Non si placano in Georgia le proteste scoppiate dopo le elezioni di ottobre e la decisione del governo di sospendere i negoziati con l’UE. Sabato è atteso un altro momento critico: l’elezione del nuovo presidente, in una situazione politica sempre più polarizzata
In Georgia proseguono le manifestazioni di protesta, anche se per un attimo è sembrato che si stessero placando. La portata delle proteste resta però oggetto di discussione. Alcune notti sono state molto tranquille, soprattutto dopo gli interventi di polizia che quasi sempre ha disperso i manifestanti.
Il governo sostiene che questa apparente tranquillità sia dovuta al fatto che gli organizzatori degli attacchi alla polizia, colpita da pietre e fuochi d’artificio, sono stati arrestati. Non è però da escludere che la rabbia – scatenata dall'annuncio del primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze di voler sospendere i negoziati di adesione all’UE fino al 2028 – stia svanendo.
Ad ogni modo, sabato scorso la situazione sembrava essere ritornata alla calma. Le strade erano più tranquille, come se le persone si fossero ritirate di fronte ad una forza soverchiante, e sui treni della metropolitana, diretti verso la stazione Piazza della Libertà, vicino al luogo in cui venivano organizzate le proteste serali, ormai non si notavano molti manifestanti. Qualcuno però c’era ancora.
Una giovane donna, vestita in maniera casual, stava seduta in silenzio, poi prima di uscire ha tirato fuori una grande bandiera georgiana, avvolgendola intorno alle spalle e lasciando che le cadesse lungo la schiena. Un altro manifestante, un giovane uomo assorto nel suo telefono per tutta la durata del viaggio, era seduto con un casco da moto attaccato alla giacca, probabilmente per proteggersi in caso di nuove violenze durante la protesta.
Arrivati alla stazione Piazza della Libertà, la maggior parte dei passeggeri è rimasta a bordo, proseguendo il viaggio. Tra quelli che sono scesi dal treno, molti hanno svoltato a destra per allontanarsi dalla protesta, altri invece sono andati nella direzione opposta per unirsi ai manifestanti.
Sarebbe sbagliato però affermare che le manifestazioni di protesta si siano sgonfiate. La partecipazione non è diminuita rispetto alla prima protesta post voto, organizzata lo scorso 28 ottobre, a cui hanno preso parte 19mila persone. In certe notti si è registrata una partecipazione forse addirittura doppia.
Secondo l’opposizione, a protestare sono centinaia di migliaia di persone, mentre i media governativi parlano di poche migliaia. La guerra dell’informazione, alimentata da entrambe le parti, non accenna a placarsi, con pochi giornalisti indipendenti sul campo per fornire informazioni oggettive.
Si notano poche bandiere tra la folla. A parte qualche bandiera georgiana, sventolano anche quelle degli Stati Uniti, dell’Unione europea e dell’Ucraina. Di tanto in tanto però compare una bandiera che si distingue tra tutte le altre – quella della prima repubblica georgiana, fondata nel 1918, che ebbe vita breve. Questa bandiera fu nuovamente adottata dopo il crollo dell’Unione sovietica, per poi essere di nuovo abbandonata dopo la Rivoluzione delle rose nel 2003.
A portare la bandiera della prima repubblica durante la manifestazione di sabato sono stati due adolescenti punk, ai quali non piaceva l’attuale bandiera, adottata nel 2004 dall’allora presidente della Georgia Mikheil Saakashvili – l'ormai onnipresente croce rossa su sfondo bianco, con quattro croci rosse più piccole agli angoli. Oggi, come hanno spiegato i ragazzi, la vecchia bandiera riveste maggiore importanza.
Discostandosi dalle narrazioni secondo cui il rosso rubino della bandiera simboleggia i bei tempi, i due giovani ribelli hanno la loro versione della storia. Secondo i ragazzi, il rosso della bandiera rappresenta il sangue dei georgiani versato sotto il giogo straniero, il piccolo rettangolo nero simboleggia l’oscurità del dominio sovietico, mentre quello bianco sottostante rappresenta un futuro più luminoso. Come tutti gli altri presenti alla protesta, anche loro due erano venuti per battersi per la libertà e per un futuro europeo.
Non tutti però erano disposti a parlare, temendo di essere identificati dalla polizia e trattenuti dopo la manifestazione. Alcuni hanno indossato anche maschere per evitare la sorte dei tanti arrestati, alcuni dei quali sono stati maltrattati e picchiati. Il governo afferma di voler vietare l’uso delle maschere, come hanno fatto alcuni stati federali degli Stati Uniti dopo le manifestazioni pro-Palestina.
Domenica scorsa il comune ha eretto il tradizionale albero natalizio anche davanti al parlamento di Tbilisi, inizialmente applicando solo il fogliame alla parte superiore della struttura metallica. Più tardi lo stesso giorno i manifestanti hanno appeso all’albero le fotografie delle persone ferite o picchiate sin dallo scoppio delle proteste a fine ottobre. Poi lunedì è stata completata anche la decorazione della parte inferiore della struttura e le foto sono state rimosse dai dipendenti del comune.
Anche l’intero viale Rustaveli, luogo principale delle proteste, dovrà essere decorato per le feste, fatto che solleva ulteriori interrogativi sulla possibile durata della mobilitazione. I manifestanti affermano che non si fermeranno fino a quando non verranno indette nuove elezioni. Ritengono che l’opposizione abbia legittimamente vinto la tornata di ottobre.
Nel frattempo, un altro momento critico sarà sabato prossimo quando verrà eletto il nuovo capo dello stato che andrà a sostituire l’attuale presidente Salomé Zourabichvili, ormai diventata leader delle proteste e delle forze di opposizione con un sostegno significativo del settore non governativo georgiano. A sostituire la presidente uscente sarà con ogni probabilità un ex calciatore con quasi nessuna esperienza politica. L’opposizione sostiene che il governo sia pronto a dichiarare lo stato di emergenza il giorno del voto.
Non ci sono prove per corroborare quest’ipotesi, se non la sensazione che il governo voglia porre fine alle proteste entro la fine dell’anno. Anche se dovesse riuscirci, rimarrebbero punti critici da affrontare in quello che è stato annunciato da entrambe le parti come uno scontro esistenziale post-elettorale. Ed è decisamente diventato tale.
Photostory delle proteste
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