Dalla caduta del Muro alla crisi jugoslava, dal processo di integrazione alla crisi finanziaria. L'Europa dopo il comunismo: tra nostalgia, desiderio di sicurezza e ingiustizia sociale. Intervista a Slavenka Drakulić
Slavenka Drakulić è una scrittrice e giornalista croata. Tra le sue ultime opere e quelle pubblicate in Italia ricordiamo: Pelle di marmo, Giunti Editore, Firenze, 1994; Come siamo sopravvissute al comunismo riuscendo persino a ridere, Il Saggiatore, Milano, 1994; Il gusto di un uomo, Il Saggiatore, Milano, 1996; Caffé Europa, Il Saggiatore, Milano, 1997; Balkan Express, Il Saggiatore, Milano, 1996; Come se io non ci fossi, Rizzoli, Milano, 2000; They Would Never Hurt a Fly - War Criminals on Trial in The Hague, Viking, USA, 2004; Funzioni strutturali dell'armonia, Il Saggiatore, Milano, 2007; Fridas' Bed, Penguin, USA, 2008; Leben Spenden, Zsolnay, Austria, 2008
Che ricordi ha del giorno in cui è crollato il Muro di Berlino?
Ho visitato Berlino molte volte, sia la parte Est che quella Ovest, quando ancora c'era il Muro. Avevo amici in entrambe le parti della città. Ero stata anche al Museo del Muro, al Checkpoint Charlie, un luogo davvero unico, affascinante. Sembrava surreale guardare alla televisione il Muro che crollava. Era chiaramente un momento storico, e fortemente simbolico. Smantellare il Muro voleva dire smantellare il comunismo, farlo letteralmente diventare una maceria... Ed era emozionante vedere la gente che lo scavalcava, si incontrava, si abbracciava e piangeva. Ricordo che ho dovuto darmi un pizzicotto, e per me è diventato tutto vero solo quando ho visitato Berlino di nuovo, e ho visto che il Muro non c'era più. Tuttavia credo che sia scomparso presto, forse troppo presto. Posso capire il desiderio di farlo sparire, ma forse sarebbe stato meglio conservarne alcuni grandi tratti, come monumento alla stupidità umana. Ora c'è il rischio che le generazioni future dicano: il Muro? Quale Muro? Così come esiste già un rischio simile con il comunismo: comunismo? Quale comunismo?
Come è stata presentata la notizia e quali sono state le reazioni dell'opinione pubblica in Jugoslavia?
Non mi trovavo in Jugoslavia in quel momento, ero negli Stati Uniti. Lì naturalmente l'evento è stato presentato in maniera trionfale.
Si aspettava la violenza che si sarebbe abbattuta sul suo Paese negli eventi che hanno seguito la caduta del Muro?
In Jugoslavia in quel momento, nel 1989, c'erano già da diversi anni una serie di raduni nazionalistici di massa, specialmente in Serbia. Il cosiddetto "hate speech" era al culmine. I media erano stati ridotti a macchine di propaganda, che diffondevano il nazionalismo come un fuoco. Stavano preparando psicologicamente la gente alla guerra. So che dall'esterno sembrava che le guerre (in Croazia e Bosnia) fossero scoppiate da un giorno all'altro. Non è stato così, i preparativi sono continuati per almeno 5 anni. Il nostro problema, in Jugoslavia, era che noi eravamo gli ultimi che continuavano a credere nel nostro tipo di "socialismo dal volto umano". Noi, specialmente la mia generazione, non siamo stati in grado di creare in tempo un'alternativa politica democratica, mentre i nazionalisti erano pronti a prendere il sopravvento, per realizzare i propri sogni di Stato-nazione. Tuttavia, nessuno si sarebbe aspettato una tale violenza e le carneficine...
In molti Paesi dell'Europa Centrale e Orientale gli ex dissidenti sono divenuti parte delle élites di governo. Perché questo non è avvenuto nei Paesi della ex Jugoslavia, dove gli intellettuali sono stati per lo più ostracizzati nella transizione e spesso sono ancora all'estero?
La nostra situazione, in Jugoslavia, era molto differente da quella dei Paesi del blocco sovietico. Come dicevo, non avevamo un'alternativa democratica, nessun gruppo o partito politico pronto ad assumere il potere. Non c'era nessun Vaclav Havel. Gli intellettuali poi (professori, accademici, giornalisti, scrittori) erano molto coinvolti nel nazionalismo. Si sono incaricati di diffondere il nazionalismo nei media. Gli intellettuali in generale hanno svolto un ruolo estremamente negativo, basti pensare a Radovan Karadžić o a Dobrica Čosić. D'altro canto i pochi intellettuali critici, anti-nazionalisti, che hanno osato esprimere opinioni differenti, sono stati perseguitati e i nuovi governi nazionalisti e autoritari li proclamavano traditori.
Nella introduzione al suo "Come siamo sopravvissute al comunismo riuscendo persino a ridere", lei ha parlato del comunismo come di un qualcosa di più di una semplice ideologia, ma come di uno stato della mente. Si tratta di una condizione ancora attuale?
Ho scritto di una "mentalità comunista". Vivendo per molte generazioni sotto il comunismo è normale sviluppare alcuni valori e abitudini, un certo modo di pensare e di comportarsi. E non è facile liberarsi delle vecchie abitudini. Questo è uno dei motivi che spiegano l'inerzia. Prima era più facile, si potevano attribuire al governo e al partito comunista tutte le colpe e i problemi. Credo che questo tipo di mentalità sia resa evidente dal fatto che la gente, nei Paesi ex comunisti, ha una grande difficoltà ad assumersi la responsabilità personale, dai livelli più alti a quelli più bassi. Il concetto di responsabilità per loro non è comune. Non è un qualcosa che si può sviluppare in una società di massa, dove l'individualismo viene messo al bando. Oggi, vent'anni dopo il cambiamento politico, la mancanza di responsabilità continua a generare molti problemi. Questo mostra quanto lentamente cambia la mentalità comunista.
Venti anni dopo, come descriverebbe la differenza tra il sopravvivere durante il comunismo e il sopravvivere dopo il comunismo?
Solo pochi mesi fa le avrei dato una risposta ottimista. Dopo il crollo dei mercati finanziari e il periodo di recessione nel quale siamo entrati, però, è difficile parlare di una strategia per quella parte dell'Europa... L'economia, nei Paesi ex comunisti, dipende interamente dal capitale straniero. Ci si aspetta quindi che questi Paesi verranno colpiti duramente, anche se fino ad ora questa eventualità viene negata. Ritiro dei capitali, chiusura delle fabbriche, flessione industriale, collasso delle banche significano crescita della disoccupazione e della povertà, e crescita delle frustrazioni. Tutto questo non può portare niente di buono. Abbiamo già visto una crescita del nazionalismo (vedi l'Ungheria) e del populismo. Temo che queste società (naturalmente c'è differenza tra la Repubblica Ceca e la Romania, ad esempio) non siano sufficientemente democratiche, e che non abbiano sviluppato meccanismi per affrontare situazioni difficili come questa. Ci si può quindi aspettare un periodo di destabilizzazione politica. Da un certo punto di vista, non è giusto: li fai entrare in "Europa", assaggiano la torta, e dopo gliela porti via... La mia speranza è che il carattere ancora contadino e patriarcale di queste società le possa salvare dalla crisi.
Nei venti anni dalla caduta del Muro di Berlino l'Europa, come soggetto politico, è divenuta più forte?
Non direi. L'Unione Europea è ancora un gruppo di Stati-nazione, ognuno dei quali ancora impegnato a prendersi cura anzitutto dei propri interessi. L'UE non ha una politica estera comune, una politica culturale, una politica energetica... Questo è divenuto molto evidente solo un mese fa, quando il flusso del gas russo attraverso l'Ucraina si è interrotto. Ogni Paese ha cercato di fare lobby per se stesso, ricercando non una soluzione comune, ma una individuale. L'UE deve ancora sviluppare un sentimento di unità, che potremmo definire come un interesse comune. Serve ancora un collante che ci tenga uniti. Ha una burocrazia enorme, lenta e costosa, che agisce attraverso divieti. Vedremo cosa accadrà durante questa crisi finanziaria, quanto sentimento di appartenenza verrà dimostrato attraverso aiuti finanziari ai Paesi ex comunisti. Sono consapevole del fatto che le mie parole sembrano critiche. Naturalmente io non sono contraria all'Unione, vorrei solo che migliorasse.
I Paesi ex comunisti hanno contribuito alla riunificazione dell'Europa, o sono stati semplici comparse nel processo di integrazione?
La mia impressione è che questi Paesi (alcuni più, altri meno) abbiamo fatto grandi sforzi per cercare di raggirare l'Unione Europea... Hanno finto di lavorare sulle riforme, ma in realtà si è trattato di una sorta di gioco: noi cerchiamo di dare una buona impressione e poi, quando siamo dentro, continuiamo a fare quello che facevamo prima. Basta guardare ai casi di corruzione o di sottrazione di denaro pubblico in Romania e Bulgaria... Oppure guardiamo alla Croazia, che si prepara ad entrare nell'Unione. Stanno davvero riformando - ad esempio - il sistema giudiziario, o è solo un'operazione di facciata? Il problema è che, una volta dentro, ci sono meno possibilità di sanzionare un Paese per questioni di corruzione o di mancanza di democrazia...
Esiste ancora un Muro tra Europa Occidentale e Orientale?
Sì. Le persone comuni hanno ancora la sensazione di essere trattate come cittadini di seconda categoria. E hanno ragione. Le differenze tra i due blocchi, economiche, politiche, storiche e sociali, erano troppo grandi per essere annullate in soli due decenni. Due decadi non sono molto in termini storici. Un buon esempio è la Germania unita. Se la guardiamo da vicino, vediamo che il processo di unificazione è in realtà molto lento e che, nei fatti, la Germania è ancora un Paese diviso. Cosa possiamo aspettarci allora per gli altri Paesi dell'ex blocco sovietico?
La nostalgia per il comunismo è iniziata subito dopo la caduta del Muro. Come descriverebbe questo fenomeno? C'è qualcosa da salvare oltre alle stelle rosse e alle immaginette di Lenin e Stalin vendute nei mercati delle pulci?
Per quanto riguarda la nostalgia, ha ragione. E' facile da capire perché le persone che avevano più di 30 anni, quando è avvenuto il cambiamento, sono dei perdenti. Un rivolgimento politico immenso è avvenuto nel mezzo delle loro vite. Improvvisamente si sono trovati senza un lavoro, senza sicurezza, senza soldi, assaliti dal capitalismo consumista e dai suoi valori. Come vi sentireste? Tuttavia, questa nostalgia non viene interpretata correttamente. Non si tratta di rimpianto per il regime comunista, ma per la sicurezza che la gente percepiva allora. Sì, non erano liberi, ma erano sicuri. Oggi sono liberi ma insicuri... Recentemente ho viaggiato in Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, e penso che alle persone che vivono in quei Paesi manca davvero qualcosa: la giustizia sociale.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!
Commenti
Log in or create a user account to comment.