ICG: rilanciare il dialogo tra Kosovo e Serbia
27 gennaio 2021
Tredici anni dopo la separazione del Kosovo dalla Serbia, i due paesi restano bloccati nel reciproco non riconoscimento, con effetti deleteri per entrambi. Secondo un recente rapporto dell'International Crisis Group le due parti devono andare oltre i dettagli tecnici dei negoziati per affrontare le questioni principali nella loro relazione: l’indipendenza di Pristina e l’influenza di Belgrado sulla minoranza serba del Kosovo.
ICG sottolinea come la controversia tra il Kosovo e la Serbia si dilunghi ormai da decenni. A più di vent’anni dall’intervento della NATO del 1999 e più di un decennio dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina del 2008, Belgrado e decine di altri stati, inclusi cinque membri dell’UE, considerano ancora ufficialmente il Kosovo come una provincia separatista. Finché la controversia non sarà risolta – spiegano i ricercatori - entrambe le parti non avranno accesso all’UE e il Kosovo sarà escluso anche dalle Nazioni Unite e dalla NATO. Nel frattempo, Belgrado esercita un’influenza sgradita sul territorio del Kosovo. Il prezzo del riconoscimento serbo comprenderà probabilmente un’iniezione di aiuti internazionali, una maggiore autonomia dei serbi del Kosovo oppure uno scambio territoriale, o forse maggiori aiuti unitamente a una delle due ultime opzioni. Nonostante le preoccupazioni legittime relative alla ridefinizione dei confini secondo l'ICG l’UE non dovrebbe escludere alcuna risoluzione che sia compatibile con i diritti umani e il diritto internazionale. Parallelamente, gli Stati Uniti dovrebbero stimolare l'élite politica kosovara a sviluppare una posizione negoziale attuabile, mentre i partner del Kosovo dovrebbero aiutarlo a promuovere maggiori rapporti bilaterali e multilaterali in attesa di un accordo.
Pristina e Belgrado si sono confrontati almeno dal 2006, a più riprese, su come normalizzare le loro relazioni, trovando accordi su molti punti ma divergendo sulla questione più importante che li divide: l’indipendenza del Kosovo. La perdurante influenza della Serbia sulle comunità serbe in Kosovo determina un’ulteriore controversia. Le aree del Kosovo a maggioranza serba, in particolare le quattro municipalità del nord adiacenti alla Serbia, restano soltanto parzialmente integrate e sono un potenziale focolaio di violenza. I serbi eletti al parlamento del Kosovo e nominati a cariche governative seguono apertamente gli ordini da Belgrado. La combinazione di tale influenza con le conseguenze del mancato riconoscimento di Belgrado sono un costante elemento d’irritazione per i kosovari, che ricorda loro quanto non siano ancora totalmente liberi dalla Serbia. Sia Belgrado che Pristina trarrebbero beneficio dall’adesione all’UE, che è a loro preclusa, almeno in termini effettivi, finché la controversia persiste.
Iniziata nel 2011, la mediazione tra le due parti guidata dall’UE ha portato progressi altalenanti sulle questioni tecniche ma è naufragata sulle questioni cardine della controversia politica. Il dialogo guidato dall’UE è ripreso nel luglio 2020 e Washington ha lanciato un’iniziativa parallela, ma il nuovo slancio diplomatico ha già subito importanti battute d’arresto.
In un tale scenario, il percorso verso un accordo globale che risolva la questione dell’indipendenza del Kosovo è – secondo l'ICG - oscuro e angusto, e potrà essere seguito soltanto se Belgrado e Pristina cambiano radicalmente approccio rispetto a quello attuale. La costituzione della Serbia prevede che qualunque accordo che garantisca l’indipendenza del Kosovo sia approvato da un referendum, ma la sua leadership politica non ha fatto nulla per preparare gli elettori al compromesso necessario al raggiungimento di un accordo. Il Kosovo non presenta gli stessi requisiti costituzionali, ma i suoi leader potrebbero decidere di sottoporre un accordo al voto ai fini della sua legittimità, e in ogni caso dovrebbe preparare l’opinione pubblica kosovara alle concessioni che sarebbero necessarie. Ciascuna delle parti dovrà chiarire ai propri elettori che non sarà in grado di imporre un accordo esclusivamente alle proprie condizioni.
Per quanto riguarda la possibile definizione di un compromesso, vi sono secondo i ricercatori dell'ICG tre possibilità principali. Una si baserebbe su degli incentivi per la Serbia: un’infusione di aiuto allo sviluppo da parte dei donatori e un’adesione accelerata all’UE, come prezzo del riconoscimento. La seconda implicherebbe lo scambio del riconoscimento da parte della Serbia con la creazione di nuovi distretti autonomi per i serbi del Kosovo e gli albanesi della Serbia. La terza implicherebbe il ritorno all’approccio basato sullo scambio territoriale, che era al centro del progetto di accordo del 2018.
Nessuna di queste opzioni è lontanamente ideale. Per quanto concerne la prima, tenuto conto delle dinamiche interne, potrebbe semplicemente rivelarsi irrealizzabile per l’UE promettere un’adesione accelerata, ed è improbabile che gli stimoli materiali siano sufficienti ad affrontare la questione cruciale dell’identità politica della Serbia. Tra le due restanti, l’autonomia sembrerebbe la scelta migliore, con altri precedenti di successo in Europa e sostegno tra gli stati membri dell’UE, ma sembra anche suscitare la reazione negativa più forte delle parti stesse. I leader del Kosovo sembrano particolarmente contrari, forse perché temono che questo conduca al tipo di governance sclerotica che vedono nella vicina Bosnia Erzegovina, dove la maggior parte delle decisioni richiedono l’accordo di entrambe le entità e dei tre gruppi etnici principali. D’altro canto, i governi europei, in particolare quello tedesco, nutrono preoccupazioni legittime riguardo al precedente destabilizzante che la ridefinizione dei confini potrebbe avere nei Balcani e oltre.
L'ICG sostiene che in questo contesto Bruxelles dovrebbe concentrarsi a incoraggiare un negoziato in cui le parti sono libere di valutare qualunque accordo in linea con i diritti umani e il diritto internazionale, tenendo ben presente la necessità di acquisire il sostegno dell’opinione pubblica nel proprio paese. Sia l’UE, sia gli Stati Uniti hanno un ruolo da svolgere in questo ambito. L’UE dovrebbe valutare la possibilità di cambiare la sua posizione comune in modo da stabilire chiaramente l’obiettivo di un accordo finale basato sul mutuo riconoscimento (al quale si sono opposti finora i cinque Stati membri dell’UE che non riconoscono Pristina) e chiarire che l’indirizzo dei suoi mediatori non è reprimere discussioni sull’autonomia dell’uno o dell’altro o sugli scambi territoriali. Dal canto loro, gli Stati Uniti dovrebbero collaborare con il governo kosovaro per sviluppare una strategia di negoziazione attuabile, basata sulla comprensione del fatto che il riconoscimento è possibile, ma richiederà concessioni.
Infine, e come passo immediato, i partner esterni del Kosovo dovrebbero prepararsi all’eventualità che i negoziati continuino a protrarsi senza risoluzione. In tale circostanza, la strategia migliore potrebbe essere quella di cercare aperture che consentano al Kosovo di continuare a integrarsi nelle istituzioni internazionali che lo accoglieranno e a sviluppare legami economici, politici e di sicurezza con il resto del mondo. I partner esterni possono anche trasferire una quota maggiore dei loro investimenti e aiuti per i Balcani a Pristina. Ciò servirebbe a ricordare a Belgrado che non ha un veto permanente sul futuro del Kosovo. Tali connessioni non forniranno la stabilità che può provenire solo da un accordo politico sulla sua indipendenza, ma contribuendo ad alleviare la frustrazione e il risentimento, possono offrire delle modeste opportunità di progresso in una situazione che è stata lasciata inasprire per troppo tempo.
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