Arrivate al secondo mese consecutivo, le proteste in Bulgaria contro il governo Borisov hanno segnato ieri una brusca radicalizzazione. L'esecutivo tenta di guadagnare tempo con la proposta di riforme costituzionali, ma la piazza rilancia e chiede dimissioni immediate
La radicalizzazione dell'atmosfera politica in Bulgaria era nell'aria, e puntualmente è arrivata. Ieri, con la riapertura della stagione parlamentare dopo la pausa estiva, le proteste contro il governo Borisov (e contro il procuratore generale Ivan Geshev) – arrivate al secondo mese di manifestazioni di piazza consecutive – hanno segnato una svolta violenta, segnata da scontri, arresti, manifestanti e poliziotti feriti.
L'esecutivo Borisov, accusato di una gestione corrotta e opaca della cosa pubblica, non vuole cedere e ha rilanciato il proprio orizzonte politico proponendo una profonda e contestata riforma costituzionale (qui il testo completo della nuova legge fondamentale proposta dal movimento GERB - Cittadini per uno sviluppo europeo della Bulgaria), che nelle intenzioni dovrebbe fornire una nuova base istituzionale al paese.
Ma mentre il parlamento si riuniva per gettare le basi al nuovo corso (alla fine la maggioranza è riuscita a raccogliere i 120 voti necessari a far partire la procedura di revisione della legge fondamentale dello stato, il cui percorso resta però tutto in salita) migliaia di persone si sono date appuntamento già di primo mattino nel centro di Sofia per gridare il proprio “no” e chiedere ancora dimissioni immediate per Borisov e la sua squadra di governo.
La giornata è stata lunga e gravida di eventi: dopo alcuni momenti di tensione in mattinata, la protesta è andata avanti senza incidenti particolari fino alla tarda serata, quando un gruppo di provocatori (secondo le testimonianze membri di gruppi del tifo organizzato) che la polizia non è riuscita ad isolare, hanno trasformato la piazza in un terreno di scontro con le forze dell'ordine.
Il bilancio ufficiale parla di 126 arresti – tra cui quello del giornalista indipendente Dimitar Kenarov -, sessanta feriti tra i dimostranti e un'ottantina tra la polizia. “Ripetevo agli agenti di essere un reporter, e di poterlo dimostrare, ma in tutta risposta sono stato trascinato a terra e preso a calci dalla polizia”, ha dichiarato oggi Kenarov all'emittente bTV , mostrando in volto i chiari segni della violenza subita.
Nel cuore della notte le forze dell'ordine hanno poi proceduto a sgomberare i blocchi stradali posti negli ultimi mesi dagli attivisti in alcuni degli snodi principali del centro di Sofia, come quello del Ponte delle Aquile (Orlov Most) divenuto in queste settimane cuore pulsante e simbolo della protesta.
Governo e manifestanti assumono quindi posizioni sempre più lontane e inconciliabili. Dopo aver guadagnato tempo con le proposte riforme costituzionali, l'esecutivo ha deciso di mettere mano anche alla legge elettorale, con una serie di proposte che l'ufficio bulgaro di Transparency International ha già bocciato, definendole “contraddittorie e in contrasto con gli standard internazionali per la tenuta di elezioni democratiche e libere”.
In tutta risposta lo scultore Velislav Minekov, una delle voci più note della piazza, ha annunciato che la protesta continua. “Questa sera alle 20 saremo di nuovo di fronte al parlamento […] e ci resteremo fino a quando non riusciremo a liberare la Bulgaria”.
Il braccio di ferro quindi continua. Secondo Petyo Tsekov , editorialista del quotidiano Sega, a decidere le sorti dello scontro sarà la capacità degli attivisti di coinvolgere una parte sostanziale della popolazione nella propria lotta. “La protesta può riuscire solo se 'la gente' scende in massa nelle strade al fianco degli attivisti, altrimenti è destinata al fallimento. [Per far cadere Borisov] serve l'appoggio attivo di 250mila persone”.
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