L'antropologa Anca Danilă è l'ideatrice del progetto "Caiete de rețete" (Quaderni di ricette) avviato a Bucarest due anni fa, il cui intento è di raccogliere i ricettari di famiglia, archiviarli in una banca dati digitale e proteggere così un prezioso tesoro della memoria
Per generazioni intere, carta e penna sono stati il mezzo per preservare la memoria: per necessità, per piacere o semplicemente per il desiderio di tramandare qualcosa a chi verrà. Documenti di storia, racconti, diari personali, ma anche quaderni di ricette di cucina. Dal 2022, il progetto “Quaderni di ricette”, nato a Bucarest, in Romania, si propone di raccogliere i ricettari di famiglia, di archiviarli in una banca dati digitale e proteggere cosi un prezioso tesoro che racconta del nostro passato. Un passato che merita vita.
Ad oggi, il progetto è riuscito digitalizzare e pubblicare oltre 70 ricettari. Anca Danilă ha condiviso con noi dettagli curiosi e simpatici su come funziona questa iniziativa.
Anca, sei stata tu ad avere l’idea di questo progetto? Mi sembra fantastica, pensando anche al quaderno di ricette che ho a casa di mia madre e alle emozioni e alla nostalgia che mi suscita ogni volta che lo vedo.
L’idea, in realtà, non è stata solo mia. Anzi, scommetto – e ne sono sicura anche per esperienza – che molte persone abbiano sentito il desiderio di fare qualcosa con questi ricettari che sono veri pezzi di storia sul punto di andare perduti. Alla fine, però, sono semplicemente stata l’unica nel nostro paese a mettere l’idea in pratica.
A 33 anni ho iniziato a studiare Etnologia, e una delle mie professoresse ci ha detto durante un seminario che dobbiamo cambiare qualcosa nel mondo, smettendo di pensare che tutto ci appartenga, come se fosse sempre lì, a nostra disposizione senza condizioni. Tornata a casa dei miei, ho visto mia madre con il suo ricettario tra le mani e ho avuto questo flash. Non ci avevo mai fatto caso prima: quel ricettario era sempre stato lì, ma io non avevo mai compreso davvero il suo significato… Dicono che ogni donna è madre almeno il tempo di una ricetta. Ecco il cuore del progetto; è iniziato proprio così. Tornata a Bucarest, ho dato il via al progetto.
All’inizio era solo ancadanila.ro, e ci lavoravo insieme a due colleghi. Poi tutto è rimasto un po’ in sospeso, finché non ho conosciuto l’antropologo Ionuţ Dulămiţă. Devo a lui il vero sviluppo del progetto, perché è stato lui a insistere affinché provassimo a fare tre richieste di finanziamento, con l’idea che, così, almeno una sarebbe andata a buon fine. E alla fine le abbiamo ottenute tutte e tre. Fantastico!
In effetti, il finanziamento è spesso un problema. Che tipo di fondi avete ricevuto?
Si tratta di finanziamenti pubblici. Devo dire che, ironicamente, questi sono talvolta più facili da ottenere. Non sono molti, ma offrono più possibilità. Presenti il progetto con la proposta di “vorremmo fare questo” e le porte sono molto più aperte rispetto ai fondi privati. Nei finanziamenti privati, invece, conta molto – a volte fin troppo – ciò che hai già fatto in passato. Vogliono vedere l’esperienza che porti e anche ottenere un certo ritorno dal progetto. Per questo posso dire che i fondi pubblici rappresentano una bella opportunità, soprattutto per chi, nel settore culturale, vuole avviare un’iniziativa da zero.
A proposito di un’iniziativa da zero, come vi siete fatti conoscere? Come arrivano i quaderni a voi?
Ecco un altro vantaggio dei finanziamenti pubblici: ogni tipo di finanziamento prevede anche attività per la promozione. Ci sono eventi appositamente organizzati, contatti con la stampa e comunicati stampa dedicati. Ad esempio, abbiamo ricevuto fondi dal comune di Brașov, e proprio a Brașov, in piazza Astra, abbiamo allestito un piccolo stand con le foto dei quaderni che avevamo già raccolto. È stato il luogo ideale per incontrare le persone che cercavamo: il mercato è uno spazio che unisce persone di ogni età e provenienza sociale. Inoltre, i quaderni di ricette riflettono la stagionalità, proprio come il mercato stesso.
Al mercato abbiamo davvero sparso la voce. La gente ha scoperto che siamo gli unici in Romania a fare una cosa del genere, così hanno condiviso la notizia e sono venuti a trovarci.
Esiste chiaramente un modo specifico di archiviazione dei quaderni, una procedura che seguite...
Sì, certamente. La verità è che molte persone interessate a questo progetto temono di dover rinunciare al proprio quaderno lasciandolo a noi. Ma non è affatto così: non prendiamo i quaderni. Chiediamo invece foto o scansioni. Abbiamo un documento che elenca tutti i passaggi da seguire, con dettagli sulla qualità delle immagini e altro. Il “bambino” della famiglia – che spesso è qualcuno tra i 40 - 50 anni o anche più – scatta le foto sotto la nostra guida e, idealmente, ci scrive anche una pagina di storia sul legame della famiglia con il quaderno. Noi pubblichiamo il file sul nostro sito caietederete.ro insieme alla sua storia. Abbiamo anche dei video documentari che approfondiscono alcune storie sotto forma di dialogo con le persone coinvolte.
Deve essere emozionante leggere tutte queste storie e avere un contatto diretto con le persone che le raccontano. Dal punto di vista antropologico, dicono moltissimo su una cultura, un paese e sulle persone che lo abitano.
Sì… Il lavoro sul campo è davvero emozionante. Le donne – perché sono principalmente loro a scrivere i quaderni – erano praticamente invisibili, eppure, alla fine, sono state dei veri cronisti dei loro tempi, autrici di autentici frammenti di memoria.
Se guardi un quaderno che va dagli anni ’40 agli anni ’90, vedrai diverse tappe della storia. La povertà del dopoguerra, poi un periodo di relativa abbondanza, visibile dagli ingredienti usati. La bacca di vaniglia, per esempio, è un segno di prosperità. Poi, con l’arrivo del comunismo in Romania, le ricette riflettono altri cambiamenti: il quaderno non è più solo un oggetto riservato a chi sapeva scrivere, ma diventa accessibile a tutti, grazie all’alfabetizzazione di massa. Si percepisce un popolo intero in mezzo a una rivoluzione industriale, con la migrazione dalla campagna alla città e i quaderni mostrano l’adattamento delle vecchie generazioni alla nuova realtà. Allo stesso tempo intuisci la povertà del regime comunista perché compaiono ricette semplici, di sopravvivenza: sparisce il burro e arriva la margarina, le creme ricche vengono sostituite con grande creatività per far fronte alla mancanza di ingredienti. E si nota di nuovo la stagionalità degli ingredienti, un elemento che oggi percepiamo molto meno.
A livello personale, leggendo un quaderno, ti rendi conto se una donna era un’esperta in cucina o se era alle prime armi, per via del livello di elaborazione e dettaglio nelle istruzioni. Da lì puoi persino intuire qualcosa sulla situazione familiare. A volte capisci anche quando è arrivato un bambino in famiglia, perché il tipo di ricette cambia per adattarsi a nuove esigenze.
Scommetto che i dolci sono più presenti...
Sì, oppure compaiono ricette più salutari. A un certo punto, puoi addirittura capire che è il bambino stesso a scrivere, per vari motivi: per coinvolgerlo in un’attività in cucina o per insegnargli qualcosa...
Oppure semplicemente per fargli esercitare la scrittura, proprio come è successo a me.
Sì! Sicuramente anche per questo. Si vede chiaramente quando scrivono i bambini: gli errori, l’imbarazzo, l’insicurezza di chi scrive, cancella e corregge. Bello, di una purezza incredibile!
C’è un ricettario, una ricetta o una storia che ti ha particolarmente colpito?
Da antropologa, mi interessa molto ricostruire pezzi di storia e andare oltre le ricette stesse. Ricordo un quaderno del 1912, probabilmente appartenuto a un cuoco della Bucovina, nel nord della Romania. Era pieno di ricette deliziose, ma soprattutto scritte con il cuore e con un senso dell'umorismo straordinario.
Poi, in una ricetta del 1930 per il cosiddetto "Vino di China", tra gli ingredienti trovi 3 grammi di cocaina. Ti rendi conto che all'epoca era reperibile in farmacia, mentre col tempo è diventata una delle droghe più devastanti. Per me, le ricette sono testimoni di molti aspetti della nostra storia e della vita quotidiana. Nei quaderni si vedono ancora le macchie d’olio, pezzetti di impasto seccati col tempo, disegni fatti distrattamente, persino bollette e scontrini dimenticati tra le pagine. Il quaderno era un oggetto di famiglia, di amici, un sapore già noto che ci univa. Oggi, invece, cucinare ha spesso a che fare con la varietà. Cerchiamo costantemente di fare cose nuove, e l'aspetto visivo ha preso il sopravvento. È forse solo durante le feste che torniamo a cercare il gusto familiare.
Pensi che ci siano ancora persone che scrivono le ricette nei quaderni?
Forse meno di una volta, ma sì, ci sono ancora persone che lo fanno. Una volontaria di Brașov, per esempio, una ragazza di appena 17 anni, mi raccontava che, a causa di una sensibilità alimentare, ha iniziato a raccogliere le proprie ricette. Un’altra persona ci ha detto che tiene un quaderno di ricette per sua madre, con piatti appositamente creati per le sue esigenze alimentari. Se ci pensi, anche in passato i quaderni nascevano per necessità, e continuano a nascere per questo motivo. C’è chi racconta che i quaderni siano diventati veri e propri tesori di famiglia, talvolta oggetto di litigi. Dei tre figli, chi terrà il quaderno? C’è chi ha persino rubato quaderni o strappato pagine per conservarle per sé.
Secondo te, il ricettario è una tradizione viva anche in altri paesi? Io credo di sì, ma tu hai mai avuto a che fare con quaderni di ricette al di fuori dello spazio romeno?
Il quaderno di cucina è universale: ovunque esistano carta e penna, esiste anche il quaderno. È lo stesso dappertutto. Nasce dall’urgenza di annotare, di ricordare, di tramandare.
Negli Stati Uniti, ad esempio, ho visto ricette che portano nomi di persone, come accade da noi: il nome di chi le ha personalizzate (come "Dolce Ramona", per dire). Abbiamo ricevuto recentemente un quaderno dalla Macedonia del Nord e abbiamo provato ad avviare collaborazioni con il Portogallo e il Brasile. Mi piacerebbe creare una sorta di franchising per ampliare i confini del progetto. In Italia sarebbe interessante indagare. Qualcuno mi ha raccontato che ci sono quaderni di famiglia talmente preziosi che puoi entrarne in possesso solo tramite il matrimonio, ad esempio. Non sono pubblici, sono patrimonio di famiglia.
Parlando di franchising e degli aspetti più pratici del progetto, chi ti sta aiutando in questo momento e come si sviluppa l’iniziativa?
Al momento, il team è composto essenzialmente da me, col supporto della Fondazione Cărturești. Cărturești è una delle catene di librerie più importanti della Romania. Voglio continuare a promuovere questa iniziativa perché ci credo molto. Desidero anche avviare un archivio fisico presso la Biblioteca Nazionale della Romania, accessibile ad antropologi, ricercatori o chiunque sia interessato. Infine, credo fermamente che i quaderni di ricette meritino un posto speciale nei nostri calendari, quindi stiamo pensando di lanciare in Romania la Giornata Nazionale dei Ricettari, o meglio, le Giornate del 22 e 23 dicembre. È soprattutto a Natale, infatti, che ovunque nel mondo si torna ai sapori tradizionali.
Hai parlato di tradizione: avendo visto tanti di questi quaderni, pensi davvero che la Romania abbia una cucina tradizionale? Spesso sento dire: “Sì, ma le sarmale (involtini di carne e riso) sono arabe, la moussaka è greca, la ciorba è quasi russa, e la polenta la fanno tutti... cosa resta di tipico a noi?”
La questione si chiarisce quando definiamo il concetto di tradizione. Per me, la tradizione è il risultato di questa equazione: contesto + tempo + consuetudine = tradizione. Seguendo questa formula, posso dire chiaramente che sì, abbiamo una cucina tradizionale. Non è una cucina originale, ma un mix. In fondo, le cucine si sono sempre incontrate in qualche modo. Il modo in cui abbiamo preso e adattato una ricetta l’ha resa qualcosa di diverso e, infine, qualcosa di tipico, di nostro.
Sono sicura che la tua iniziativa miri a preservare il “tipico”, ciò che ci appartiene. Ma oltre a questo, quale valore pensi che emerga? Come reagiscono le persone quando ne parli? Hai ricevuto qualche feedback?
A un certo punto abbiamo lanciato un questionario, a cui hanno risposto circa 170 persone, e devo dire che è stato davvero emozionante leggere i loro commenti. C’è chi non è affezionato agli oggetti di famiglia e non attribuisce valore a questi quaderni, che a volte vengono persi o buttati via. Ma tra coloro che ne riconoscono il valore, c’è stato un ringraziamento sincero. Ho incontrato donne che hanno versato lacrime di commozione, perché, per la prima volta nella loro vita, si sono sentite importanti. C’è chi si è emozionato perché un quaderno del 1944 era l’unico oggetto salvato dalle macerie di una casa bombardata. E c’è chi ha preso ispirazione e ha creato un quaderno di ricette per regalarlo a un’amica in occasione del matrimonio. In sintesi, è un’iniziativa che ci spinge a riflettere, a esplorare le sfumature della storia della nostra famiglia.
Mi piacerebbe vedere ricettari da ogni parte del mondo, per dimostrarne l’universalità attraverso uno sforzo comune di archiviazione. Il ricettario è l’amore di una generazione per l’altra. Noi siamo la generazione che ancora può tenere questi quaderni fra le mani. Cosa faremo di loro? Ecco, rendiamo omaggio al passato e alle nostre famiglie.
Tutti i ricettari digitalizzati finora sono disponibili sul sito www.caietederete.ro , mentre quelli in attesa di una nuova vita possono iniziarla attraverso una mail all’indirizzo anca@caietederetete.ro.
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