Con un governo traballante, senza una maggioranza certa in parlamento, il gioco del primo ministro Janša sembra essere quello di continuare a buttare benzina sul fuoco, senza concedere nulla ad alleati e avversari
Non accenna a placarsi il confronto politico in Slovenia. Un'escalation di violenze verbali e demonizzazione del nemico che si fa di giorno in giorno più dura e che oramai comincia a diventare rischiosa. Non si è ancora arrivati allo scontro fisico, ma poco ci manca.
Destra e sinistra non fanno nulla per calmare la situazione. Convinte delle loro ragioni, parlano di pericoli per la democrazia e di tentativi di sovvertire l’ordinamento costituzionale. Intanto, la patina di efficiente paese centroeuropeo, che la Slovenia era riuscita a spalmarsi addosso ai tempi della dissoluzione della Jugoslavia, oramai è sparita e senza più lustrini quello che sta uscendo è solo il folklore politico dell’ennesimo riottoso stato balcanico.
La società slovena sembra vivere in due realtà parallele, assolutamente inconciliabili. La prima è quella del centrosinistra, che ha detenuto, con qualche breve intermezzo, il potere quasi ininterrottamente dall’indipendenza in qua. Una litigiosa gamma di partiti, spesso personali, da vent’anni incapaci di trovare un leader serio e una sintesi per governare la Slovenia e immaginare il suo futuro. L’unico loro collante è quello dell’”antijanšismo”, ovvero l’idea che Janez Janša, il carismatico e controverso leader del centrodestra, non debba per nessun motivo al mondo prendere il potere. Quando ciò accade l’imperativo è quello di togliergli subito il timone dalle mani. Le modalità per mettere in pratica il proposito sono sempre le stesse: porre in primo piano le sue mire autoritarie, il suo nazionalismo, riempire le piazze e diffondere l’idea che in Slovenia la democrazia e la libertà siano in pericolo.
Il centrodestra, invece, è convinto che il paese non si sia mai liberato dai lacci e dai lacciuoli del passato regime e che a tenere le redini siano gli stessi uomini di sempre che controllano l’economia, la politica, la giustizia e i giornali, diffondendo bugie e false accuse all’indirizzo di Janša. La prova provata sarebbe la sua condanna e la sua incarcerazione (poi annullata dalla Corte Costituzionale) per una vicenda di presunta corruzione legata alla fornitura di armamenti. In sintesi, menzogne e giochi di palazzo solo per eliminare quello che agli occhi dei suoi sostenitori è l’eroe più puro dell’indipendenza slovena, l’unico capace di guardare al futuro.
In pratica, una democrazia bloccata tra “janšisti”e “antijanšisti” che hanno una capacità di dialogo probabilmente minore di quella che potrebbero avere i tifosi della Roma e della Lazio dopo il derby. Ad alzare il muro anche un vero e proprio sistema di informazione e contro informazione, che alimenta una sorta di “guerra civile” perenne in cui la società slovena si trova costantemente invischiata.
Il tutto avviene in un paese dove, al momento, non c’è una maggioranza certa. Il governo di centrodestra, nato nel marzo del 2020, ha perso pezzi. Janša, del resto, non ha fatto nulla per tenere insieme la sua raffazzonata coalizione. L’ultima ad andarsene è stata la debole ministra della Giustizia, Liljana Kozlovič. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la mancata nomina dei magistrati sloveni nella Procura europea. L’organismo preposto li aveva scelti e il governo doveva solo prenderne atto. Non lo ha fatto e ha annullato la procedura. Ora la Slovenia è unico paese a non avere ancora delegato i propri magistrati nell'organismo che dovrebbe vigilare su come si spendono i soldi che arrivano dall'Europa. Intanto il governo ha incassato le critiche dell'opposizione, quelle del tribunale e dell'Europa, ma Janša ha liquidato la faccenda dicendo che il suo esecutivo non può limitarsi a fare da postino, recapitando a Bruxelles le decisioni prese da altri. Come se ciò non bastasse, la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatović, ha invitato il governo sloveno a mettere fine al marcato deterioramento della libertà di espressione e di stampa che si starebbe registrando negli ultimi mesi nel paese. Janša, ancora una volta, non si è scomposto e ha rimandato le accuse al mittente precisando che la Mijatović fa parte di quella rete che contribuisce a diffondere notizie false sulla Slovenia.
Intanto ogni venerdì in Slovenia si ripete il rito della protesta antigovernativa. Due settimane fa decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Lubiana, per quella che è stata una delle manifestazioni più massicce degli ultimi trent’anni. Janša, vista la situazione epidemiologica, ha bollato il tutto come un crimine, che mette a repentaglio la salute nel paese.
Tanto per far salire la temperatura i suoi uomini hanno messo nel mirino la sinistra colpevole di volere “limitare il capitalismo”, “sequestrare la proprietà privata” e introdurre “l’eco-socialismo”. Tutte cose che andrebbero a sovvertire l’ordinamento costituzionale e proprio per questo è stato chiesto di discuterne in parlamento. Proposta cassata dall’inviso presidente della Camera, Igor Zorčič, secondo cui i deputati non avrebbero nessuna competenza per prendere in esame i programmi di partito e la loro presunta incostituzionalità. Zorčič, passato di recente all'opposizione, per ben due volte in poche settimane è uscito indenne dalle mozioni di sfiducia che la maggioranza ha presentato nei suoi confronti. In entrambe le occasioni è mancato un solo voto per defenestrarlo.
In sintesi, con un governo traballante, senza una maggioranza certa in parlamento, il gioco di Janša sembra essere quello di continuare a buttare benzina sul fuoco, senza concedere nulla ad alleati e avversari. Come in passato, più malferma diventa la sua poltrona, più la fiamma viene alimentata. Il conto alla fine probabilmente non sarà lui a pagarlo, ma i suoi alleati di governo, che alle prossime elezioni rischieranno di venir cancellati dalla scena politica slovena, mentre Janša, anche se non tornerà a governare, rimarrà il padre padrone del centrodestra sloveno.
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