Inaugurato un ciclo di incontri promosso dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano sulla guerra tra Russia e Georgia. Nostro resoconto
L'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano, in collaborazione con LIMES - Rivista di geopolitica, ha promosso un ciclo di tavole rotonde dedicato al conflitto russo-georgiano di quest'estate e alle sue ripercussioni nei rapporti internazionali fra Russia, Stati Uniti ed Europa.
La prima delle quattro tavole rotonde prevista dal programma ha avuto luogo presso la sede dell'ISPI a Milano, nella suggestiva cornice di Palazzo Clerici, giovedì 18 settembre, ed è stata dedicata ai conflitti del Caucaso. Hanno partecipato alla tavola rotonda Lucio Caracciolo, direttore di Limes (il numero di settembre della rivista è dedicato al deterioramento dei rapporti fra Stati Uniti e Russia, ed è intitolato "Russia contro America peggio di prima"), e Aldo Ferrari, direttore del programma di ricerca dell'ISPI su Caucaso e Asia Centrale e docente di Lingua e Letteratura Armena dell'Università Cà Foscari di Venezia. L'incontro è stato introdotto e moderato da Paolo Magri, Direttore dell'ISPI.
L'incontro ha riguardato il contesto storico, l'analisi dei fatti e le conseguenze del conflitto per il Caucaso, con interventi e domande da parte degli ascoltatori. L'analisi storica di Aldo Ferrari ha illustrato in maniera sintetica ed efficace l'evolversi della situazione dell'area caucasica a partire dal crollo dell'Unione Sovietica, nel momento in cui Georgia, Armenia e Azerbaijan sono ridiventate soggetti di diritto internazionale. Ferrari ha rievocato i brevi ma sanguinosi conflitti a carattere etno-territoriale scoppiati nella Transcaucasia al dissolversi dell'Unione Sovietica: fra armeni e azeri per il controllo dell'Alto Karabakh, e in Georgia, con Ossezia del Sud e Abkhazia (a questi due conflitti vanno aggiunti quelli nord-caucasici, esplosi nello stesso periodo: la prima guerra russo-cecena e il conflitto fra osseti e ingusci per il controllo del Prigorodny Rajon). Ferrari ha inoltre spiegato come le due repubbliche Georgia e Azerbaijan, nel tentativo di uscire dall'orbita russa e avvicinarsi a quella occidentale, siano incorse nelle misure di ritorsione russe, consistite in sostegno politico e armato alle più piccole entità territoriali secessioniste: interventi, quindi, non di solidarietà ma puramente strumentali, così come richiede la politica delle grandi potenze.
Di fatto Nagorno-Karabakh, Ossezia del Sud e Abkhazia sono uscite, grazie all'appoggio russo, vincitrici, guadagnandosi così una indipendenza de facto ma non de jure. Il non riconoscimento della soluzione militare da parte della comunità internazionale, unitamente al disinteresse per un risanamento della situazione e per la ricerca di soluzioni alternative a quella militare, ha portato a un congelamento temporaneo dei conflitti. Nel Caucaso si incrociano due assi strategici, uno orizzontale di orientamento più o meno filoccidentale che parte dall'Azerbaijan, passa per la Georgia e arriva in Turchia - seguendo il percorso dell'oleodotto Baku - Tbilisi - Ceyan - e uno verticale che attraversa Russia, Armenia e Iran. L'attenzione per la regione e in particolare per la Georgia da parte degli Stati Uniti da una parte, e l'imprevisto rafforzamento della Russia a partire dal 2000, con la presidenza Putin, hanno alzato il livello di tensione in Georgia, "scongelando" almeno due conflitti che già negli ultimi anni avevano dato segni di ripresa: il tentativo da parte di Saakashvili di riconquistare con le armi l'Ossezia del Sud nel 2004 e gli scontri con l'Abkhazia nel 2006.
A margine dell'intervento riportiamo un commento di Ferrari - che allo scoppio del conflitto era in Russia - sui media: "Leggendo i giornali russi e quelli occidentali, avevo l'impressione che si parlasse di due guerre diverse: i giornali russi parlavano dell'aggressione del gigante georgiano alla piccola e amica Ossezia del Sud. I giornali occidentali, invece, parlavano dell'aggressione del gigante russo alla piccola e amica Georgia."
Lucio Caracciolo ha parlato del Caucaso da un punto di vista geopolitico, illustrando l'importanza che questo territorio riveste per le due grandi potenze che se ne contendono il controllo. La perdita del controllo di parte del Caucaso, o una limitata presenza americana su territori storicamente da sempre nell'orbita russa, non solo per questioni di vicinanza geografica, per i russi sarebbe una catastrofe di proporzioni inimmaginabili non per niente, all'indomani di Beslan, Putin ha definito il crollo dell'Unione Sovietica come la tragedia geopolitica peggiore del XX secolo, ndr. Per questo motivo la Russia è intervenuta violentemente e brutalmente in Cecenia, all'indomani della dichiarazione di indipendenza da parte di quest'ultima, per evitare di innescare un effetto domino che nelle più fosche previsioni avrebbe potuto portare ad una serie di secessioni dei soggetti della Federazione (ricordiamo che la Russia è una repubblica federale costituita da circa 80 soggetti con diverso status giuridico e amministrativo). Per gli americani, invece, il Caucaso, e più in generale l'area Caucaso-Mar Nero rappresentano il baluardo dell'occidente. Nel Caucaso si intrecciano poi questioni che riguardano il transito degli idrocarburi. Oltre a ciò, il Caucaso rappresenta per la Russia un'area problematica, data la presenza di una popolazione marcatamente islamica con una crescita demografica decisamente maggiore rispetto a quella etnica russa. Il forte nazionalismo russo, che spesso si esprime in episodi di stampo razzista, arricchisce la complessità di una situazione già di per sé non facile.
Entrambi i relatori concordano sulle responsabilità georgiane nell'apertura delle ostilità contro l'Ossezia del Sud. Per il presidente Saakashvili non ci sono giudizi teneri. Più dubbi sulla dietrologia che riguarda il ruolo che gli americani possono o non possono aver avuto nell'indurre la Georgia ad attaccare la repubblica indipendentista. La condanna dell'aggressione georgiana è netta e univoca: "Senza l'attacco georgiano i tank russi non si sarebbero mai mossi" afferma Caracciolo, con una sicurezza che non ammette obiezioni. Sia Ferrari che Caracciolo parlano di guerra irrazionale: difficile trovare spiegazione all'attacco di un esercito georgiano che ha la maggior parte delle truppe in Iraq e Abkhazia e che, soprattutto, non oppone resistenza alla reazione russa, permettendo la penetrazione fino a Gori. Interessante, informa Caracciolo, il fatto che Israele abbia ritirato tutti i consiglieri presenti in Georgia due settimane prima dello scoppio delle ostilità.
Infine non sono mancati i riferimenti al riconoscimento del Kosovo e alle sue conseguenze sul piano della politica internazionale. La Russia, fanno notare entrambi i relatori, pur avendo sempre sostenuto le istanze indipendentistiche di Abkhazia e Ossezia del Sud, ne aveva sempre evitato il riconoscimento unilaterale che avrebbe potuto avere ripercussioni sulla questione cecena di cui ricordiamo che esistono due governi paralleli: quello ufficiale di Kadyrov, sostenuto dal potere centrale russo, e quello ombra, alternativo, di Dokka Umarov. Diversi sono i rappresentanti ceceni che godono di asilo politico in Europa, muniti di passaporto della Repubblica Cecena di Ichkerija, ndr.
Gli interventi da parte dell'uditorio hanno dato modo di arricchire il quadro di ulteriori dettagli: alla domanda relativa ad una presenza militare russa in Ossezia del Sud prima dell'attacco georgiano, Caracciolo ha chiarito che si trattava di forze di interposizione non violenta, ovvero di peacekeeper russi, presenti in zona su mandato internazionale - "su cui i colleghi georgiani hanno aperto il fuoco colpendoli alle spalle".
La questione del perché osseti e abkhazi preferiscano la Russia alla Georgia ha dato occasione a Ferrari di precisare la cornice storica degli eventi: "In epoca sovietica, Abkhazia e Ossezia del Sud godevano di un'autonomia limitata ma reale. Autonomia che ha avuto bruscamente fine con il crollo dell'URSS e con l'avvento in Georgia del presidente Gamsakhurdia - il primo presidente della Georgia post-sovietica - che ha scatenato una guerra sciovinista durissima contro le due minoranze".
Sempre dall'uditorio, quasi a conclusione dell'incontro, una proposta indirizzata a Paolo Magri, direttore dell'ISPI: dedicare una tavola rotonda alle repubbliche del Caucaso del Nord: "Si sta creando lì una situazione esplosiva: il conflitto del Prigorodny Rajon, i profughi ingusci, i profughi ceceni, i profughi sudosseti del primo conflitto a cui vanno ad aggiungersi quelli dell'ultimo conflitto... Non sarebbe il caso di dedicare un po' di attenzione senza aspettare che scoppi l'ennesima tragedia?"
In conclusione, un incontro estremamente stimolante, di notevole approfondimento ed estremamente ricco da un punto di vista delle informazioni.
Nei prossimi giorni si terranno gli altri incontri previsti all'interno di questo ciclo:
25 settembre 2008, ore 18.30: Russia e USA: Guerra Fredda?
30 settembre 2008, ore 18.00: Cosa cambia in Russia?
1 ottobre 2008, ore 18.00: L'Europa (e l'Italia) nella crisi