In strada c'è chi festeggia, chi è deluso e chi nonostante la sconfitta ritiene che i risultati elettorali causeranno un mutamento sostanziale negli equilibri politici in Serbia. Il reportage del nostro inviato
Gioia e incertezza. Gioia per una vittoria elettorale importante e in parte inaspettata nelle dimensioni, per il segnale politico forte arrivato dal paese, ma anche per la sensazione dello scampato pericolo di fronte a sondaggi perennemente in bilico, nelle prime elezioni tenute in Serbia dopo la proclamazione di indipendenza del Kosovo, lo scorso 17 febbraio.
Incertezza per il timore di non riuscire a trasformare il risultato ottenuto in una maggioranza politica sufficiente a formare un governo solido e stabile, in grado di guidare la Serbia verso il sogno europeo, sogno evocato come un mantra salvifico durante l'intera campagna elettorale, ed alimentato prima da Bruxelles con la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione, e poi da Torino con quella del Memorandum di intesa strategica tra la Fiat e la Zastava.
E' con questo mix di sentimenti contrastanti, che i sostenitori del Partito Democratico del presidente Boris Tadic si sono dati appuntamento, nella serata elettorale di questo ennesimo "referendum" sul futuro politico della Serbia, sulle Terazije, nel cuore di Belgrado, luogo dove storicamente si riuniscono per celebrare i propri successi elettorali.
Per strada qualche carosello improvvisato. Sulla larga lingua d'asfalto qualche centinaio di persone, soprattutto giovani, festeggia sventolando bandiere serbe e dell'Unione europea al ritmo dei Rolling Stones e di pezzi di musica techno.
"Sono molto contento, perché la prospettiva europea è l'unica prospettiva reale per la Serbia. La situazione politica, però, è tutt'altro che definita, e un seggio in più o in meno possono fare la differenza", dice Zoran Zivkovic, giovane ingegnere arrivato "in piazza" con una grande bandiera serba da sventolare contro il cielo di questa notte belgradese tiepida e senza stelle.
"E' davvero difficile predire quale possibile maggioranza potrebbe essere costituita. Il dato più inaspettato è il ritorno dei socialisti sulla scena politica, senza di loro, credo, sarà molto difficile creare un governo che duri".
Nelle sue parole sembrano risuonare quelle pronunciate poco prima da Boris Tadic nel breve discorso tenuto dopo che le prime proiezioni sono diventati risultati stabili. "Non è questo il momento di abbandonarsi ai festeggiamenti eccessivi", ha detto il presidente serbo, per poi aggiungere: "Mi preparo a negoziati difficili, che prenderanno vita già nei prossimi giorni".
Davanti alla sede del DS, però, dove una banda di ottoni suona senza pause, e gruppi di persone gridano ritmicamente "Pobeda" (vittoria) e "Serbia", c'è anche chi ostenta maggiore ottimismo. "Sono felicissima. Tutta la paura che aleggiava su questo paese è di colpo svanita. Queste elezioni sono la cosa migliore che sia successa alla Serbia da molti anni a questa parte", ci dice, visibilmente emozionata, Kruna, un'attivista del partito.
Anche Dragoljub Micunovic, primo presidente e leader storico del Partito Democratico, esprime all'Osservatorio la sua soddisfazione. "Sono molto contento di questi risultati, perché segnano una vittoria importate a tutti i livelli, quello nazionale, naturalmente, ma anche in Vojvodina e nelle amministrative". Secondo Micunovic, per formare il nuovo governo i democratici dovranno discutere con l'Ldp e coinvolgere i partiti delle minoranze.
Il problema è che questo potrebbe non bastare. Ecco allora che gli analisti, ben prima che i risultati definitivi vengano annunciati, iniziano a sviscerare le possibili alchimie in grado di rendere realtà un governo a guida democratica, non escludendo né una qualche forma di collaborazione coi socialisti (a cui Cedomir Jovanovic, leader dell'Ldp, nelle prime dichiarazioni post-voto s'è però detto irremovibilmente contrario), né la formazione di un governo di minoranza.
Ancora una volta, invece, il Partito Radicale deve rimandare la vittoria. Una vittoria cercata, sperata, voluta, ma non arrivata, nonostante la carica emotiva della questione kosovara sull'elettorato serbo, e l'intervento piuttosto tardivo e spericolato dell'Ue nella campagna elettorale.
Certo, almeno teoricamente, rimane possibile la formazione di un governo "nazionale" insieme al DSS del premier uscente Kostunica e ai redivivi socialisti di Ivica Dacic. Il leader del Partito radicale, Tomislav Nikolic, nelle sue dichiarazioni ha invitato i democratici ad abbassare i toni, e a non proclamare una vittoria che, secondo Nikolic, semplicemente non esiste.
"Il prossimo governo serbo sarà formato dai radicali, socialisti e dal DSS, oppure si andrà nuovamente a votare". Così ha sintetizzato, lo stesso Nikolic, la sua analisi del voto di oggi, e delle prospettive politiche che si aprono sul futuro della Serbia.
La sconfitta politica, però, resta. I radicali, pur conservando quasi integralmente il proprio bacino elettorale, hanno perso seggi in parlamento, e non sono più la prima forza politica nel paese, sopravanzati largamente dalla "Coalizione per una Serbia europea", guidata dal DS insieme al G17+ di Mladjan Dinkic e all'SPO di Vuk Draskovic.
I dirigenti del partito hanno puntato l'indice contro presunte irregolarità, (sarebbero state rinvenute schede già votate fuori da un seggio), e contro quella che è stata definita la "continua violazione del silenzio pre-elettorale da parte delle forze governative".
Sui risultati, poi, si è tentato di fare buon viso a cattivo gioco. "Siamo soddisfatti del risultato ottenuto. Il Partito Radicale Serbo ripete i risultati delle scorse consultazioni politiche, confermandosi la formazione che, da sola, raccoglie il maggior numero di voti in Serbia", ha dichiarato all'Osservatorio il vice di Nikolic, Dragan Todorovic, nella sede del partito a Zemun.
Secondo Todorivic, a pesare sul risultato sono stati i "numerosi tentativi di ingannare gli elettori serbi, divenuti ormai una regola in Serbia. Innanzitutto col falso miraggio di una vita migliore all'interno dell'Unione europea, e poi con l'accordo firmato con la Fiat, che è una vera farsa. Giudico la promessa di far ripartire la Zastava e di produrre 300mila auto l'anno come semplicemente ridicola".
Tra le file del partito, però, il malumore era piuttosto evidente. "Questi risultati non sono affatto buoni. Durante la campagna è stato fatto di tutto per mettere paura agli elettori, raccontando che votare per i radicali significa votare per l'isolamento politico ed economico", è il pensiero di Igor Marinkovic, simpatizzante del partito e giornalista del quotidiano "Press".
"Credo che sia ancora possibile una coalizione con il DSS e con i socialisti", ha aggiunto poi Marinkovic, concludendo che "qualsiasi cosa sarebbe meglio di un governo dei democratici".
"Creare una coalizione col partito di Kostunica e con i socialisti è l'unica soluzione", concorda Slobodan Zivkovic, venuto a Zemun con una t-shirt con su scritto "Republika Srpska". "Se riuscissimo a trovare un accordo, potremmo governare sia a livello parlamentare che qui a Belgrado".
Sulle possibili alleanze, Kostunica non si è sbilanciato. Il numero dei suoi deputati, così come la sua capacità di manovra, continua a diminuire, ma lo zoccolo duro dei suoi elettori non lo abbandona, e il DSS conserva il proprio potenziale di coalizione negli incerti equilibri della politica serba. "Il DSS non fa speculazioni politiche, la nostra politica non muterà", ha detto il premier uscente in conferenza stampa.
Kostunica ha di fatto smentito ogni possibilità di collaborazione con il DS, con cui "abbiamo visioni contrastanti su una questione di fondamentale importanza, quella dell'integrità territoriale del paese".
Anche i socialisti, tornati al centro degli equilibri politici in Serbia, per il momento non hanno fatto riferimento ad una possibile alleanza con i radicali, ma hanno annunciato di voler aprire un dialogo innanzitutto proprio col partito di Kostunica.
"Siamo noi i veri vincitori delle elezioni", ha dichiarato ai giornalisti Ivica Dacic, presidente del partito. "Chi vuole dialogare con noi deve tener presente due principi: quello della difesa dell'integrità territoriale e quello della giustizia sociale".
"Siamo molto soddisfatti. Questo è un risultato che può aver sorpreso le altre forze politiche, ma non noi, che ce lo aspettavamo. Di certo non dialogheremo con le forze politiche che hanno reso possibile l'arresto di Milosevic", ha dichiarato all'Osservatorio Teodora Obrenovic, capo ufficio stampa del partito, nella sede socialista a Studenski Trg, a pochi passi dal verde parco che circonda la fortezza di Kalemegdan.
"Il nostro partito torna a giocare un ruolo da protagonista. Dopo otto anni di governo delle forze che provengono dalla DOS, i cittadini serbi iniziano a capire cosa significava davvero Slobodan Milosevic per questo paese".
Assicurare al paese una maggioranza stabile non sarà facile, e richiederà insieme capacità di negoziato, flessibilità ed intelligenza politica. Uno dei nomi che ricorrono più spesso, come possibile primo ministro in pectore, è quello di Bozidar Djelic, vice premier nel precedente esecutivo.
"In politica bisogna mantenere i nervi saldi, ed essere pronto anche a dimenticare le parole dure pronunciate in campagna elettorale", ha dichiarato Djelic all'Osservatorio. "Una cosa è sicura, Voijslav Kostunica non sarà premier nel prossimo governo".
"Stasera i cittadini serbi hanno dimostrato di volere una vita normale, insieme agli altri popoli europei. Oggi mi sento orgoglioso di essere serbo, e di essere europeo", ha aggiunto poi Djelic. "Chiediamo però anche rispetto", ha quindi concluso, "soprattutto riguardo la possibilità di risolvere la questione del Kosovo in modo accettabile. Non ci si può chiedere di riconoscerlo, noi non lo faremo mai".
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