Da fine marzo la polizia croata ha iniziato una nuova e allarmante pratica di rintraccio, detenzione ed espulsione collettiva di persone verso la Bosnia Erzegovina, trasportandole in autobus ai valichi di frontiera, dove vengono poi consegnate alle autorità bosniache. Lo dimostrano le informazioni raccolte dal Border Violence Monitoring Network, come denuncia la rete RiVolti ai Balcani
Fonte: RiVolti ai Balcani
Da fine marzo di quest’anno la polizia croata ha iniziato una nuova e allarmante pratica di rintraccio, detenzione ed espulsione collettiva di persone in movimento verso la Bosnia Erzegovina, trasportandole in autobus ai valichi di frontiera, dove vengono poi consegnate alle autorità bosniache. Una pratica inquietante denunciata dal Border violence monitoring network (Bvmn). La rete RiVolti ai Balcani rilancia la presa di posizione del Border Violence Monitoring Network, ribadendo anche le preoccupazioni per l’annunciata riattivazione delle riammissioni al confine italo-sloveno da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a fine 2022 e di cui RiVolti ai Balcani ha già richiesto la sospensione data la loro provata illegittimità. Queste riammissioni, in passato, si sono tradotte infatti in respingimenti a catena dalla Slovenia verso Croazia e poi, appunto, in Bosnia ed Erzegovina.
Secondo le testimonianze raccolte dal Bvmn dalle vittime delle espulsioni (poi confermate il 30 marzo dalle autorità del Cantone bosniaco di Una-Sana), la polizia croata intercetta le persone in movimento su tutto il territorio nazionale e, dopo averle fermate, le scorta in stazioni di polizia utilizzando veicoli in borghese. All’inizio del 2023 il ministro dell’Interno croato ha adottato misure riorganizzative riassegnando 742 agenti di polizia, precedentemente schierati ai valichi di frontiera con Slovenia e Ungheria, a squadre mobili incaricate proprio del rintraccio dei migranti nei territori a ridosso del confine Schengen della Croazia.
“Un furgone senza simboli ci ha fermato vicino alla strada. Le persone all’interno non avevano uniformi della polizia, ma abbiamo visto che avevano armi e da quello abbiamo capito che erano poliziotti. Ci hanno fatti salire sul furgone e portato alla stazione di polizia. Non sapevamo che cosa ci sarebbe successo ed eravamo tutti molto spaventati, continuavano a urlarci contro nella loro lingua e si rifiutavano di parlare inglese”, hanno descritto diverse persone intervistate dal Bvmn.
Le vittime descrivono di essere state detenute per ore in stanze sotterranee simili a prigioni senza accesso a cibo e acqua, dopodiché le autorità hanno emesso una decisione di “riammissione” in Bosnia Erzegovina. Alcune persone con cui il Bvmn ha parlato si sono lamentate di essere state costrette a firmare documenti in una lingua che non capivano, un motivo di illegittimità rispetto all’articolo 196 della Legge sugli stranieri, a cui si riferiscono le decisioni di espulsione. Inoltre, le vittime affermano di non aver avuto la possibilità di presentare ricorso contro la procedura, prevista dal Regolamento sull’assistenza legale gratuita nel processo di espulsione e riammissione degli stranieri, nonché dal diritto internazionale.
“Ci hanno tenuto in una specie di stanza in un seminterrato senza alcuna spiegazione. Non sapevamo che cosa avremmo firmato o che cosa ci sarebbe successo. Abbiamo chiesto aiuto per i bambini, almeno pannolini e latte per i più piccoli, ma non abbiamo avuto neanche quello. Un giovane chiedeva che gli fossero restituiti gli occhiali, ma hanno detto solo ‘no’. Le donne e i bambini erano molto spaventati, non sapevo che cosa dire per calmarli. Dopo che abbiamo dichiarato diverse volte che i nostri figli avevano fame, abbiamo ottenuto pane e acqua. Abbiamo dormito sul pavimento per due giorni, e poi ci hanno trasferito in un’altra struttura, dove molte persone sono state tenute nella stessa stanza con noi”, ha riferito uno dei membri di una famiglia detenuta.
Dopo aver firmato i documenti, gli agenti di polizia hanno trasferito questi gruppi, compresi minori, donne e bambini, in altre strutture di detenzione. Le descrizioni della durata del viaggio e l’aspetto dei locali in cui sono stati confinati indicano la possibilità che siano stati portati ai centri formalmente di accoglienza per stranieri di Ježevo e al centro “di transito” Tovarnik, strutture sostanzialmente detentive. Entrambe sono state peraltro oggetto di denunce da parte delle organizzazioni della società civile per anni a causa di sospette violazioni dei diritti umani, tra cui l’impossibilità di mettersi in contatto con gli avvocati.
“La polizia ci ha chiesto di pagare l’alloggio, il cibo e il trasporto fino al confine, come se fossimo in un albergo e non in una prigione. Non abbiamo chiesto di essere portati lì. Ci sentiamo come se fossimo stati derubati”, lamenta uno degli uomini espulsi in Bosnia Erzegovina.
Dopo diversi giorni, e in alcuni casi anche settimane, trascorse in questi centri, la polizia croata ha iniziato a portare gruppi di persone al valico di frontiera, dove sono stati successivamente consegnati alle autorità bosniache attraverso il processo formale di riammissione. La scorsa settimana, il valico di frontiera di Slavonski Brod è diventato un punto di riferimento per le riammissioni collettive.
Queste pratiche sono illegittime, come dimostrato dai precedenti giudiziari stabiliti dai tribunali nazionali in Italia, Slovenia e Austria, che hanno sancito la illegalità di questi tipi di riammissioni bilaterali, che costituiscono una violazione del principio internazionale di non respingimento. “L’esperienza italiana ci permette di affermare che l’esistenza di accordi bilaterali di riammissione con i Paesi confinanti è uno strumento che offre la possibilità di un uso distorto delle procedure di trasferimento proprio a causa della sistematica errata applicazione delle garanzie previste per la tutela del diritto di asilo e il diritto a una valutazione individuale delle condizioni di ingresso”, ha spiegato Anna Brambilla, avvocata dell’Asgi che ha vinto la causa contro le riammissioni presso il Tribunale di Roma nel gennaio 2021. Le stesse riammissioni che, come detto, sono state riattivate dal governo italiano . Il caso si basava sulla testimonianza di un uomo respinto a catena dall’Italia, attraverso la Slovenia e la Croazia, fino alla Bosnia, documentata dal Bvmn. Si tratta di casi in cui le persone sono state respinte tra Stati membri dell’Ue; la riammissione bilaterale di persone che si trasferiscono in Paesi al di fuori del l’Ue è ancora più preoccupante e costituisce un rischio ancora maggiore di violazione del principio di non respingimento.
A seguito delle riammissioni dalla Croazia alla Bosnia Erzegovina, gli agenti del Servizio per gli affari esteri (Sfa) della Bosnia e dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) hanno trasferito poi le persone nel cantone di Una-Sana, vicino al confine croato: gli uomini sono portati al centro di transito-detenzione di Lipa, e le famiglie al centro di accoglienza Borići a Bihać.
La rete RiVolti ai Balcani esprime grande preoccupazione per questa nuova prassi e torna a chiedere alla luce di queste nuove procedure la sospensione delle riammissioni al confine italo-sloveno che rischiano di tradursi in respingimenti a catena verso la Bosnia ed Erzegovina. La rete sottoscrive la richiesta del Border violence monitoring network (Bvmn) rivolta al ministero dell’Interno croato di chiarire immediatamente la questione e ad assicurare il rispetto dei diritti garantiti dalle norme interne e internazionali, compreso il diritto alla protezione internazionale, accesso alle procedure di ricorso, informazioni sui diritti previsti dalla legge, traduzione durante tutto il procedimento e assistenza legale gratuita a tutte le persone che si spostano nel territorio della Repubblica di Croazia.