Aperture da parte della UE, avvicinamento della NATO. Secondo alcuni analisti azeri il motivo è chiaro: i giacimenti di petrolio e gas. Mentre le preoccupazioni rispetto a democrazia e diritti umani passano in secondo piano

29/11/2006 -  Maddalena Parolin Oslo

L'Unione Europea e l'Azerbaijan

La settimana scorsa l'Unione Europea ha firmato il piano d'azione per la Politica Europea di Vicinato con i tre paesi del Caucaso meridionale: Armenia, Georgia e Azerbaijan. L'accordo prevede azioni su due livelli: economico e politico. Offre ai paesi aiuti economici con l'apertura al mercato interno dell'EU e sostegno nelle riforme in ambiti quali giustizia, energia, istruzione, sanità in cambio dell'impegno verso miglioramenti e quindi idealmente verso una maggiore stabilità regionale.

I tre paesi erano stati inseriti nella Politica Europea di Vicinato nel giugno 2004, una decisione che mostra come la regione stia divenendo chiaramente un'area importante dal punto di vista politico e strategico per l'Europa, un progetto però, nel quale le questioni dell'approvvigionamento energetico e del controllo delle risorse naturali giocano un ruolo centrale.

Al di là dei rapporti crescenti con l'Europa, l'Azerbaijan sta tentando di muoversi con molta cautela, cercando un avvicinamento alla NATO senza rovinare le relazioni con la Russia e due grandi altri vicini: Iran e Turchia. Per diversi analisti politici azeri, come riporta IWPR, non è un segreto che una delle principali cause della tensione nei rapporti tra Russia e Georgia sia l'intenzione di quest'ultima di aderire all'Alleanza Atlantica, e chiaramente l'Azerbaijan vorrebbe evitare questo tipo di problemi.

Secondo Radio Free Europe/Radio Liberty, "l'Azerbaijan deve molto del rispetto che sta guadagnando presso l'Unione Europea ai suoi vasti depositi di petrolio e di gas". Bruxelles ha più volte lodato l'impressionante crescita economica dell'Azerbaijan, mentre le preoccupazioni rispetto ai parametri democratici passano in secondo piano o vengono giustificate considerando la fase di "transizione" in una democrazia ancora giovane.

Recentemente il giornale Economist ha pubblicato il "Democracy Index 2007" classificando il livello di democrazia in 167 paesi, in categorie come processo elettorale, libertà civili, funzionamento del governo, partecipazione e cultura politica. In testa alla classifica sta la Svezia, all'ultimo posto la Corea del Nord. L'Azerbaijan viene classificato nel livello più basso, come "regime autoritario" assieme a vari stati dell'Asia Centrale come Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, e Uzbekistan. La stessa Russia è considerata ad un livello di guardia, col rischio di passare presto da "regime ibrido" a "regime autoritario" in fondo alla classifica, in una categoria nella quale secondo l'Economist ricadrebbero 55 paesi. L'Italia, è nel secondo gruppo, "democrazia imperfetta".
Democrazia sotto attacco
Seguendo le notizie che provengono dallo stato caucasico, che conta una popolazione di circa otto milioni di cittadini nel paese, con altri trenta milioni di persone etnicamente azere in Iran (in una regione che a volte viene definita come Azerbaijan iraniano), non è difficile intuire le ragioni per le quali l'Economist, così come Freedom House esprimono un giudizio molto severo verso il governo azero ed il processo democratico nel paese.

Il presidente Ilham Aliyev, eletto nel 2003, ed il partito presidenziale predominante stanno conducendo una dura battaglia verso l'opposizione colpendo partiti politici, associazioni giovanili, giornali e mezzi radiotelevisivi, scrittori e qualunque voce che tenti di mettere in discussione il potere. Se il clima è meno violento rispetto alle azioni di un anno fa, quando le elezioni giudicate gravemente irregolari dagli osservatori dell'Osce avevano portato migliaia di manifestanti in piazza, scontri, sgomberi forzati e arresti, la soppressione dell'opposizione continua però su molti livelli, nei tribunali e con strumenti amministrativi e burocratici.

Gli uffici di Azadliq (libertà) e del Fronte Popolare, il principale giornale e il maggior partito dell'opposizione, sono stati sgomberati sabato scorso dalla polizia, intervenuta per liberare l'edificio, dopo settimane di tensione, proteste, scioperi della fame. L'ordine di sfratto dal palazzo fa seguito ad una sentenza a favore del Comitato per le Proprietà Statali. Nello stabile erano ospitate anche l'agenzia stampa Turan, il quotidiano Bizim Yol, ed alcune organizzazioni non governative.

Nelle stesse giornate è stata chiusa anche la radio indipendente ANS, togliendole il segnale radio, dopo che le autorità nazionali radiotelevisive avevano rifiutato di prolungare la licenza a trasmettere. L'emittente trasmetteva programmi della BBC, Radio Liberty e Voice of America, soprattutto in lingua azera, ed era la seconda più ascoltata nel paese.

Una gruppo di dimostranti, che nei giorni precedenti lo sfratto e la chiusura della radio ANS erano scesi in piazza contro le azioni del governo, sono stati arrestati e condannati con multe e alcuni giorni di prigione.

Il 4 ottobre scorso Sakit Zahidov, giornalista di Azadliq, fratello del caporedattore del quotidiano, è stato condannato a tre anni di detenzione per possesso di stupefacenti, dopo un processo che aveva suscitato preoccupazione e critiche da parte dell'OSCE, del Committee to Protect Journalists e di Reporter Senza Frontiere. Il giornalista era noto per i suoi articoli e poesie satirici nei quali criticava il presidente, la corruzione governativa e delle autorità. Il suo caso è solo l'ultimo di una serie di azioni legali contro giornalisti indipendenti nel paese.
Petrolio e diritti umani
Processi, persecuzioni burocratiche, ispezioni finanziarie, elezioni irregolari, espulsioni dalle università, chiusura di mezzi di informazione, repressione delle manifestazioni, migliaia di rifugiati ed un conflitto congelato, quello con l'Armenia per il territorio del Nagorno-Karabach, rispetto al quale sembrano non esserci reali soluzioni in vista, nonostante i colloqui che si trascinano da anni. E l'oro nero, il petrolio.

Lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio del paese si basa soprattutto sulle esportazioni verso ovest: grazie all'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), inaugurato l'estate scorsa, per il trasporto del petrolio dal Caspio al Mediterraneo e controllata in maggioranza da British Petroleum. Simboli del boom del petrolio, che è all'origine dell'impressionante tasso di crescita economica del paese (oltre il 26 per cento), sono le ville e i palazzi fastosi che sorgono alla periferia della capitale. Impressionanti sono però anche l'inquinamento e i danni ambientali causati da uno sfruttamento decennale. Il governo ha deciso di creare, su modello della Norvegia, un fondo per i proventi del petrolio, ma a differenza di questa, l'Azerbaijan è considerato una delle nazioni con i più alti livelli di corruzione secondo Transparency International, mente il potere è praticamente in mano ad una sola famiglia. Lo scenario è purtroppo molto più vicino a stati quali Algeria, Nigeria, Angola, Arabia Saudita, nei quali i diritti umani e le ricchezze del petrolio sembrano essere incompatibili.

I problemi di libertà di espressione e democrazia del paese, si collegano a più ampie questioni strutturali. Le disparità sociali ed economiche tra la capitale Baku, arricchita dagli investimenti e dai proventi del petrolio, e le regioni rurali più agricole, rischiano di far crescere il dissenso. Secondo una stima del ministero dello sviluppo economico, nel 2005 il 40 per cento della popolazione viveva sotto il livello di povertà. Problemi come corruzione, disoccupazione, inquinamento, accompagnano la crescita economica e la "transizione democratica".

Le sfide che si affacciano nel futuro dello stato caucasico sono impegnative, ma la strada che il governo sta percorrendo minaccia sempre più la debole democrazia. Come potrà il paese far sì che la ricchezza di risorse naturali diventi un vantaggio per tutti i suoi cittadini?

E quale dovrà essere la strategia di vicinato europea, con un paese che affronta tutte queste sfide e difficoltà? Anche l'Europa sarà accusata - come gli USA un anno fa dai manifestanti che contestavano le elezioni irregolari - di "barattare il petrolio con la democrazia"?