La Corte di Strasburgo rende giustizia ai sopravvissuti del massacro di Novye Aldy, uno degli episodi più terribili della seconda campagna militare russa in Cecenia

17/08/2007 -  Anonymous User

Di Asya Umarova*, Novye Aldy (Grozny), per IWPR, 9 agosto 2007 (titolo originale: "Chechen Massacre Survivors See Justice")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta

Malika Labazanova racconta pacatamente la sua storia, senza alzare gli occhi dalle patate che sta pelando sotto una tettoia nel cortile di casa sua.

L'asfalto del cortile è ancora sconnesso, un piccolo indizio di quello che la sua casa e la sua famiglia hanno passato nel febbraio 2000. La casa stessa fu bruciata, ed è stata in seguito ricostruita.

Ora Malika, 52 anni, ha ottenuto dalla Corte europea per i diritti umani un risarcimento per tutte le sofferenze che ha passato e per le persone care che ha perduto, ma ciò che è successo rimarrà con lei per sempre.

"Non scorderò mai quella sensazione, di essere in attesa di morire", dice.

Il 5 febbraio 2000, i soldati russi condussero una operazione di "pulizia" - denominazione che indica una perlustrazione alla ricerca di combattenti ribelli - a Novye Aldy, che si trova ai confini della capitale cecena Grozny.

Attraversando il villaggio i soldati domandavano denaro e oggetti preziosi, sparando a quelli che non gli davano ciò che volevano.

"Come avrei potuto avere del denaro?", si chiede Malika. "Se ne avessimo avuto ce ne saremmo andati. Trovai solo 300 rubli e mi tolsi gli orecchini".

Racconta che un soldato la portò in casa e le puntò alla testa la canna del fucile.

"Era ubriaco, quasi non si reggeva in piedi. Lo supplicai di non uccidermi e lui urlò che se lui non mi avesse ucciso, loro gli altri soldati avrebbero ucciso lui. Poi mi spinse via, sparò nel muro e mi disse di non muovermi".

Malika è sopravvissuta, ma la sorella di suo marito, 67 anni, il fratello di 54 anni e un altro parente disabile di 47 anni vennero tutti uccisi. Molte case furono date alle fiamme, inclusa la sua.

Lei ricorda la "neve nera" che quel giorno cadeva dalle case in fiamme dai pozzi petroliferi incendiati della vicina Grozny.

"Non risparmiarono nessuno, né uomini né animali", ricorda. "Bruciavano le stalle con dentro le pecore e le mucche e gridavano: 'Ci hanno ordinato di uccidervi tutti!'"

Malika racconta che, all'approssimarsi delle truppe, gli abitanti del villaggio erano andati loro incontro, chiedendogli di non attaccarlo.

"Uno del villaggio, un russo, camminava davanti a noi con una bandiera bianca, e ci aveva assicurato che non ci sarebbe successo nulla, dato che lui era russo", ricorda piangendo. "'Sono russo, sono russo! Ascoltateci!', gridava. Ma loro si limitarono ad aprire il fuoco su di noi e ci ordinarono di tornare indietro".

A Novye Aldy furono uccise 56 persone, in uno degli episodi più terribili della seconda campagna militare di Mosca in Cecenia.

Ciò che era successo nel villaggio ben presto iniziò ad attirare una più vasta attenzione, ma un'inchiesta ufficiale sugli omicidi fu intrapresa solo un mese dopo.

Secondo i racconti degli abitanti del villaggio, i cadaveri rimasero insepolti per diversi giorni, e loro avevano paura a seppellirli.

"Abbiamo attaccato un generatore alla televisione, e abbiamo visto la televisione centrale russa che diceva che le unità federali avevano condotto un'operazione speciale per eliminare i guerriglieri nel villaggio di Novye Aldy," ha detto una del villaggio, che non ha specificato il suo nome. "C'erano cadaveri che giacevano non lontano dal set televisivo - non cancellerò mai dalla mia mente quell'immagine".

Malika Labazanova è stata una dei cinque abitanti del villaggio che hanno chiesto giustizia presso la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, col sostegno dell'organizzazione russa per i diritti umani Memorial ed il Centro europeo per il patrocinio dei diritti umani, EHRAC, d Londra.

Il 26 luglio di quest'anno la Corte si è espressa a favore degli abitanti del villaggio ed ha disposto che il governo russo paghi ai ricorrenti 143 mila euro di risarcimento.

Si tratta della tredicesima sentenza della Corte di Strasburgo sfavorevole a Mosca in un caso ceceno. Nello stesso giorno anche ad una coppia sposata, i Musayevs, è stato riconosciuto un risarcimento in un caso che vedeva l'uccisione di due dei loro figli da parte di militari russi.

Nel caso di Novye Aldy, la corte ha redarguito Mosca con parole insolitamente dure, dichiarando che "nonostante le proteste pubbliche interne ed internazionali causate dall'esecuzione a sangue freddo di più di 50 civili, a quasi sei anni di distanza dai tragici eventi di Novye Aldy nessun risultato significativo è stato raggiunto per identificare e perseguire gli individui che hanno commesso i crimini".

I giudici hanno dichiarato: "Nell'opinione della Corte, la straordinaria inefficienza delle autorità inquirenti in questo caso può essere qualificata solo come acquiescenza rispetto agli eventi".

Philip Leach, direttore dell'EHRAC, ha detto che il linguaggio usato nella sentenza è "senza precedenti".

I rappresentanti sia di Mosca che di Grozny non hanno fatto commenti sul verdetto - benché la Russia abbia in recenti occasioni accusato di parzialità la Corte europea.

Il parlamentare russo Yury Sharandin ha minimizzato l'importanza della sentenza, dichiarando all'agenzia di stampa Interfax: "Quando una Corte, inclusa quella di Strasburgo, decide a favore di un cittadino, ciò non vuole affatto dire che la decisione sia stata presa contro il suo Stato".

Nonostante le convincenti ricostruzioni del massacro fatte dalle organizzazioni per i diritti umani, l'inchiesta della Procura russa non riuscì a portare ad alcuna incriminazione.

Isa Gandarov, un avvocato che rappresenta Memorial ed EHRAC in Cecenia, ha detto che i procuratori sembravano più interessati a nascondere ciò che era accaduto piuttosto che a perseguire i responsabili.

"Ciò è confermato dal fatto che non un solo individuo... è stato identificato dagli investigatori né punito nel corso degli ultimi sette anni, anche se noi sappiamo quali unità della sicurezza condussero la cosiddetta "operazione di rastrellamento", e ci sono prove inconfutabili del loro coinvolgimento", ha detto Gandarov.

L'opinione condivisa è che gli omicidi furono eseguiti da una unità speciale di polizia, la OMON di San Pietroburgo.

Ogni anno un gruppo di attivisti organizza una manifestazione a San Pietroburgo, in memoria di coloro che morirono a Novye Aldy.

"È vergognoso e terribile che questo crimine contro gli abitanti di Novye Aldy sia stato compiuto dalla OMON di Pietroburgo", ha dichiarato Yelena Vilenskaya della locale organizzazione Casa della pace e della nonviolenza. "Per noi queste manifestazioni sono un tributo alle vittime innocenti, ed un atto di pentimento".

I sopravvissuti e gli attivisti per i diritti umani sperano ora che il verdetto della Corte europea darà un nuovo impulso alla ricerca dei colpevoli.

"L'obiettivo principale di chi ha presentato il ricorso è che venga svolta un'indagine affinché i colpevoli siano puniti, stando all'interno della legge", ha detto Shamil Tangiev, capo dell'ufficio di Grozny di Memorial, in una conferenza stampa dopo la lettura della sentenza.

Tangiev ha fatto notare che ora diventa responsabilità del Comitato ministeriale del Consiglio d'Europa dare un seguito alle richieste della Corte affinché si istituisca in Russia un procedimento giudiziario sul caso di Novye Aldy.

Ibragim Musayev, anch'egli di Novye Aldy, ha presentato a Strasburgo un ricorso giudiziario separato contro il governo russo, ma deve ancora ottenere un verdetto. Ora nutre maggiori speranze.

Quattro familiari di Musayev - il figlio di 34 anni, il cugino di 72 e due nipoti - furono uccisi quel giorno. "Distruggevano tutto quello che si muoveva. La sentenza della Corte è di grande importanza per noi - ci sono troppi fatti inconfutabili; ogni cosa è del tutto evidente. Alla fine troveranno i colpevoli e li puniranno".

Per Malika Labazanova, il giudizio ha portato un po' di pace.

"Quando decidemmo di rivolgerci alla Corte, non ci interessavano i soldi" ha detto. "Quando abbiamo saputo che i nostri reclami erano stati accettati, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa si muovesse, che esista una giustizia.

"Io non ho bisogno di nulla da loro, e noi non chiediamo nulla. Io guadagno i miei soldi onestamente. Voglio solo capire perché tutto questo è successo".

*Asya Umarova è corrispondente del giornale Chechenskoe Obshchestvo


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