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Il parlamento europeo voterà a favore del congelamento di una sempre più improbabile integrazione della Turchia? Innegabili le pesanti colpe di Ankara, ma anche l'UE ha le sue responsabilità

24/11/2016 -  Fazıla Mat

Oggi il Parlamento europeo deciderà se chiedere alla Commissione e agli stati membri di congelare o meno i negoziati con la Turchia. La decisione verrà ufficializzata con il voto in plenaria, anche se dagli interventi in aula di martedì scorso è già emersa chiaramente la posizione della maggior parte dei leader dei gruppi politici e dei deputati: un consenso trasversale che unisce tutti gli otto schieramenti politici del Parlamento e che rappresenterà di fatto l’inizio della sospensione del processo negoziale con Ankara.

Diversi eurodeputati hanno parlato di un “congelamento temporaneo” dei negoziati, da protrarre fino a quando Ankara non avrà i “prerequisiti” per riprenderli. Altri, come il capogruppo dei popolari del Ppe, Manfred Weber, lo hanno definito “un appello alla Turchia come partner per dire che la strada intrapresa non è quella giusta, né per i suoi cittadini né per l’Ue”. Per molti la disponibilità al dialogo deve restare aperta, sempre che – hanno aggiunto altri – la Turchia non introduca la pena capitale. Secondo Kati Piri, relatrice per la Turchia del PE, quella di congelare i negoziati è un’azione necessaria – pena la perdita di credibilità dello stesso processo di adesione dell’UE – che può essere modificata solo dalla Turchia che è l’unica ad avere in mano la chiave per farlo. “Non stiamo dicendo che bisogna chiudere le nostre porte alla Turchia, ma che il governo turco, con le sue azioni ha chiuso la porta all’UE”, ha affermato Piri.

Il processo negoziale della Turchia già congelato di fatto

Mai come ora in Turchia – e soprattutto durante i 14 anni di governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) – la stampa aveva subito una tale pressione, la libertà accademica era stata così fortemente limitata e i diritti fondamentali diventati oggetto di una diffusa arbitrarietà. Una situazione che ha subito un’impennata dopo il fallito golpe del 15 luglio scorso e che continua ancora a tradursi anche in migliaia di licenziamenti e arresti.

Forse però, dal lontano 1987, quando la Turchia presentò per la prima volta la sua domanda formale di adesione, fino al 2005, anno di inizio dei negoziati di accesso all’UE arrivando a oggi, ci sono dei passaggi dove anche il ruolo dell’Unione e soprattutto di alcuni suoi stati membri è stato determinante per la strada imboccata dalla Turchia.

Va ricordato infatti che il processo negoziale della Turchia era già di fatto congelato da tempo. L’ultimo capitolo è stato aperto nel giugno 2013, sedicesimo sui totali trentacinque. Solo il capitolo sulla Scienza e la ricerca è stato concluso fino ad adesso. La Repubblica di Cipro e la Francia hanno posto il veto su 11 capitoli – rispettivamente 6 e 5 – mentre sul altri 8 capitoli – dalla Libera circolazione all’Agricoltura – pende la decisione di sospensione del Consiglio UE. E allo stato attuale nessun capitolo negoziale può essere chiuso.

La questione di Cipro e l’apertura dei capitoli 23 e 24

La questione di Cipro è senza dubbio stata determinante nel corso europeo della Turchia e una dimostrazione di come i singoli stati membri possono incidere sull’iter di adesione di un paese candidato. È nota la disputa tra le due parti dell’isola – con quella settentrionale occupata militarmente dalla Turchia dal 1974. Ankara non riconosce la Repubblica di Cipro e si rifiuta di applicarvi il protocollo aggiuntivo del luglio 2005, che prevede l’estensione doganale a tutti i membri UE. A sua volta Cipro ha posto un veto presso il Consiglio UE alla proposta del 2004 della Commissione europea per sbloccare tutte le limitazioni commerciali su Cipro Nord. A lungo la parte turca ha percepito questa situazione come una punizione, a maggior ragione perché i turchi-ciprioti nel 2004 votarono a favore dell’unificazione dell’isola nel referendum sul piano dell’ONU, contrariamente ai greco-ciprioti che optarono per il no e che invece, nella stessa percezione, vennero premiati.

In questo momento, in cui sia l’Unione Europea che la Turchia si trovano ad un “bivio” – come l’ha definito l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini – diverse voci sostengono che la reazione corretta da dare ad Ankara non è quella di sospendere i negoziati, ma di aprire i capitoli 23 e 24 sui Diritti fondamentali e le libertà, due tra i capitoli bloccati dal veto di Cipro. In realtà, dal 2012 la Commissione, per segnalare l’enfasi dell’UE sullo stato di diritto e la protezione delle libertà individuali come obiettivo primario della strategia dell’allargamento, ha deciso che i negoziati di adesione sarebbero iniziati con questi capitoli. Dunque avrebbero dovuto essere aperti anche per i paesi il cui processo di adesione era già stato avviato, come la Turchia. La nuova strategia però non ha trovato applicazione nel caso turco, dove ha continuato a pesare il veto posto da Cipro, sollevando invece dubbi sulla credibilità dell’UE come partner negoziale, perché nonostante il cambiamento della strategia di allargamento è stato dimostrato che se uno Stato membro non lo permette, uno specifico capitolo non può essere aperto.

Alla luce dei recenti progressi effettuati nei negoziati sulla questione di Cipro e dei sempre più gravi problemi riguardo ai diritti fondamentali in Turchia, si è nuovamente tornati a parlare dell’apertura dei due capitoli, anche solo – e con grande ritardo – per dare un messaggio forte al governo turco. Ma il disaccordo di Ankara con i Criteri di Copenhagen è tale che anche se si attuasse questa ipotesi, in molti ritengono che l’iter europeo della Turchia incontrerebbe nuovi impedimenti da parte di altri stati membri.

Exit turco?

C’è poi la posizione assunta da Ankara su quanto sta avvenendo in questi giorni tra l’Unione Europea e la Turchia, che non facilita le cose. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha affermato che qualunque possa essere l’esito del voto al Parlamento Europeo “non avrà valore”. Il governo turco ha anche accennato alla possibilità di effettuare un referendum popolare per decidere o meno di continuare il processo negoziale con l’UE. E il caso della Brexit è stato salutato come un esempio favorevole di questa linea.

Considerato il controllo dell’esecutivo sui media, secondo molti non sarebbe affatto difficile convincere la popolazione turca a votare in questo senso – e già le società di sondaggio vicine al governo pubblicizzate sulla stampa indicano che la tendenza della maggior parte degli elettori è questa. C’è poi il recente avvicinamento di Ankara al Gruppo di Shanghai, giustificato da Erdoğan come un’occasione per la Turchia di poter agire “con molto più agio”. Per alcuni analisti si potrebbe trattare di un bluff rivolto all’UE, come pure al Consiglio d'Europa e alla Nato dei quali la Turchia è membro.

Ma colpisce in tutti questi nuovi passi la tempistica – incluso un nuovo decreto legge emanato ieri per procedere con nuove epurazioni nel paese – quasi a provocare ulteriormente l’allontanamento dell’UE dalla Turchia. Se come diverse volte minacciato da Erdoğan si introducesse poi la pena di morte – un altro bluff? – sarebbe certa anche l’uscita della Turchia dal Consiglio d'Europa. Bisogna infine considerare che Ankara ha tutti i suoi buoni motivi anche per svincolarsi dalla Corte europea dei diritti umani (CEDU), sulla quale negli ultimi anni moltissimi turchi hanno potuto contare per ottenere la giustizia negata a casa propria. Questo perché il tribunale finirebbe per inondare la Turchia di nuove condanne nei prossimi anni, in considerazione di tutti i casi di prevaricazione registrati in questi mesi.

Fine di un’epoca?

In caso di approvazione la risoluzione di oggi non sarà vincolante per le istituzioni europee. Spetterà al Consiglio europeo prendere questa decisione, per cui è richiesta una maggioranza qualificata.

Dunque se il congelamento dei negoziati non è imminente, è innegabile che si è giunti ad un momento storico per il legame della Turchia con l’Europa che risale all’inizio del XIX secolo. Anni in cui è tramontato un impero, è stata costruita una Repubblica che ha guardato sempre all’Occidente, che ha superato diversi golpe avvicendando numerosi governi. Come deciderà di porsi l’UE in questo passaggio?

Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.


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