La visita del presidente russo Vladimir Putin a Belgrado, il 16 ottobre scorso, ha fatto molto discutere. Sia per l’imponente parata militare organizzata in suo onore sia per la possibilità che, nel lungo periodo, tale visita possa portare più danni che vantaggi alla Serbia
Non è l'aereo di Putin che si avvicina all'aeroporto ma è l'aeroporto che si avvicina all'aereo di Putin: questo è il messaggio circolato sui social media serbi il giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin è arrivato a Belgrado. La parafrasi di una delle numerose barzellette di Chuck Norris serviva a divertire il pubblico, ma potrebbe essere anche assunta come metafora della visita del presidente russo in Serbia.
La visita di Putin è l'apice di tutta una serie di iniziative pensate con l'intento di sottolineare l'importanza dell'amicizia tra Russia e Serbia e per fugare ogni dubbio sulla possibilità che Belgrado possa far sue le sanzioni che l'Unione europea ha imposto alla Russia a causa del conflitto in Ucraina. Il tutto è iniziato in ambito culturale: il regista russo Nikita Mikhalkov ha anticipato di una decina di giorni Putin a Belgrado, per la prima mondiale nella capitale serba del suo film “Insolazione“ (Burnt by Sun).
Nel discorso tenuto alla prima belgradese Mikhalkov ha insistito sulla prossimità spirituale tra il popolo russo e quello serbo, affermando che la prossima proiezione del film sarà in Crimea. È impossibile che il famoso regista russo non sia consapevole del fatto che una tale programmazione del suo film ha un’inequivocabile connotazione politica. In Serbia nessuno si permette di sollevare critiche ma è evidente che la Russia in questo modo, almeno indirettamente, sta mostrando la sua strategia in politica estera.
Alla vigilia della visita di Putin, nel centro di Belgrado è stata inaugurata una statua dedicata allo zar russo Nikola Romanov. Operazione con cui il governo serbo desiderava sottolineare il ruolo avuto dalla Russia zarista nella difesa della Serbia durante la Prima guerra mondiale. La Serbia con questa mossa desiderava compiere una sorta di scarto nei confronti del periodo comunista e mettere in mostra che le buone relazioni e il sostegno russo hanno un’importante e lunga tradizione.
Un altro evento degno di nota nel quadro delle relazioni russo-serbe si svolgerà il mese prossimo, quando è prevista la visita in Serbia del patriarca russo Kiril. La Chiesa serba ortodossa si oppone fermamente alla politica sul Kosovo condotta da Aleksandar Vučić e non nasconde nemmeno il suo euroscetticismo. Su quest'ultimo punto è perfettamente d’accordo con la Chiesa ortodossa russa, e c'è da aspettarsi che questa comunanza di visioni sarà ribadita anche durante la prossima visita.
Parate e potere
Il governo serbo ha deciso, per la prima volta dopo quasi 30 anni, di organizzare a Belgrado una parata militare per commemorare il 20 ottobre, Giorno della liberazione di Belgrado dall'occupazione nazista. Alla commemorazione ha invitato Vladimir Putin ma dato che quest'ultimo non poteva però essere presente il 16, la parata militare è stata semplicemente anticipata. Lo spostamento di data può essere interpretato in un modo solo: l'obiettivo principale era che alla parata fosse presente Putin.
Per Putin non è stata preparata una marcia militare di veterani o un qualche programma culturale, ma bensì una sfilata del potere militare serbo. In una regione in cui solo “ieri” è finita la serie di guerre sanguinose in cui l'esercito serbo ha avuto quanto meno un ruolo controverso, mettere in scena una simile parata militare difficilmente potrebbe sollevare simpatie. Alla parte russa, per la quale la stabilità dei Balcani è meno importante dell'espansione della sua sfera di influenza, un tale scenario non poteva invece che fare piacere. Manifestazioni come la parata militare sono modi per dimostrare potere e l'influenza. È logico supporre che Mosca abbia avuto voce in capitolo su tutta la programmazione della visita.
Mentre Putin era sul palco ufficiale sopra la sua testa e sopra quella degli altri funzionari sfrecciavano i Mig russi (a dire il vero non di ultima generazione) e sul boulevard davanti al palco rombavano i carri armati e altri veicoli corazzati di fabbricazione russa, oltre a veicoli di produzione della industria militare serba. Per Mosca disperatamente in lotta per mantenere la sua traballante influenza in Europa un tale scenario ha un duplice significato. Conferma il ruolo della parte russa (Armata rossa) nella liberazione della regione dal fascismo e mostra che il potere russo e l'influenza russa non sono definitivamente scomparsi dai Balcani.
Putin durante la visita si è rivolto al pubblico tre volte: dopo la seduta con il presidente serbo Tomislav Nikolić, dopo l'incontro con il premier Aleksandar Vučić e alla parata militare. Nikolić e Vučić hanno posto l'accento sulla fratellanza tra i popoli, e si sono dilungati sulla Prima guerra mondiale dove la Russia zarista ha aiutato la Serbia, col che hanno voluto ancora una volta inviare un messaggio all'opinione pubblica locale sullo storico sostegno della Russia. Putin, invece, ha parlato della lotta contro il fascismo durante la Seconda guerra mondiale, dei partigiani jugoslavi e di altri temi, mentre alla fratellanza tra i due popoli praticamente nessun cenno.
Conseguenze
Il premier serbo Aleksandar Vučić gode della reputazione di essere un politico vicino a Bruxelles e Washington e per questo atteggiamento filo occidentale è apertamente criticato dalla destra ultranazionalista, quindi proprio da chi ritiene molto importante la visita di Putin. È del tutto possibile che il premier serbo non abbia avuto un grande piacere nella preparazione dell'intero programma, ma è stato costretto a farlo ritenendo che fosse nel reale interesse della Serbia mantenere buone relazioni con Mosca e per dare una risposta alle forti richieste di un maggiore avvicinamento alla Russia, avanzate proprio da parte dell'elettorato che lo sostiene.
La visita di Putin però in futuro potrebbe portare a Belgrado più danni che vantaggi. È ovvio che influirà sulla posizione della Serbia nei rapporti tra Bruxelles e Washington, e di questo Vučić ne è perfettamente consapevole. Ora la Serbia dovrà continuare a dimostrare convinzione e decisione nel voler continuare con l'euro-integrazione e mostrare una collaborazione totale nella soluzione della crisi kosovara. È probabile che su questo aspetto ci si attenda dalla Serbia molto più entusiasmo, di quanto ha mostrato alla vigilia della visita di Putin Belgrado.
Allo stesso tempo, per quanto concerne la collaborazione economica con la Russia, le due parti si sono limitate alla firma di alcuni contratti generali, quali si siglano di solito durante simili visite. C'è la promessa di intenti da parte di Mosca sul fatto che la Serbia potrebbe iniziare a esportare automobili di produzione della Fijat di Kragujevac in Russia, ma ancora non ci sono segnali concreti che un tale accordo possa entrare in vigore. È certo invece che continua ad esserci spazio per aumentare l'export serbo di propri prodotti agricoli, ma la Serbia né sotto il profilo della quantità né sotto quello della qualità può ancora concorrere sul mercato russo.
Le forniture di gas russo alla Serbia sia per questo che per il prossimo anno non dipenderanno dagli accordi tra le due parti, ma dalla soluzione dei problemi politici all'interno del triangolo Mosca-Kiev-Bruxelles, e quindi la visita di Putin non avrebbe comunque potuto portare particolari garanzie alla Serbia. Il gasdotto South Stream, in cui la Serbia ripone grandi aspettative, continua ad essere in forse, mentre la parte russa, ancora alla vigilia dell'arrivo di Putin a Belgrado, ha fatto sapere che la sua realizzazione costerà addirittura il 45% in più di quanto previsto. Nemmeno su questo fronte, quindi, le prospettive sono particolarmente rosee.
I media serbi hanno sottolineato in modo entusiastico che c'è la possibilità che la Russia investa in Serbia 10 miliardi di euro, ma questa cifra enorme non ha riscontro in alcun programma concreto. Le affermazioni sui miliardi che arriveranno sono indirizzate più che altro all'opinione pubblica locale, preoccupata dalla fragile economia, con l'obiettivo di mantenere alta la convinzione che il governo in carica è pronto a risolvere efficacemente i problemi del paese.
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