Dal 31 agosto al 2 settembre una delegazione internazionale di organizzazioni della società civile è stata a Istanbul per esprimere sostegno a scrittori, giornalisti e media
Pubblicato originariamente da Reporters Without Borders (RSF) il 6 settembre 2016
Il tentato golpe del 15 luglio scorso, nel quale sono state uccise almeno 265 persone, ha traumatizzato la popolazione turca e ha portato il governo a intervenire sui responsabili delle violenze. Tuttavia, ciò si sarebbe dovuto svolgere in base a specifiche prove individuali sul coinvolgimento nei crimini avvenuti, e nel pieno rispetto dello stato di diritto, della libertà di espressione, delle libertà individuali e del principio del giusto processo, sui quali la Turchia si è impegnata in quanto membro del Consiglio d'Europa.
La delegazione, in visita ad Istanbul dal 31 agosto al 2 settembre, condanna l'abuso da parte delle autorità turche dello stato di emergenza per reprimere diversità e dissenso, e invita le autorità a rimettere in libertà immediatamente e senza condizioni tutti i giornalisti incarcerati in Turchia senza alcuna prova a loro carico, oltre a cessare le intimidazioni nei confronti dei pochi media indipendenti e di opposizione rimasti.
La missione, guidata dall'organizzazione "Article 19", ha visto la partecipazione di rappresentanti di diversi enti: Danish PEN, European Federation of Journalists, German PEN, Index on Censorship, My Media, Norwegian Press Association, Norwegian Union of Journalists, Norwegian PEN, PEN International, Reporters Without Borders e Wales PEN Cymru.
Dagli incontri avvenuti con giornalisti, rappresentanti di testate, avvocati e attivisti per i diritti umani è emersa una situazione allarmante.
Le voci del dissenso in Turchia vengono già soffocate da lungo tempo, ma lo stato di emergenza introdotto in risposta al fallito golpe del 15 luglio ora viene usato per legittimare una repressione senza precedenti nei confronti dei media indipendenti e di opposizione.
Secondo i decreti dello stato di emergenza, un individuo può essere incarcerato fino a 30 giorni senza prove a suo carico. Questa disposizione è stata abusata per detenere arbitrariamente giornalisti di diversa provenienza e orientamento. Alla partenza della delegazione, la piattaforma locale per la difesa dei media indipendenti "Platform 24" ha stimato che 114 giornalisti si trovavano in stato di detenzione. Durante i tre giorni della visita della delegazione in Turchia, almeno 15 giornalisti sono stati incarcerati.
Lo stato di detenzione in base al puro sospetto di essere parte del movimento gülenista, accusato di aver orchestrato il golpe, è di per sé problematico ed è stato portato avanti senza alcuna prova individuale evidente di coinvolgimento nel reato ascritto. Inoltre, il decreto è stato utilizzato per incarcerare giornalisti che non hanno assolutamente alcun legame con il movimento gülenista, oltre a molti rappresentanti di gruppi dell'opposizione o delle minoranze del paese.
Il periodo di detenzione si è prolungato per diversi giorni senza alcuna prova, spesso negando la possibilità ai fermati di contattare un legale o i familiari. Esistono rapporti preoccupanti sulle condizioni della detenzione, che fanno riferimento a pestaggi, al pesante sovraffollamento fino al difficile accesso ai farmaci essenziali.
Sebbene alcuni media indipendenti continuino a pubblicare, si è venuta a creare una situazione pervasiva di auto-censura, privando la popolazione del diritto ad un dibattito pubblico libero e plurale, in un momento in cui questo è profondamente necessario.
Lo stato di emergenza non può essere usato per sopprimere la libertà di espressione. Pertanto facciamo appello alla Turchia affinché dimostri il proprio impegno a favore dei principi democratici e a sostegno di un ampio e aperto dibattito pubblico, liberando immediatamente e incondizionatamente coloro che si trovano in carcere senza prove a carico, e cessando la repressione nei confronti dei media indipendenti.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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