Troppi cittadini europei vivono in abitazioni difficili da raffrescare in estate, soprattutto nell’Europa meridionale e centro-orientale. Particolarmente esposto è chi si trova in affitto, anche per la riluttanza delle autorità a intervenire
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato, in forma più estesa, dalla testata ceca Denik Referendum nell'ambito di PULSE)
Secondo i dati Eurostat più recenti , il 21 per cento dei cittadini europei vive in abitazioni che restano troppo calde in estate. Come sottolinea Michal Čejka del Passive House Centre di Brno, "con il cambiamento climatico questo problema non potrà che peggiorare. È più difficile adattare le case alla calura estiva che al freddo invernale". È il problema della povertà energetica, tipicamente definita dall'incapacità di riscaldare o raffrescare adeguatamente la propria casa, dai debiti energetici o da costi energetici sproporzionati.
Non si tratta solo di una questione di comfort, ma di salute. Secondo uno studio pubblicato su Nature , nell'estate del 2022 quasi 62mila persone sono morte in Europa a causa delle ondate di calore. I dati Eurostat confermano che la disponibilità di un ambiente sufficientemente fresco, e quindi salubre, è una questione di classe sociale, perché aumenta all’aumentare del reddito. Ma il caldo minaccia in particolare la salute degli anziani o dei malati cronici, categorie che spesso si trovano anche in difficoltà economica.
Il maggior divario tra ricchi e poveri si riscontra nell'Europa meridionale, dove la povertà energetica in estate si fa più sentire. "Negli ultimi anni abbiamo sperimentato in prima persona cosa significa la povertà energetica estiva. (...) Dobbiamo affrontare ondate di calore sempre più prolungate, durante le quali la temperatura all'interno di alcune case sfiora i 40 gradi anche di notte. Per far fronte a queste condizioni accendiamo l'aria condizionata, ma alla fine del mese le bollette dell'elettricità ci costringono a tagliare su altre spese essenziali. Siamo come tra due fuochi, costretti a scegliere tra diversi tipi di povertà", commenta l'ambientalista greco Alkis Kafetzkis per il quotidiano Ef.Syn.
Naturalmente, il tipo di abitazione in cui si vive gioca un ruolo importante: gli imponenti condomini delle città dell'Europa centro-orientale si surriscaldano più rapidamente e in modo più insopportabile delle case in pietra della campagna francese. Piuttosto che una soluzione a breve termine e ad alto consumo energetico come i condizionatori, nel lungo termine si rivelano vantaggiosi soluzioni che aumentano la ventilazione, come un tetto verde, un buon isolamento termico e le finestre con doppi vetri – misure che rendono anche più facile e meno dispendioso riscaldare le case in inverno.
Standard minimi per affittare
La vivibilità di una casa d’estate spesso varia a seconda che si tratti di un’abitazione di proprietà o in locazione. Negli appartamenti in affitto è infatti il padrone di casa a decidere se e come raffrescare l’ambiente, non gli inquilini.
I residenti dei paesi UE dell'Europa centro-orientale sembrano patire questa situazione più spesso degli abitanti degli altri stati membri. Perché? Non è semplicemente una questione di coordinate geografiche o di tipologie di abitazioni prevalenti. Un ruolo chiave è svolto dalla regolamentazione degli appartamenti in affitto – che gli stati post-comunisti dell'Europa centro-orientale, ossessionati dalla sacralità della proprietà privata, in genere non osano mettere in atto.
Per esempio, il Codice civile ceco si limita a dire che un appartamento in affitto deve essere in una condizione "generalmente considerata buona". Circa metà degli edifici residenziali nel paese non sono dotati di isolamento termico. Invece, "se fossimo in Svezia, il mio padrone di casa non potrebbe nemmeno mettere in affitto una stanza torrida come quella in cui vivo, oppure dovrebbe esentarmi dal pagamento dell'affitto in estate", afferma Veronika Dombrovská, residente a Brno ed esperta di povertà energetica per l'Iniziativa Inquilini e la piattaforma Re-set per la trasformazione socio-ecologica.
Il modello svedese è citato come soluzione nel report della piattaforma Re-set di quest'anno. Lì infatti gli appartamenti messi in affitto devono attenersi a uno standard termico stabilito per legge: d’inverno devono arrivare ad almeno 20 gradi e d’estate non devono superare i 26 gradi. Inoltre in Svezia le spese per l'energia costituiscono una parte fissa dell'affitto, quindi è nell'interesse del proprietario assicurarsi che l'edificio sia il più efficiente possibile dal punto di vista energetico.
Anche il "sistema a punti" dei Paesi Bassi merita attenzione. Se un proprietario vuole mettere in affitto un’abitazione a un prezzo non calmierato, la sua proprietà deve ottenere un punteggio elevato: per esempio, vengono valutate le dimensioni dell'appartamento, la disponibilità di servizi, l'ubicazione e le condizioni, comprese le prestazioni energetiche. Se l'immobile non ottiene un punteggio sufficiente deve essere affittato a un prezzo calmierato, come avviene per tre quarti del mercato immobiliare olandese.
Anche l'Irlanda, la Spagna e la Francia hanno fissato delle temperature massime per gli spazi abitativi. Le camere da letto irlandesi non possono superare i 26 gradi, i soggiorni i 28. La Francia ha adottato una misura simile dopo la micidiale ondata di caldo del 2003: gli edifici residenziali privi di aria condizionata non devono superare i 28 gradi per più di undici giorni all'anno.
Ostacoli alla regolamentazione
Secondo uno studio realizzato per il Ministero del lavoro e degli affari sociali della Cechia dalla Piattaforma per l'edilizia sociale, il numero di cechi che si trovano in condizioni di povertà energetica è aumentato di molto negli ultimi anni, a causa degli aumenti dei prezzi dell'energia.
Sebbene solo il 23 per cento della popolazione viva in affitto, gli inquilini costituiscono circa la metà delle persone che si trovano in condizioni di povertà energetica. Non c'è da stupirsi. Il Nuovo programma per il risparmio verde, uno strumento introdotto dal governo per ridurre il consumo energetico degli edifici, sovvenziona fino al 50 per cento delle ristrutturazioni orientate al risparmio energetico. Ma perché un proprietario dovrebbe investire in un immobile che dà in affitto, e per cui non paga di tasca propria le bollette? Va peraltro notato che anche molti alloggi popolari non vantano standard energetici o sistemi di raffreddamento validi.
Un’opzione citata da Jan Klusáček (Piattaforma per l'edilizia sociale) è l’introduzione di uno standard energetico obbligatorio per gli edifici dati in affitto, che potrebbe essere accompagnato da un programma di sovvenzioni. Dopotutto, la necessità di migliorare in modo sostanziale il rendimento energetico degli edifici rientra anche in una direttiva UE adottata quest'anno.
"Dovremmo iniziare il prima possibile. Ma la regolamentazione degli alloggi in affitto è un argomento controverso in Cechia. I proprietari sono per la maggior parte persone fisiche, tutti conoscono qualcuno che affitta un appartamento", afferma Klusáček. Questa frammentazione della proprietà comporta una scarsa volontà politica di regolamentare quella che è una fonte di reddito per una parte significativa dell'elettorato. La frammentazione complica anche gli interventi di ristrutturazione, perché molti lavori devono essere approvati dai proprietari di tutte le unità immobiliari di un edificio.
Contratti troppo brevi
Gli esperti concordano sul fatto che le condizioni degli alloggi dati in affitto non miglioreranno senza una regolamentazione dei contratti d’affitto a breve termine, che pongono gli inquilini in una perenne situazione di vulnerabilità. Più del 60 per cento degli inquilini in Cechia ha contratti di locazione di questo tipo; più della metà di loro rinnova periodicamente il contratto con lo stesso proprietario, nella maggior parte dei casi a intervalli inferiori ai due anni. Negli ultimi dieci anni, il numero di appartamenti affittati con contratti a breve termine è raddoppiato, mentre i beneficiari di contratti a lungo termine sono di solito persone anziane che hanno affittato il loro appartamento prima della modifica della legislazione negli anni Novanta.
Il Codice civile ceco non stabilisce una durata minima per i contratti di locazione, né limita il rinnovo di quelli a breve termine. In molti paesi vicini i contratti di locazione a tempo indeterminato sono invece la norma. In Germania o nei Paesi Bassi, per esempio, i contratti di locazione a tempo determinato possono essere stipulati solo in casi ben definiti. L'Austria prevede una durata minima di tre anni, che si rinnova automaticamente per altri tre anni o per un periodo fisso. Anche Italia, Francia e Portogallo garantiscono contratti di locazione per diversi anni con rinnovo automatico.
"Tutti, nei paesi occidentali, ai quali ci piace tanto guardare, concordano sul fatto che gli affitti debbano essere regolamentati", denuncia Veronika Dombrovská. E incalza: "Abbiamo bisogno di una tassa sugli immobili vuoti, di una regolamentazione dei contratti d’affitto a breve termine, e della definizione di una classe energetica obbligatoria per gli edifici in affitto. Finché lasceremo fare tutto al libero mercato non cambierà nulla".
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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