Denizli, paesaggio urbano

Denizli, paesaggio urbano - jechstra/flickr

Negli ultimi dieci anni molte città turche hanno segnato una forte crescita economica, guadagnandosi l’appellativo di “tigri anatoliche”. Crescita che ha modificato radicalmente il loro modello di sviluppo urbano. Il caso delle fabbriche statali Sümerbank, analizzato dai sociologi Tuna Kuyucu e Didem Danış

17/05/2013 -  Fazıla Mat Istanbul

Negli ultimi dieci anni di governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), diverse città turche di media grandezza hanno registrato una notevole crescita economica guadagnandosi l’appellativo di “tigri anatoliche”. Una crescita che ha influito radicalmente sullo sviluppo del loro modello urbano, spesso segnato da elementi ricorrenti: nuovi quartieri centrali per i ricchi, blocchi di abitazioni per i ceti di reddito medio costruiti dalla Direzione delle case collettive (TOKI) in periferia, insieme agli immancabili centri commerciali.

I sociologi Tuna Kuyucu e Didem Danış docenti rispettivamente alle Università del Bosforo e Galatasaray di Istanbul, hanno avviato uno studio sulla trasformazione edilizia di alcune città anatoliche, con l’intento principale di analizzare l’interazione tra il potere politico e i capitali di investimento attivi nella trasformazione delle città. Per analizzare il fenomeno, Kuyucu e Danış si sono concentrati in particolare sulla trasformazione delle ex fabbriche statali situate a Kayseri, Malatya, Denizli e Diyarbakır. OBC ha incontrato Tuna Kuyucu per parlare in anteprima della ricerca.

Perché avete scelto proprio le ex fabbriche Sümerbank come caso di studio?

Nella prima fase della nostra ricerca abbiamo rilevato che la trasformazione delle fabbriche statali inutilizzate di Denizli e Kayseri rappresentava uno dei fattori più importanti nel modellamento dei mercati immobiliari delle due città. L’ambito della ricerca è stato successivamente allargato a Malatya e Diyarbakır. Denizli e Malatya sono casi tipici in cui il bene “pubblico” è stato trasformato in progetti a scopo di lucro. Kayseri e Diyarbakır rappresentano invece, ciascuno a modo proprio, dei casi anomali.

In che senso anomali?

Kayseri è una città estremamente ricca, con un boom edilizio, dove sono presenti gruppi economici fortissimi. Ricordiamo che famiglie imprenditoriali come la Boydak, ai primi posti nelle classifiche di Forbes Turchia, sono di Kayseri. Qui per lunghi anni il terreno e la fabbrica Sümerbank, un edificio prezioso anche dal punto di vista architettonico, sono rimasti inspiegabilmente inutilizzati e solo poco tempo fa sono stati destinati alla costruzione dell’Università che porta il nome del presidente della Repubblica Abdullah Gül. L’anomalia sta nel fatto che un’area così appetitosa in una città così ricca non sia stata toccata per molto tempo e si stia ora trasformando in un’università pubblica.1

Come lo spiega?

Esiste un legame molto stretto tra gli imprenditori della città e il potere centrale. Con questo non voglio dire le cose funzionassero diversamente prima dell’AKP. Ma è venuta ad aggiungersi una struttura in cui hanno potuto manifestarsi nuove associazioni di imprenditori come la MÜSİAD , la TUSKON o la ASKON, che sono legate allo stato con una sorta di cordone ombelicale. Il legame non è solo economico, ma anche ideologico e funziona attraverso comunità religiose. Ci sono inoltre legami personali: diversi politici dell’AKP sono originari di Kayseri. I gruppi imprenditoriali della città costituiscono un ceto borghese che tuttavia sembra non possa prendere decisioni autonome e contrarie alla volontà del potere centrale. Di solito gli affari procedono grazie a una trattativa tra il potere politico e i gruppi economici, un fenomeno che un ex sindaco di Kayseri aveva una volta definito “trattativa dei consensi”, nel senso che alla fine tutti ci guadagnano qualcosa.

Ci può fare un esempio?

L’esempio migliore arriva dalla trasformazione della fabbrica di Malatya. Anche qui, come a Kayseri, il ceto imprenditoriale ha forti legami sia con il potere politico locale che con quello centrale, anche se non è ricco quanto quello di Kayseri. Nel 2004, 33 uomini d’affari riuniti sotto la sigla “Gruppo Imprenditoriale di Malatya” (Malatya Girişim Grubu), in una forma associativa che si riscontra di rado in Anatolia, hanno comprato l’area della ex fabbrica Sümerbank al prezzo irrisorio di 6.400.000 dollari, affermando di volerla mantenere come fabbrica per almeno 5 anni e concedendo una parte del terreno al comune. Poco dopo però la fabbrica è stata demolita per costruirvi il centro commerciale Malatya-Park e l’Hilton Hotel. Una parte del terreno è stata trasformata in un parco, mentre un imprenditore del gruppo vi ha fatto costruire una moschea per 10mila persone, edificata vicino alla nuova sede del comune. L’assetto finale crea un contrasto architettonico particolarmente stridente, che riunisce in un colpo tutti i codici urbani dell’AKP. Dopo l’inaugurazione del centro commerciale, realizzato dal premier Tayyip Erdoğan in persona, il primo ministro si è congratulato con il gruppo per il contributo reso allo sviluppo della città e, senza mezzi termini, ha chiesto agli imprenditori di rinnovare l’edificio della facoltà di teologia dell’Università İnönü di Malatya. Richiesta che è stata prontamente eseguita.

Qual è la reazione della popolazione locale di fronte a progetti di questo tipo?

Quasi tutti i centri commerciali sono sempre gremiti di gente. Ma molto dipende anche dal fatto che nelle città anatoliche sono assenti spazi pubblici dove riunirsi. I centri commerciali sono diventati i luoghi della socializzazione di oggi. E al loro interno riproducono dei modelli di comportamento simili da città in città. In una città conservatrice come Kayseri si possono vedere giovani coppie camminare mano nella mano, cosa che non si potrebbe osservare nel centro cittadino perché attirerebbe la reazione dei negozianti.

In passato quali erano i luoghi urbani della socializzazione?

C’erano i parchi monumentali simbolo dell’era repubblicana: enormi spazi caduti da tempo in disuso e frequentati ormai solo da anziani e venditori ambulanti. Si tratta di luoghi estremamente estranianti. Anche i centri urbani non hanno più la vitalità di un tempo. Così i centri commerciali sono arrivati a compensare questa assenza diventando al contempo uno spazio che simboleggia il salto sociale e l’arricchimento.

A Denizli i rapporti tra imprenditori e potere politico seguono le stesse dinamiche di Kayseri e Malatya?

Non proprio. Denizli, città ricca e industriale di vecchia data, non è una città così legata al governo. Nelle ultime elezioni l’AKP risulta il primo partito ma la differenza col CHP è minima. Dunque tra i gruppi industriali, l’amministrazione locale e il governo non si assiste ad una collaborazione e distribuzione dei profitti così armonica, come invece accade a Kayseri e a Malatya. Difatti a Denizli la vecchia fabbrica non è stata prelevata da un gruppo industriale locale, ma da una società di investimento immobiliare (Pera Gayrı Menkul) di Istanbul. Il progetto include un grande centro commerciale, un ospedale, un albergo e residenze di lusso. Si tratta del progetto urbanistico più ampio e costoso che la città abbia mai avuto. E’ sicuro che andrà a influire sull’economia della città su più livelli, anche se il centro commerciale si è rivelato un cattivo investimento.

Perché Diyarbakır è il vostro secondo caso “anomalo”?

Diyarbakır non è una città caratterizzata come le prime tre da una crescita industriale e dall’emergere di una nuova classe media, ma rappresenta un esempio di trasformazione estremamente diverso. Qui il terreno e l’edificio della ex fabbrica Sümerbank sono diventati proprietà comunale negli anni ’90. Osman Baydemir, attuale sindaco del pro-curdo BDP della città, ha deciso di trasformare l’area in un luogo di utilità pubblica. E’ importante sottolineare che “pubblico” in Turchia è quasi sempre sinonimo di “statale”, che non significa “civico” o “appartenente ai cittadini”. Il progetto “Area di vita comune Sümer-Park” (Sümer-Park Ortak Yaşam Alanı) di Diyarbakır ha però questa accezione di pubblico.

In che senso?

Tanto per cominciare si trova nel quartiere Şehitli, in pieno centro, tra un quartiere relativamente più benestante e uno povero della città. E’ un progetto realizzato grazie a un fondo elargito dall’Unione europea nel 2006. Non riceve finanziamenti statali, anzi, siccome l’area era originariamente stata ceduta al comune con la condizione di trasformarlo in area verde, lo Stato ha cercato di bloccarlo senza però riuscirci. Sümer-Park è un luogo che riesce a riunire diversi settori della società. Contiene, oltre un grande parco, una sala congressi, la sede dell’associazione stampa, un’incredibile biblioteca, un anfiteatro, un complesso sportivo, una scuola materna. Una “casa del sole” ecologicamente sostenibile al 100% che serve ai cittadini a indicare un modello di abitazione alternativo. Ha un centro di sostegno psicologico e un altro rivolto alle donne cui si fornisce un servizio di trasporto gratuito. Si organizzano corsi di diversi tipi, anche per insegnare dei mestieri ai giovani. Le attività sono gratuite e aperte a tutti, mentre gli insegnanti sono volontari al servizio del comune. E dai colloqui che abbiamo realizzato viene fuori che si tratta di un progetto fondato su una profonda consapevolezza politica e sociale maturata in lunghi anni. Credo che in Turchia sia un progetto unico nel suo genere.

A Diyarbakır non ci sono progetti edilizi mirati al profitto?

Certo, ci sono anche lì. E’ in atto un fenomeno di trasformazione urbana con la collaborazione del comune e della Direzione delle case collettive (TOKI). Una seconda fabbrica della Sümerbank sarà presto trasformata in centro commerciale. Inoltre, qualche anno fa c’è stato anche un incredibile aumento dei prezzi dei terreni. Il sindaco della città sostiene però che il profitto si crea in modo più regolarizzato e che i prezzi subiscono un innalzamento a lungo termine e in modo più sostenibile.

Cosa distingue allora Diyarbakır dalle altre città che avete analizzato?

Ciò che rende unico il caso di Diyarbakır è l’amministrazione locale molto forte sostenuta dai cittadini e che, all’occorrenza, è in grado di opporsi al potere centrale.

1 http://www.agu.edu.tr/ va notato che nella home page l’Università Abdullah Gül viene definita quale “prima università pubblica della Turchia sostenuta da fondazioni”.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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