più presenti che mai nel conflitto jugoslavo. Con meno tifo e meno bandiere, meno slogan e meno manifestazioni, ma con un'infinita quantità di visite, scambi,aiuti, gemellaggi, carovane di pace e quant'altro. Un pacifismo (finalmente!) meno gridato, ma assai più solido e concreto. Il che vuol dire anche più complicato, perchéla vita è complicata, e la pace non si ottiene per vie semplicistiche: né con il sostegno unilaterale alle parti ritenute 'buone', e neanche con l'idea che un massiccio interventoarmato esterno potrebbe pacificare la regione".
E fu nell'ambito del sostegno concreto alle alternative democratiche che fu promosso
dall'Associazione per la pace e dall'Arci nel maggio del 1995 a Perugia un incontrotra Milorad Dodik, presidente del gruppo di 11 parlamentari serbi indipendenti
del Parlamento di Pale che si opponevano a Karadzic e Sejfudin Tokic, leader dei social-democratici bosniaci all'opposizione di Izetbegovic. Fu firmato un documento comunea favore della Bosnia multietnica, ma come ricorda Stefano Bianchini: "l'evento fu ignorato dalla stampa e i partecipanti invitati dal mondo politico ad "adeguarsi" allarealtà". Come al solito i pacifisti sostenevano le forze democratiche e l'occidente trattava con le leadership nazionaliste.
Quella dei volontari è stata la più vasta mobilitazione pacifista e umanitaria internazionale realizzata dal tessuto della società civile e degli enti locali negli ultimi anniche - pur concentrata in gran parte nella fase dell'emergenza bellica con l'invio degli aiuti e l'assistenza ai profughi - ha avuto un significativo prolungamento nella fase dellaricostruzione e ora della cooperazione.

GLI INSEGNAMENTI

Nel corso di questi anni abbiamo imparato che le guerre jugoslave parlano di noi, delle contraddizioni irrisolte della costruzione dell'Europa e del processo di integrazione, della crisi dello Stato nazionale e del nazionalismo come risposta alla modernizzazione, dei valori conclamati (convivenza, multietnicità, solidarietà) da un'Europache li ha sistematicamente traditi a Sarajevo, Belgrado, Pristina. Nel corso di questa esperienza società civile ed enti locali hanno maturato, in condizioni drammatiche di guerra, non solo una approfondita conoscenza dei territori dovehanno iniziato ad operare, ma anche acquisito nuove metodologie e approcci originali
di intervento rispetto ad un'area dalle dinamiche politiche, sociali e culturali complesse.
Da subito - anche nel corso degli interventi di emergenza e di invio di aiuti nellaprima metà degli anni '90 - l'approccio culturale e le metodologie operative utilizzate hanno teso a sostenere e a valorizzare il tessuto sociale e comunitario, la società civilelacerata dal conflitto, le forze che si opponevano al nazionalismo. Infatti in un conflitto che aveva tra i suoi obiettivi la pulizia etnica, la rottura della convivenza (colpendo adesempio le città simbolo della multietnicità come Mostar e Sarajevo), la distruzione del tessuto comunitario interetnico era necessario difendere le isole di resistenza a questafolle logica bellica e nazionalista: fu questa la ragione del sostegno a situazioni così diverse come la città multietnica di Tuzla in Bosnia, il sistema dei media indipendenti in tutte le aree della ex Jugoslavia, le esperienze di incontro e cooperazione multietnica (forse
l'unica insieme a quella dei giornalisti) delle donne di tutte le repubbliche jugoslave.
Inoltre la "crisi jugoslava", dopo la drammatica fase postbellica, ha evidenziatonell'esperienza della società civile e degli enti locali l'affinamento di metodologie e approcci legati ad una fase dell'intervento che si situa tra l'emergenza e la cooperazione,quello del post conflict o del peace building (cosa diversa dalla ricostruzione in senso stretto) che è particolarmente importante per costruire le condizioni di cooperazionee di sviluppo in territori colpiti da conflitti etnici dove sono state divise le comunità, è stato lacerato il tessuto sociale, sono state ferite le istituzioni democratiche.

SVILUPPO UMANO E SOCIALE

È per questi motivi che la cooperazione della società civile e degli enti locali può avere un ruolo importante e strategico, se adeguatamente sostenuta e valorizzata dalle istituzioni nazionali ed internazionali. Così finora non è stato. Nell'elaborazione delleorganizzazioni della società civile e degli enti locali è stata in questi ultimi mesi ripetutamente criticata l'impostazione di una strategia sulla ricostruzione fondata preva-lentementesugli interventi di natura invasiva rivolti agli aspetti materiali infrastrutturali, lasciando sullo sfondo la priorità della ricostruzione sociale, civile e democratica delle aree interessate. Nonostante gli organismi comunitari ed internazionali, ed anche istituzioni come Banca Mondiale e FMI abbiano sostenuto a parole l'importanza di investire sullo "sviluppo umano" e sociale, nella pratica ben pochi soldi sono stati spesi per questo proposito: l'ingente massa delle risorse è stata indirizzata alle infrastrutture, alsostegno del mercato, allo sviluppo delle vie di comunicazione. La cornice dei programmi del Patto di Stabilità evidenzia un assoluto ritardo nel sostenere progetti e interventi nella direzione dello sviluppo umano e sociale. Lo stessovale per l'Italia che ha destinato solo il 25% (nominale, perché in realtà le somme
effettivamente stanziate sono la metà di quelle dichiarate e promesse) dell'intera sommaper i progetti del Patto (304 miliardi a marzo del 2001) ai progetti del Tavolo 1 (sulla democratizzazione e i diritti umani), mentre tutto il resto è andato a sostenereprogetti su vie di comunicazione, infrastrutture e - in minima parte - alla ripresa delle attività produttive. È evidente che in questo contesto istituzionale di investimento marginale a favoredell'intervento per lo sviluppo umano e sociale, le organizzazioni della società civile si sono mosse con scarsità di mezzi, affidandosi a strategie di progettualità, in parteautosostenute, fondate sulle relazioni e cooperazione tra comunità. Il tema è proprio questo: come sostenere una strategia -che pacifisti, volontari e comunità locali hannocercato di promuovere- della ricostruzione fondata sullo sviluppo umano e sociale e non sugli interessi degli interventi economici privati o sulla miopia dei grandi donatori inter-nazionali e delle politiche neoliberiste delle istituzioni finanziarie internazionali.

SOCIETÀ CIVILE ED ENTI LOCALI AL LAVORO

Organizzazioni della società civile ed enti locali hanno individuato nel corso diquesta esperienza di cooperazione e di intervento umanitario con i paesi colpiti dai conflitti e dalle tensioni interetniche nell'Europa centrale, orientale e balcanica, alcunedirettrici fondamentali del proprio impegno che hanno ispirato gli interventi concreti realizzati e quelli in via di progettazione.
Tra questi vanno ricordati il sostegno alle democrazie locali e alle società civilicon programmi specifici di gemellaggio, cooperazione decentrata, formazione degli amministratori locali, sviluppo di reti di protezione e di rafforzamento del tessuto civile e democratico, attraverso il sostegno alle associazioni e ai media. In secondo luogova evidenziato l'impatto strategico dell'investimento sulla formazione, gli scambi culturali e la cooperazione universitaria, come antidoto a ogni tentazione di chiusurae nazionalista, come costruzione di opportunità di lavoro. In questo senso la sperimentazione di forme originali di economia locale e sociale che aiutino la coesione diun tessuto comunitario lacerato, il potenziamento dei servizi alla comunità e il welfare distrutto dalle politiche degli anni '90, uno sviluppo economico "labour intensive" inpaesi di crescente disoccupazione, diventa un obiettivo di fondo: aiuto al terzo settore, alle imprese sociali e di tipo cooperativo e al microcredito sono i programmi già avviatie da potenziare. Nel sostegno di un intervento a forte tasso sociale e comunitario, centrale è l'intervento a favore della tutela dell'ambiente. Infatti questo da una parterisponde all'esigenza di sanare le gravi ferite prodotte dalle guerre con la devastazione
del territorio, dall'altra può avere un impatto di tipo integrativo e di sviluppointegrato con alcune attività economiche. Va infine ricordato che gli obiettivi dell'intervento delle organizzazioni della
società civile e degli enti locali non sono dissimili da quelli prevalentemente solo dichiarati dalle istituzioni della comunità internazionale: sviluppo e cooperazione economicaintegrazione europea e transbalcanica, sostegno alla democratizzazione e promozione dei diritti umani, la pace e la sicurezza e - questione ancora irrisolta - una stabilizzazionedell'area che riconosca il principio della convivenza multietnica con il ritorno dei profughi alle loro case: problema che interessa ancora 2.000.000 di persone di tuttala ex Jugoslavia. Come ricorda il Dossier sulla ricostruzione dei Balcani elaborato dall'ICS "... Ci sono tanti progetti che potrebbero essere approvati e sviluppati e che sarebbero simbolicamenteimportanti: un progetto sul modello Erasmus per far circolare 50.000 giovani "da e per" i Balcani; un programma generalizzato di microcredito per sostenere l'economiasociale e le nuove micro-imprese in campo agricolo e ambientale; un pro-gramma
di institutional building per 500 municipi di tutte le aree per gemellaggi e formazioneamministrativa; un piano straordinario che faccia del Danubio un'arteria di commerci, di trasmissione di culture e di incontro per i sette paesi di quest'area, un pianoper far rientrare già nel 2001-2002, 20.000 profughi serbi in Krajina, sviluppando in questo modo un'area depressa a ridosso dell'Adriatico..." .
Esempi e idee non mancano. Naturalmente istituzioni internazionali, comunitarie e nazionali devono essere convinte della giustezza di una strategia unitaria - nonseparando mai ricostruzione economica, democratizzazione, pacificazione e sviluppo sociale - per sradicare il nazionalismo e ricostruire la pace nella regione, evitando glierrori fatti in questi anni.

© ICS - Osservatorio sui Balcani

L'altra Jugoslavia contro i nazionalismi e le guerre

01/09/2001 -  Redazione

Rada, Mirjana, Halit, Suada, Sicko, Lino, Blanka. Sono uomini e donne dell' "Altra Jugoslavia", che non hanno condiviso il nazionalismo e la discesa in guerra. Che hanno manifestato, hanno disertato pagando con la vita o la carcerazione, oppure hanno 'semplicemente' sottratto alla pulizia etnica persone di un'altra nazionalità

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28/06/2001 -  Anonymous User

Inizia domani a Bruxelles la Conferenza dei donatori per la Repubblica Federale di Jugoslavia. I rappresentanti della Commissione europea e la Banca mondiale hanno ieri confermato le aspettative secondo le quali nell'incontro dei donatori saranno raccolti 1,25 miliardi dollari per la FRJ, quanto, secondo le stime degli esperti, è necessario allo stato per effettuare le riforme economiche dell'anno in corso. Alla conferenza stampa della Commissione europea è stato detto che l'aiuto economico sarà sempre condizionato sia politicamente che economicamente anche dopo questo incontro. I donatori possono, infatti, promettere denaro, ma possono anche bloccarne in seguito l'elargizione, ha riferito il portavoce della Commissione.

» Fonte: © Sense;

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27/06/2001 -  Anonymous User

Pubblichiamo la versione integrale in lingua inglese del Decreto approvato il 25 giugno scorso dalla RFY riguardante la collaborazione con il Tribunale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra.Il testo è stato distribuito dall'ufficio ICS di Belgra

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16/06/2001 -  Anonymous User

Il settimanale serbo "NIN" ha pubblicato un lungo articolo dal titolo "Il 'fallimento' del piano Frowick" (la versione italiana è disponibile su Notizie Est), nel quale si afferma che "l'insuccesso della missione Frowick e del suo piano di pace è sotto tutti gli aspetti una storia tipica della diplomazia americana" e inoltre, "la missione di Frowick, anche se si svolgeva sotto la copertura formale dell'OSCE, è stata nella sostanza un 'diplomatic effort' americano di basso profilo". Secondo NIN uno dei maggiori errori commessi da Frowick e dal suo aiutante David Foley, nella gestione dei dialoghi, è stato l'essersi legati troppo con il presidente macedone Trajkovski, "ignorando completamente il fatto che il potere reale nel governo e nella VMRO è in sostanza nelle mani di Georgievski". Ad ogni modo, prosegue il settimanale belgradese, "la parte più importante e più utile della missione è stata quella dello 'holbrooking'", ed in ciò si trova il maggior successo della tentativo diplomatico. Infatti "mantenendo un basso profilo, sono riusciti in un certo periodo di tempo a creare un flusso di informazioni tra l'UCK, i leader politici albanesi e il governo macedone".
Tuttavia la missione è fallita. Sorretti da un'eccessiva fiducia nell'aver trovato una soluzione alla crisi in atto nel paese, Frowick e Foley sono usciti allo scoperto e hanno reso pubblico il loro piano durante una conferenza stampa. "Nel farlo - precisa NIN - non hanno spiegato a fondo l'elemento dell'integrazione dell'UCK nella società, e sui media è risultato che i terroristi in qualche modo avrebbero formato un partito". I media li hanno bombardati con le richieste di chiarimento, ma la mancanza di personale, nella gestione delle informazioni, ha inficiato la possibilità di ulteriori spiegazioni. Cosicché dopo la conferenza stampa sono rimasti isolati e, con l'uscita dall'ambito del basso profilo, non sono stati sostenuti sul piano diplomatico.
L'eccessivo investimento sul presidente Trajkovski, affinché mantenesse il comando delle forze armate, e l'aver reso noto il piano anzitempo, sono stati errori fatali. La situazione in breve tempo è precipitata. "Il portavoce del governo macedone ha dichiarato che non è assolutamente chiaro chi rappresentasse il signor Frowick, visto che non era né sotto il mantello della missione ufficiale dell'OSCE, né aveva un mandato degli USA o dell'ONU. Il giorno successivo, il nuovo ministro macedone degli esteri, Ilinka Mitreva, dichiarava che la Macedonia non avrebbe dato il proprio assenso a un ampliamento della missione OSCE". Da qui la confusione generale: nessuno era disposto ad ammettere cosa fosse accaduto, chi rappresentava Frowick e che cosa stesse attuando con gli esponenti locali. Alla fine il governo macedone ha "gentilmente pregato" Robert Frowick di abbandonare il paese.
Tuttavia, se ormai ci si è dimenticati della missione, il piano di Frowick è rimasto e - conclude NIN - "visto da un punto formale, l'insuccesso di Frowick è un insuccesso dell'OSCE, mentre il fatto che il suo piano continui a essere in vita è un successo della diplomazia USA".

Gli aiuti non arrivano a Lipkovo

13/06/2001 -  Anonymous User

È fallita l'azione che avrebbe dovuto portare gli aiuti umanitari alla popolazione civile (circa 17.000 persone) della zona di Lipkovo. Le forze di sicurezza macedoni hanno impedito che con il convoglio umanitario entrasse anche una delegazione di giornalisti stranieri, così come richiesto dai guerriglieri albanesi. Come confermato dalle fonti albanesi in Macedonia, il comando dell'UCK ha fornito garanzie di sicurezza per tutti quei giornalisti che vogliono soggiornare nel comune di Lipkovo.
Il convoglio umanitario prevedeva la consegna di generi alimentari e per l'igiene, mediante il trasporto con 15 camion e 11 piccoli autobus.

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08/06/2001 -  Anonymous User

La missione OSCE in BiH ha reso noto ieri che è stato nominato il nuovo capo missione per la BiH. Si tratta dell'ambasciatore Robert Beecroft. La portavoce dell'OSCE, Sanela Tunovic, ha comunicato, durante la conferenza stampa a Sarajevo, che l'ambasciatore Beecroft si unirà alla missione entro la fine del mese. Come afferma l'agenzia BiH press, Robert Beecroft è stato coordinatore per l'implementazione della pace in Bosnia presso l'Ufficio per le relazioni europee del Dipartimento di stato americano. Negli ultimi cinque anni, ha ricoperto la funzione di sostituto dell'assistente del segretario di Stato americano presso l'Ufficio degli affari politico-militari, inoltre ha svolto le funzioni di capo missione e inviato speciale dell'ambasciata degli USA a Sarajevo.