Barca a remi - Foto S Alb - Unsplash

Foto S Alb - Unsplash

Una traversata a remi da Rovigno a Zara: è quella fatta da suo padre Bepi negli anni '30, che Rosanna Turcinovich Giuricin racconta nel suo “Di questo mar che è il mondo”. Un'avventura insieme epica e intima, che apre le porte a riflessioni sui rapporti familiari, ma anche sui confini nell'alto Adriatico

06/03/2024 -  Diego Zandel

In “Di questo mar che è il mondo”, edito da Pendragon, l’istriana Rosanna Turcinovich Giuricin racconta la traversata a remi da Rovigno a Zara, che suo padre Bepi fece alla fine degli anni Trenta, a bordo di una battana, la tipica barca da pesca rovignese dal fondo piatto.

L’autrice, nata e cresciuta a Rovigno, poi trasferitasi a Fiume, dove ha lavorato come redattrice de La Voce del popolo, il quotidiano della minoranza italiana dell’Istria e di Fiume, vive dagli inizi degli anni Novanta a Trieste, e dirige da alcuni anni La Voce di Fiume, bimestrale dell’Associazione fiumani italiani nel mondo (Afim), mentre ha all’attivo diversi libri, ultimo dei quali è stato “Esuli due volte: dalla propria patria, dalle proprie case”, edito dalla Oltre Edizioni. Ora è la volta di questo romanzo scritto con grande misura, in cui Rosanna è stata attenta soprattutto a restituire alle pagine una loro dimensione poetica, quasi intima.

Di questo mar che è il mondo...
di: Rosanna Turcinovich Giuricin
Editore: Pendragon
2023

Rosanna, tuo padre ha lasciato una testimonianza scritta della sua avventura o soltanto orale? In sostanza, da dove hai tratto il materiale, tragitto, sentimenti, incontri, ad esempio quello con Mate, con tanta precisione?

Tra i miei genitori quella che amava scrivere lettere chilometriche, ai parenti esuli nel mondo, era mia madre. Mio padre preferiva raccontare, con dovizia di particolari e dettagli mai banali che io assorbivo come una spugna. Le sue erano storie di vita vissuta ma analizzate con spirito critico e, ai miei occhi, piene di poesia. Ciò che ho raccontato nel libro è ciò che ricordo della sua narrazione. La vicenda l’ho ricostruita anche attingendo dalle mie avventure per mare, fatte per realizzare delle trasmissioni televisive e seguendo il Portolano che mio padre conservava con venerazione. La cosa curiosa è che lui non mi ha mai parlato di Mate, è un personaggio nato dalla mia penna sulla cui apparizione mi sono interrogata a lungo. Forse è l’alter ego di mio padre, l’uomo già adulto che io ho conosciuto, con la salute compromessa, le inevitabili delusioni della vita ma non senza speranza che è una caratteristica comune. C’è un po’ di noi due in quel personaggio che ho amato sviluppare lasciandomi portare dall’ispirazione. Era già successo nel romanzo ‘Maddalena ha gli occhi viola” dove compare un mezzemaniche delle poste, gli ho dato respiro e paura, una vita grama, pensieri pieni di ombre ma non so se sia realmente esistito, era comparso nella storia e lì è rimasto.

I vari capitoli sono intercalati da un altro sentire, il tuo personale nel rapporto con tuo padre, ancora molto presente in te, nonostante la sua assenza. Che cosa in particolare ti ha lasciato?

Quelle frasi, che anticipano i capitoli, intitolate “Dentro la sua storia”, sono state fondamentali nel decidere di dare il libro alle stampe. Sapevo di non poter chiudere il racconto senza spiegare ciò che la scrittura stava suscitando in me. Avevo finito il libro da qualche tempo quando ho sentito di doverlo riprendere in mano, scrivere di getto quelle riflessioni per darlo definitivamente alle stampe, sono una specie di cima che tiene legata la barca alla riva, me al suo ricordo che non svanisce. Mi ha insegnato a non indietreggiare, ad accettare la battaglia, ad andare a fondo nelle cose e a sentirmi fiera e forte della mia identità, a non avere paura e ad essere libera.

Il libro parla molto di confini. Non bisogna infatti dimenticare che all’epoca della traversata in barca di tuo padre, per andare da Rovigno, allora italiana, a Zara, a sua volta italiana, ma sostanzialmente resa un’enclave lungo la costa adriatica che dall’isola di Veglia in giù apparteneva al Regno di Jugoslavia, rischiava di essere fermato come clandestino, privo com’era di documenti di espatrio…

Incoscienza o solo slancio giovanile? È ciò che mi chiedo nel libro. Immagino tutte e due con una buona dose di amore per le sfide. Ma anche il desiderio di allontanarsi da una città, la sua Rovigno, nella quale si sentiva perseguitato dal regime fascista, per le scelte dei suoi fratelli, uno dei quali combattente di Spagna, per suo padre convinto socialista. Non era una posizione comoda la sua e la guerra era all’orizzonte. Immagino fosse importante per questo giovane forte e intelligente mettersi alla prova, capire le proprie capacità fisiche e psicologiche, tutte e due necessarie per affrontare quella lunga strada azzurra dall’Istria a Zara.

I confini poi si sono allargati. La Jugoslavia di Tito si è presa l’Istria e, con essa, anche Rovigno. Così, tuo padre ha ripreso i remi e la sua battana e si è spinto fino a Grado per restare cittadino italiano, ma è stato costretto a tornare a Rovigno, questa volta per sempre, perché la Jugoslavia non gli ha consentito di riunirsi in Italia con tua madre, alla quale non è stata concessa l’opzione di venire i Italia. Cosa ha comportato tutto ciò?

Lui è rimasto vicino ai genitori che hanno dovuto affrontare momenti difficili. Il socialismo tanto sognato non si è realizzato nel tempo, a mio nonno hanno confiscato le terre, da agricoltore benestante è diventato un semplice contadino della Cooperativa imposta dal potere. Ha sofferto moltissimo. Aveva sei figli, tre presero la via dell’esodo, tre rimasero. Io potevo nascere a Zara, a Grado ma destino ha voluto che nascessi a Rovigno. La mia era una casa curiosa, la Jugoslavia non era mai entrata né con la lingua né con le abitudini. Siamo vissuti da rovignesi come avevano sempre fatto i nostri avi, con grande fatica, caparbietà, sacrificio, rinunce ma era fiero di aver saputo resistere.

Chi invece se n’è andato da Rovigno è tuo zio Nicola Turcinovich, fratello maggiore di tuo padre, che il libro ricorda, personalità importante dell’anarchismo italiano. Esule dall’Italia fascista, combattente in Spagna, e poi confinato a Ventotene, tornato a Rovigno, si è trovato costretto a fuggire per sempre dalla sua città perché perseguitato dai partigiani jugoslavi, che mal tolleravano il suo spirito libertario. Alla fine si trovò a fare la Resistenza in Italia, in Liguria, dove avrebbe vissuto il resto della sua vita come archivista della Federazione Anarchica Italiana. Come fu poi il rapporto tra lui e l’Istria, Rovigno in particolare?

Tornava ogni anno con la famiglia, la moglie Ada e la figlia Daniela, i nonni c’erano ancora e lo adoravano, senza darlo a vedere, così come allora si usava. Nicola invece non temeva i sentimenti, era empatico, profondo, divertente, ed amava cantare, da vero rovignese. Con mio padre ingaggiava lunghissime discussioni, analizzando un destino che li aveva perseguitati e divisi. Quando iniziai a scrivere le prime poesie fu il mio critico e sostenitore, mi scriveva delle bellissime lettere nelle quali mi metteva di fronte ai grandi temi della vita. Di lui mi rimane un’edizione con commenti del Don Quihote di Cenvantes che conservo gelosamente: con mio padre continua ad essere un faro.

Chi anche se n’è andata da Rovigno sei tu, dopo essere nata, cresciuta e aver lavorato nella Fiume jugoslava e poi croata, alla Voce del popolo, il quotidiano della minoranza italiana. Penso che, a questo punto, i confini ti siano diventati indigesti. So che hai molto festeggiato la caduta del confine con la Croazia grazie al suo ingresso in Schengen. Cos’altro ti aspetti dall’Europa a riguardo?

L’Europa ha già fatto la sua parte, chi mi lascia perplessa è la gente, l’indifferenza di fronte a un cambiamento epocale, i colleghi giornalisti che non l’hanno enfatizzato relegando a mera notizia di cronaca qualcosa che era sogno, meta, speranza, desiderio, un atto d’amore. Continuo a parlarne durante gli incontri, i dibattiti, nei miei articoli e nei miei libri. Mio padre direbbe che finalmente la sua barca ha sia vela che timone per andare ovunque in questo Adriatico libero. Ne sarebbe felice e gioirebbe con me dando sfogo alla sua indole di uomo coinvolto nella storia attraverso il presente. Gli parlo spesso, è con me, anzi, non se ne è mai andato.


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