Olivér Várhelyi (foto © European Union 2019 - Source : EP - Vincent VAN DOORNICK)

Olivér Várhelyi (foto © European Union 2019 - Source : EP - Vincent VAN DOORNICK)

Non convince ancora il candidato ungherese alla poltrona di commissario all’Allargamento. Olivér Várhelyi dovrà rispondere a domande scritte entro lunedì prossimo per poter superare l’esame della commissione esteri del PE

15/11/2019 -  Luisa Chiodi

Se come evidenzia Politico.eu , anche la performance conta nel corso delle audizioni al Parlamento Europeo, il diplomatico di professione, l’ungherese Olivér Várhelyi, candidato ad assumere il ruolo di Commissario europeo per l'Allargamento e la Politica di Vicinato, dovrebbe farcela al secondo giro. Giovedì all’esame della commissione esteri AFET , si è dimostrato preparato sui temi, vago quando le domande riguardavano Orban, ma preciso nel reiterare il fatto che gli scorsi cinque anni di lavoro da servitore delle istituzioni europee costituisce una garanzia assoluta della sua indipendenza.

Benché non abbia preso esplicitamente le distanze dal suo premier, quando Márton Gyöngyösi del partito politico ungherese di estrema destra Jobbik gli ha fatto notare che a Bruxelles è noto per essere una persona preparata ma anche come un “soldatino di Fidesz”, Varhelyi ha replicato di non essere membro di nessun partito.

Sufficientemente modesto nel dialogare con i parlamentari europei, il candidato commissario si è trovato ad affrontare reiterate domande sui suoi rapporti con il primo ministro ungherese. Alla richiesta della parlamentare olandese Martina Hermina Antonia Strik - “ci assicura che non sostituiremo i criteri di Copenhagen con i criteri di Budapest?” - Várhelyi ha obiettato che se un paese candidato viola i principi dell’UE, saranno i paesi membri a decidere di non farlo entrare.

Várhelyi ha ribadito a più riprese il suo impegno ad assicurare che tutti i paesi diventino democrazie piene, con media liberi, impegnati nella lotta alla corruzione etc. Al parlamentare del Front National contrario all'allargamento “perché i nostri cittadini non lo vogliono”, il candidato ha risposto che si impegnerà a convincere le opinioni pubbliche dei paesi membri dell’importanza della politica di allargamento.

Nell’insieme avrei detto che Várhelyi si era destreggiato dignitosamente nello sforzo di proporsi come un paladino dei valori europei verso l’esterno. Ha ribadito più e più volte che, secondo i trattati, i Commissari UE non rispondono al paese di provenienza e che lavorerà con spirito di collegialità come rappresentante di istituzioni comunitarie; che il suo impegno verso i paesi del vicinato sarà consistente. Verso la Turchia ha sottolineato che non ritiene opportuno comprimere fondi IPA perché servono alla società civile; che le sanzioni possono solo essere l’ultima spiaggia nella politica estera europea ma che comunque quelle alla Russia per ora non si toccano.

Alla domanda conclusiva di Michael Gahler (PPE) su dove saremo tra cinque anni con l’allargamento ai Balcani, Várhelyi ha risposto che il suo sogno sarebbe che tutti abbiano migliorato la rispettiva situazione, che il Kosovo abbia ottenuto la liberalizzazione dei visti, che siano in corso i negoziati con Macedonia del nord e Albania e che la Serbia sia pronta per entrare. Nessuna menzione per la Bosnia Erzegovina. 

Quando Kati Piri - del gruppo socialista - gli ha chiesto spiegazioni sul perché l'Ungheria abbia voluto a tutti i costi questa DG, Várhelyi ha replicato: “Posso risponderle solo come possiamo contribuire come ungheresi: siamo vicini, ci siamo impegnati verso tutti i paesi della regione e abbiamo buone relazioni con tutti”. Mentre ad Andreas Schieder, S&D austriaco, che chiedeva la sua posizione sull’ex premier macedone Nikola Gruevski - che ha ottenuto asilo politico da Orban dopo essere rocambolescamente fuggito dal suo paese a seguito di una condanna per corruzione - Várhelyi ha replicato che non sarà parte delle sue competenze occuparsi degli affari interni degli stati membri.

Alla fine Várhelyi mi aveva quasi convinto che fosse meglio per tutti che il commissario ungherese si occupi di affari esterni e che date le pessime premesse di questa candidatura, sia andata meno peggio del previsto. Con la difficile situazione in cui ci troviamo con l’allargamento dell’UE ai Balcani, dopo il no francese all’apertura dei negoziati di Albania e Macedonia del Nord, in fondo possiamo solo migliorare.

Per questo mi sarei aspettata un voto positivo della AFET anche solo per far partire la nuova Commissione dopo mesi di incertezza e bocciature. Non avevo considerato, invece, che i socialisti e i liberali dovevano far pesare il loro voto nella trattativa per la formazione della nuova Commissione. Poiché servono due terzi di voti favorevoli, oltre ai Verdi e alla GUE si sono aggiunti anche loro nell’avanzare la richiesta di far pervenire al candidato alcune domande aggiuntive con la richiesta di chiarimenti per iscritto entro lunedì 18 novembre.

Chi dice che l’UE è solo burocrazia mente, lo sappiamo. Le audizioni sono davvero un momento interessante della politica europea: i parlamentari prendono sul serio il loro compito, la discussione è vivace, i candidati sono vagliati attentamente e il diritto di veto del Parlamento è inequivocabile. E sorge spontanea la domanda: come andrebbero le cose se anche a livello nazionale i ministri venissero esaminati con tanta cura, competenza e potere di veto da parte del parlamento? 


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