La situazione dell’informazione nei Balcani occidentali e le pressioni delle élite politiche locali. Resoconto del quarto panel della conferenza “Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro” svoltasi a Sarajevo il 28 e 29 novembre scorsi, co-promossa da Ambasciata d'Italia a Sarajevo e OBCT/CCI
Luisa Chiodi: una nuova narrazione
Serve una nuova narrazione per i Balcani e l’Europa, essenziale per rinvigorire l’allargamento UE: questa osservazione, già molto presente nel corso della conferenza, è stata rilanciata da Luisa Chiodi, direttrice scientifica di OBCT e coordinatrice del panel. "Le narrazioni sono fondamentali per dare forma alla comprensione pubblica dei fenomeni. L’allargamento è un processo complesso, non facile da spiegare per i giornalisti, poco conosciuto e poco comprensibile al grande pubblico. D’altra parte, molti cittadini dei paesi membri conoscono poco l'UE e il suo funzionamento interno. Un cittadino comune italiano, o francese, o spagnolo, difficilmente sa che cosa sono i capitoli dell’acquis communautaire".
Sullo stato di salute del mondo dell’informazione nei Balcani, Chiodi ha osservato che "i media sono in difficoltà a livello globale, perché il loro modello di business è radicalmente cambiato con i cambiamenti tecnologici. Nei Balcani il problema è ancora più grave, perché oltre alla sostenibilità economica ci sono altre questioni, come la ‘state capture ’ e la sicurezza dei giornalisti, che oltre alle minacce di cause giudiziarie possono essere oggetto di minacce fisiche pur di essere silenziati". Tra gli elementi più innovativi negli ultimi anni, Chiodi indica "l’arrivo dei grandi network internazionali, come Al Jaazera, la CNN e diversi media tedeschi e britannici, che oggi hanno una forte presenza nella regione. Grazie al supporto dell'UE, si sono costruite delle reti sia tra i paesi dei Balcani, sia tra i Balcani e l'UE, che cercano di lottare per dei cambiamenti e stimolare una maggiore comprensione della regione".
Zlatko Dizdarević: l’era post-fattuale
Inizia ripercorrendo la propria esperienza personale l’intervento di Zlatko Dizdarević, giornalista di Oslobođenje, scrittore e diplomatico, a lungo corrispondente in Medio Oriente. Per molti italiani (e non solo) Zlatko Dizdarević è stato un fondamentale simbolo della libertà dei media e un interlocutore della società civile durante il conflitto degli anni Novanta. L’autore ha ricordato i numerosi giornalisti italiani che hanno documentato l’assedio di Sarajevo, condividendo la terribile quotidianità con la popolazione cittadina. Dizdarević ha poi offerto alcune riflessioni critiche sull’informazione di oggi: "La verità, e le verità, che definiscono la realtà contemporanea, sono sempre più formulate da centri creatori dell’informazione che si trovano molto lontano dai luoghi in cui avvengono gli eventi. Ci sono media che riportano cosa succederà quando non è ancora successo; dopo qualche tempo, ciò puntualmente avviene, e tutti gli altri media internazionali lo riprendono".
L’approccio del giornalismo è cambiato negativamente, secondo Dizdarević. "Una volta la funzione del giornalismo era quella di produrre notizie secondo le canoniche regole base delle cinque W. Ora la funzione è di distruggere qualcuno oppure di promuovere qualcuno. Ormai ci troviamo nella società ‘post-fattuale’, in cui le fake news hanno lo stesso status delle informazioni vere. Anche se si dimostra che l’informazione non è vera, la risposta è ‘E allora? Andiamo avanti’. Oggi i portali web pubblicano al novanta per cento notizie di altri, non ne producono di proprie. Recentemente in un incontro con giovani studenti universitari sul giornalismo, ho parlato della mia lunga esperienza di corrispondente dall’estero. Allora uno studente mi ha chiesto: ‘Ma a cosa servivano i corrispondenti? È una stupidaggine, una perdita di tempo: oggi si può trovare tutto su internet’. Ecco, questa è la situazione del giornalismo oggi’ ".
Sulla situazione politica in Bosnia Erzegovina, Dizdarević afferma: "Abbiamo una classe politica il cui unico progetto è che il paese non faccia nemmeno un passo avanti verso l'UE. Non è più una questione politica o ideologica: è una questione di rimanere al potere come ragione di vita o di morte. Se facciamo un passo verso l'UE, significherebbe dieci passi verso le riforme istituzionali, della giustizia, dell’amministrazione, della polizia. E per i loro interessi questo non andrebbe bene".
Valerie Hopkins: i Balcani nei media internazionali
Valerie Hopkins, corrispondente del Financial Times per Ungheria, Romania, Albania e paesi ex-jugoslavi, è una delle giornaliste internazionali più influenti che si occupano di Balcani. "Questa è una regione estremamente interessante, ricca di storie, di notizie e di connessioni con il mondo. Tuttavia per molti lettori del mio quotidiano è difficile capire cosa succede, soprattutto quando c’è poco spazio per spiegarlo". Nel raccontare i Balcani emergono problemi di aspettative del pubblico e degli stessi media, spiega Hopkins: "Le notizie che molti si aspettano di leggere su questa regione non sono sull’economia o sui giovani, ma sull’eredità della guerra. Capisco questa importanza, ma personalmente cerco di occuparmi dei giovani che cercano di andare avanti nonostante gli ostacoli. Oppure i media ricercano altri frame narrativi: la cornice regionale, le questioni geopolitiche, le tensioni Russia-Occidente, ora il ruolo di Turchia e Cina… Così diventa difficile proporre una notizia su Bosnia e Kosovo e fare sì che questa sola abbia una rilevanza globale".
L’impasse cronica in cui sembra immersa la Bosnia Erzegovina non aiuta l’attenzione mediatica, osserva Hopkins: "Quando mi trasferii a Sarajevo dieci anni fa, era appena stata emanata la sentenza Sejdić-Finci, era già emerso il problema delle elezioni di Mostar, si parlava già di un possibile referendum di secessione della Republika Srpska. Oggi si sta ancora parlando di questi stessi identici temi. E non si può scrivere ogni giorno un articolo sullo stesso tema! Certo, non è che non siano mancate notizie nuove in dieci anni: molte proteste sociali, le ascese e le cadute di tanti governi… Però sembra che le questioni sostanziali non cambieranno a breve".
In un precedente intervento della conferenza, Adi Čerimagić aveva evocato la favola del principe e del ranocchio per descrivere il rapporto Bosnia-UE. Valerie Hopkins suggerisce una metafora diversa sul contesto bosniaco: "La storia che si racconta più spesso qui è quella della rana bollita, che non si accorge che l’acqua si sta scaldando pian piano. Quando la redazione mi chiede cosa succede, è difficile spiegare ‘Ok, ora l’acqua è mezzo grado più calda, la rana è pronta per rimanere bollita, ma poi non succede nulla. Quando ero a Sarajevo e volevo scrivere delle elezioni politiche, la redazione mi chiedeva ‘Ma cambierà qualcosa dopo le elezioni?’, allora io rispondevo ‘Va bene, allora aspetto finché non si formerà il governo’. Quindi ho dovuto aspettare molto tempo! [Infatti il governo statale è stato formato solo tredici mesi dopo le elezioni del 2018, ndA]. Quindi c’è una carenza di articoli, ma non necessariamente una mancanza di interesse per la regione di per sé. Il problema è trovare il giusto frame narrativo con cui presentarlo".
Un altro problema è che "le difficoltà della Bosnia Erzegovina sono condivise dagli altri paesi della regione. Se propongo un articolo sull’emigrazione giovanile dalla Bosnia Erzegovina, dalla redazione mi risponderanno ‘OK, però tre milioni di persone hanno lasciato la Romania, e in Serbia hanno lo stesso problema', e lo stesso avviene per la corruzione, le trame del sistema giudiziario… Tuttavia, penso che sia il momento giusto per riportare l’attenzione sulla Bosnia Erzegovina, non solo per il disappunto che è scaturito dalla non-decisione dell’UE sull’allargamento ai Balcani occidentali, ma anche per i commenti negativi di Macron sulla Bosnia".
Bisogna però mantenere il giusto equilibrio, conclude Hopkins. "Molti miei colleghi, comprensibilmente, sono molto critici sulla situazione in Bosnia Erzegovina. Tuttavia penso che qualche volta sia necessario anche mostrare che ci sono istituzioni che funzionano, che avvengono eventi positivi. Macron e altri politici europei usano le vicende negative per dire ‘Perché farli entrare?’, quindi è importante offrire un’immagine più completa della situazione".
Elvira Jukić: tra perdita di professionalità e esempi virtuosi
"I giornalisti internazionali spesso ci chiedono: ‘Succede davvero qualcosa da voi?’ In effetti dalla distanza è difficile vedere delle novità, ma nemmeno da qui si notano i cambiamenti". Elvira Jukić, caporedattrice di Mediacentar , centro di formazione e ricerca sul giornalismo di Sarajevo, fornisce uno sguardo dall’interno del mondo dell’informazione in Bosnia Erzegovina. "Anche qui si dice spesso, e giustamente, che ci servono nuove narrazioni. Ma è difficile crearle se non ci sono idee chiare su come queste narrazioni devono essere. È vero che molti giovani vogliono vedere un cambiamento, ma non hanno le idee chiare sulla direzione che questo dovrebbe prendere. Questo non significa che i giovani bosniaci non hanno nessuna idea. Bisogna cercare di ascoltarli di più, rivolgere loro più domande. È per questo che Mediacentar organizza diversi seminari con i giovani, affinché sviluppino un pensiero critico".
Come nei precedenti interventi, anche Elvira Jukić individua diversi problemi dell’informazione di oggi: "Sono anzitutto di carattere economico, poi c’è il fatto che la disinformazione sia ormai diventata mainstream. Succede in tutta Europa, anche in paesi che la Bosnia Erzegovina in passato guardava come esempi virtuosi. Inoltre, c’è l’emigrazione: tra chi lascia il paese ci sono molti giornalisti, che quindi abbandonano la professione. I giovani che li dovrebbero sostituire, nelle facoltà non vengono preparati a sufficienza per il lavoro pratico. Quando arrivano nelle redazioni non sono pronti. Così vediamo sempre più testate che lavorano senza professionalità e si servono di giornalisti senza esperienza. Sono quelli che producono la maggior parte delle notizie che consumiamo ogni giorno".
I media sono circondati da troppe critiche facili, sostiene Jukić. "C’è bisogno di un approccio più costruttivo. Al Mediacentar da alcuni anni cerchiamo di individuare buone pratiche, in tutta la regione post-jugoslava, non solo in Bosnia Erzegovina. Abbiamo individuato una decina di media virtuosi, come il CIN, il BIRN, Buka , Žurnal . Ciò che hanno in comune è che tutti sono finanziati in buona parte da donatori stranieri, come ambasciate e fondazioni".
Aleksandar Trifunović: la Bosnia Erzegovina, una provvisorietà senza fine
"Il nostro è un giornale indipendente che critica tutti allo stesso modo: governo, opposizione, comunità internazionale… Nessuno ci ama, ma sono contento che abbiamo raggiunto questo livello di indipendenza, che è quando tutti ti detestano". Si presenta così Aleksandar Trifunović, fondatore e direttore da venti anni del progetto editoriale Buka, un portale web e tv tra i più influenti nel panorama mediatico in Bosnia Erzegovina. Trifunović ricorda un aneddoto di dieci anni fa per tracciare un bilancio severo della situazione politica: "Conducevo una trasmissione il cui tema era ‘Esiste la Bosnia Erzegovina?’; invitai diversi politici che all’epoca erano, e diversi lo sono ancora oggi, tra i più importanti del paese. Gli rivolsi questa semplice domanda: ‘Esiste la Bosnia Erzegovina?’ Nessuno di loro mi rispose di sì o di no chiaramente. Tutti diedero risposte complicate e diverse tra di loro. Milorad Dodik, con cui non sono d’accordo su quasi nulla, rispose così: ‘La Bosnia è una provvisorietà senza fine ’. Penso che questa sia la migliore definizione per il nostro paese. I nostri politici operano affinché questo paese rimanga una provvisorietà senza fine e affinché nulla si risolva. Infatti niente è cambiato da allora. Siamo il paese in cui non accade nulla e così siamo percepiti all’estero".
Critico è anche il giudizio offerto da Trifunović sulla comunità internazionale, i cui membri "dicono sempre le stesse cose: ‘Bisogna trovare un accordo’, ‘La BiH è un paese bellissimo’, ‘I cittadini della Bosnia Erzegovina si aspettano dei miglioramenti’. Sono diventati slogan a cui non crede più nessuno. Due anni fa la Delegazione dell'UE in Bosnia Erzegovina si è impegnata così tanto nell’introduzione delle accise sui carburanti, quindi nel rincaro del costo della vita per i cittadini bosniaci, e in seguito nell’assicurare ai politici locali un nuovo mandato. I cittadini bosniaci vedono l'UE come il partner della classe politica al potere, non il partner dei cittadini. I padroni della Bosnia Erzegovina, con la loro narrazione basata sui nazionalismi, non vogliono cambiare nulla, perché in nessuna situazione all’infuori di questa potrebbero governare così comodamente, senza responsabilità, senza sanzioni. L'UE e la comunità internazionale dovrebbero investire molte più risorse verso i cittadini della Bosnia Erzegovina che verso i politici. Invece trattano i politici come stelle, e questi si comportano come vogliono".
In conclusione, il direttore di Buka esalta le "vere stelle di questo paese: sono coloro che sopportano di vivere qui. Anch’io, finché sarò qui, penserò che per questo paese si debba lottare. Ma questo ha un limite, e anche tra chi decide di rimanere e di credere in questo impegno, ci sono sempre meno alleati e sempre meno solidarietà. Sempre meno gente accetta di mettere radici in questo paese, di rimanere, fisicamente o anche solo psicologicamente. Tutti dobbiamo contribuire a cambiare questo, investendo di più nelle persone che sono i veri eroi di questa società, e molto di meno in una certa politica che vuole mantenere per questo paese una provvisorietà senza fine".
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