Le radicali riforme fiscali intraprese all'est sono guardate come modelli da imitare e suscitano crescenti consensi anche nell'area balcanica. I sostenitori di quest'ipotesi individuano la flat tax come strumento che garantisce efficenza al giovane capitalismo balcanico. E la spesa sociale?
Di Cristian Roner
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, nel nome di una maggiore semplicità e chiarezza del prelievo tributario, molti importanti Paesi dell'Europa orientale hanno deciso l'introduzione di una imposta con un'unica aliquota fissa rispetto a tutte le categorie reddituali e la drastica riduzione delle agevolazioni fiscali (flat rate tax). Questa nuova applicazione ha sostituito le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e in qualche caso anche a quelle in vigore per le persone giuridiche e per l'IVA. Al 2005 cinque Paesi orientali (Romania, Serbia, Georgia, Slovacchia, Ucraina), le Repubbliche Baltiche e la Russia hanno già adottato questo modello, ma la loro iniziativa non sembra destinata all'isolamento, il dibattito è acceso e le riforme dell'est sembrano formare l'avanguardia di una rivoluzione in campo fiscale che potrebbe estendersi all'Europa occidentale e agli Stati Uniti. Già il quadro geografico al di là e al di qua del Danubio si sta per completare: in Croazia e Bulgaria si sta discutendo la possibilità di seguire l'esempio dei Paesi che hanno già introdotto la riforma, così come, nell'Unione Europea, stanno facendo Grecia, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. In Germania la proposta di unificare le aliquote vigenti nell'unica percentuale del 25 per cento e l'eliminazione di gran parte delle agevolazioni fiscali attualmente previste ha suscitato grandi timori nell'elettorato tedesco.
L'idea di semplificazione del sistema tributario non è certamente nuova se già i Fisiocratici francesi nella prima metà del Diciottesimo secolo proposero l'introduzione di un'unica imposta a carico dei proprietari terrieri per alleviare il peso tributario sostenuto dal Terzo Stato. Il loro obiettivo era una ripartizione più equa dell'imposizione, ma anche l'efficiente tassazione di una classe assenteista che si limitava a percepire una rendita. La moderna applicazione dell'aliquota unica (1940 a Jersey, 1960 a Hong Kong e Guernsey) sembrava invece principalmente finalizzata a realizzare privilegi fiscali in territori dipendenti dalla madrepatria. L'idea della flat tax fu compiutamente sviluppata solo negli anni Ottanta negli Stati Uniti, ma non trovò significative realizzazioni fino agli anni Novanta e alla pionieristica riforma estone del 1994. La semplificazione è dunque una proposta che sembra presentarsi ciclicamente e acquista vigore in quel periodo o in quel Paese in cui la pressione fiscale ha raggiunto livelli giudicati non più sostenibili, generando effetti regressivi sul gettito raccolto e riducendo gli spazi di manovra dei governi che desiderano attivare la leva fiscale per influenzare la congiuntura.
Molte sono le motivazioni di questi radicali ripensamenti del sistema tributario, alcune delle quali intendono rendere più agevole il prelievo. Soprattutto per questo motivo ad esempio l'amministrazione americana in Iraq ha introdotto una flat tax al 15 per cento, mentre l'UNMIK in Kosovo ha adottato un'aliquota del 20 per cento sui profitti, del 15 per cento a titolo di IVA e due aliquote (10 e 20 per cento) sui salari. In questi contesti politicamente instabili infatti, l'accertamento e la riscossione delle imposte non sono procedure agevoli e prioritarie, inoltre è necessario confrontarsi con la scarsa disponibilità della popolazione a versare quanto dovuto, specialmente se contribuenti e funzionari devono confrontarsi con innumerevoli e complesse disposizioni che regolano l'applicazione dei tributi.
Anche in altri Paesi non interessati dall'emergenza l'adempimento tributario è però ostacolato dalle pratiche di aggiramento delle norme di legge o dall'evasione. A tal proposito, i sostenitori della semplificazione sono convinti che in un contesto in cui ogni contribuente sa che deve versare una percentuale fissa del proprio reddito imponibile per chiudere il rapporto annuale con il Fisco, l'occultamento dei redditi diventa meno conveniente rispetto alle sanzioni previste e al regolare pagamento dell'imposta, che costituisce così un incentivo a conformarsi alla legge e in effetti alcune ricerche sembrano confermare questo mutamento nei comportamenti dei contribuenti.
Per quanto riguarda gli effetti della riforma fiscale sul sistema economico, sono dominanti le analisi positive, entusiastiche talvolta: la riduzione dei gravami fiscali genera effetti vantaggiosi, principalmente sulla crescita e sul gettito, in particolare per i Paesi candidati all'adesione all'Unione Europea questo significa poter perseguire l'obiettivo del risanamento "virtuoso" della finanza pubblica, attraverso l'aumento delle entrate, da raggiungere con l'allargamento della base imponibile e lo scoraggiamento delle pratiche illegali.
L'esigenza di riduzione del divario con l'occidente attraverso stabili e sostenibili tassi di crescita del Pil è stato probabilmente il movente più importante che ha indotto per primi i governi dell'est europeo a decidere per una profonda riforma. Cinque tra i nove Paesi che hanno adottato il modello flat (Georgia, Ucraina, Serbia, Lettonia e Lituania) tra il 1990 e l'anno di adozione della riforma non avevano ancora recuperato la crescita perduta all'inizio della transizione, registrando invece nell'ultimo anno considerato un tasso di crescita cumulato del Pil reale negativo e superiore al 50 per cento. Dunque i Paesi che hanno adottato la riforma più recentemente sono anche quelli che hanno mostrato un ampio divario di crescita nel periodo precedente al cambiamento (in parentesi il primo anno della riforma, dati Unece, 2005): la Georgia (2005), che ha adottato la riforma più recentemente, aveva accumulato (fino al 2003, ultimo anno disponibile) una crescita negativa del 67.3 per cento, l'Ucraina (2004) presentava un dato negativo del 56.9 per cento, la Serbia (2003) del 55.8 per cento, la Lettonia (1995) un 53.9 per cento ed infine la Lituania (1994) con una crescita negativa del 43.2 per cento. L'Estonia (1994) mostrava un tasso di crescita negativo attestato intorno al 30 per cento. Le uniche eccezioni a questa dinamica sono rappresentate dalla Russia (2001) con una crescita negativa cumulata del 40 per cento circa e dalla Romania (2005) con un tasso negativo del 5.3 per cento.
Per ciò che riguarda la fase successiva alla riforma, i dati relativi alle Repubbliche Baltiche sono più significativi, in quanto riferiti ad un lungo periodo di applicazione del nuovo sistema fiscale. Le Repubbliche Baltiche insieme avevano cumulato una crescita negativa di circa il 130 per cento nel periodo precedente le riforme, negli anni successivi l'Estonia ha registrato una crescita media del prodotto del 5 per cento nel periodo 1994-2003, mentre i valori per le altre due Repubbliche sono stati poco differenti. In nove anni (otto per la Lettonia) di applicazione del nuovo sistema fiscale, le tre Repubbliche insieme avevano accumulato una crescita positiva pari al 137 per cento, più che compensando, così, il divario accumulato nella transizione: un risultato sorprendente che ha stimolato l'emulazione di altri Paesi nei primi anni Duemila. Da tenere presente che nel medesimo periodo considerato, l'Unione Europea a 15 ha ottenuto una crescita media del 2.3 per cento. Nella valutazione di questi dati è necessario tenere conto del fatto che la crescita è il risultato della combinazione di molti fattori (variabili interne, comportamenti, congiuntura internazionale ecc.), perciò risulta difficile isolare gli effetti della riforma fiscale; in aggiunta si deve notare che anche prima delle riforme alcuni Paesi dell'Europa orientale registravano nel periodo 1995-2003 tassi di crescita superiori o molto vicini a quelli dell'Unione Europea, diminuendo il divario accumulato con essa: la Romania ad esempio ha ottenuto in media l'1.8 per cento, mentre la Slovacchia ha recuperato pienamente la crescita perduta, mostrando un tasso di crescita vicino al 19 per cento.
Il primo propulsore degli effetti espansivi è rappresentato dalla notevole riduzione della pressione fiscale che ha finora accompagnato le riforme introdotte. Nel caso rumeno la riduzione è stata notevole: prima delle modifiche l'aliquota massima dell'imposta personale sui redditi era al 40 per cento, mentre l'aliquota unica post-riforma è stata fissata al 16 per cento. In tal modo viene liberata una quota di reddito che può essere destinata al consumo o al risparmio (e all'investimento), con effetti benefici sulla produzione presente e futura; per potenziare questo effetto le aliquote previste per i redditi di impresa sono generalmente ancora più basse e in Estonia è prevista addirittura l'esenzione totale per i profitti reinvestiti.
L'andamento dei profitti delle imprese rappresenta poi il rendimento degli investimenti diretti all'acquisizione delle attività, perciò la diminuzione delle aliquote gravanti sul reddito d'impresa ha stimolato l'afflusso di capitali dall'estero. Il guadagno di fiducia nei confronti degli investitori esteri è una necessità per Paesi come la Romania e la Serbia che presentano flussi di capitali in entrata molto scarsi in termini pro-capite. Secondo i dati del Ministero delle Finanze, la Serbia ha visto crescere gli investimenti esteri del 165 per cento tra il 2002 e il 2003, anno in cui è entrata in vigore la riforma, ma questo dato va letto soprattutto alla luce dell'intensificazione delle concomitanti operazioni di privatizzazione delle grandi imprese statali. Per ciò che riguarda l'attrattività di un Paese verso i capitali stranieri, bisogna notare che nell'Europa dell'est la semplificazione dei sistemi fiscali ha reso più semplice per gli investitori il confronto del peso fiscale vigente nei vari Paesi, innescando tra essi una "concorrenza fiscale" molto intensa che tende al ribasso delle aliquote per attirare i capitali. Questo fenomeno preoccupa non poco i Paesi dell'Europa occidentale che partecipano alla contesa, perché sono sottoposti ad una concorrenza difficile da affrontare non avendo i medesimi spazi di manovra "al ribasso" sulle aliquote.
Altra fonte di crescita dovrebbe rivelarsi poi la propensione a lavorare di più di coloro che sono sul mercato del lavoro ed il rientro dei lavoratori scoraggiati, entrambi effetti della diminuzione del prelievo fiscale sullo stipendio, ma su questo punto non risultano evidenze significative, così come sottolineato da una ricerca condotta dal FMI in Russia dopo l'introduzione della riforma.
Deludente finora sembra invece l'effetto più diretto dei cambiamenti fiscali: l'andamento del gettito. L'aumento della crescita e la diminuzione dei comportamenti scorretti dei contribuenti inducono a loro volta l'aumento del gettito tributario, di contro l'effetto immediato della diminuzione delle aliquote comporta la diminuzione delle entrate, che però dovrebbe essere più che compensata da un aumento nel lungo periodo. In realtà spesso la dinamica delle entrate è stata inferiore alle previsioni. Prima della riforma, le entrate relative all'imposta personale sul reddito in Estonia rappresentavano l'8.2 per cento del Prodotto Interno Lordo, nel 2002 la percentuale è diminuita al 7.2, risultato notevole, ma inferiore alle aspettative. I dati diffusi dal Ministero delle Finanze serbo indicano che la semplificazione dovrebbe generare maggiori entrate solo per l'imposta sulle imprese, durante il 2003 (primo anno della riforma) infatti, l'imposta sui redditi delle persone fisiche ha generato l'1.4 per cento in meno delle entrate previste (si tratta di 3.8 miliardi di dinari in meno rispetto al previsto), contro il 34.8 per cento dell'imposta sul reddito di impresa, ma dal punto di vista complessivo, il gettito dell'imposta sulle imprese conta solo per l'1.9 per cento del bilancio statale. Gli osservatori (MAE e ICE, 2005) prevedono inoltre che l'adozione dell'aliquota unica in Romania genererà minori entrate fiscali per il 2005 pari a circa l'1 per cento del Pil.
Il depotenziamento del sistema fiscale quale strumento di redistribuzione dei redditi è lo svantaggio più preoccupante connesso al sistema della flat rate tax, ma in generale a tutti i sistemi proporzionali relativamente a quelli progressivi. La proporzionalità del sistema richiede a tutti i contribuenti di versare la medesima percentuale del reddito imponibile (trascurando il ruolo delle esenzioni, detrazioni ecc.), la diminuzione contemporanea della aliquota massima, ha quindi causato un risparmio di reddito a tutti, ma proporzionalmente più elevato per le alte classi reddituali. Al vantaggio fiscale ottenuto si deve aggiungere il valore delle prestazioni fornite dal sistema di welfare universalistico, quindi l'effetto è un ulteriore aumento di reddito dopo l'applicazione dell'imposta a vantaggio delle classi elevate.
Nei Balcani, la flat rate tax è una realtà solamente in Romania e Serbia, rispettivamente dal 2005 e dal 2003, risulta quindi prematuro valutarne appieno le conseguenze, ma la già grave situazione reddituale di questi Paesi potrebbe risentire della rinuncia al sistema fiscale quale strumento di redistribuzione. Nei Paesi dell'Europa occidentale il sistema di welfare si è sviluppato con le risorse generate da un sistema fiscale progressivo. Grazie alla convergenza dei redditi ottenuta tramite la redistribuzione, è cresciuto il numero degli individui della classe media, mentre la crescita dei redditi reali ne ha migliorato le condizioni. Attualmente il welfare è finanziato soprattutto dai contribuenti della classe media, i quali sono però anche i maggiori beneficiari delle prestazioni erogate. Serbia e Romania presentano un livello del Pil pro-capite ancora drammaticamente inferiore a quello medio europeo: secondo dati della Banca Mondiale, nel 2004 la somma del reddito lordo pro-capite (che rappresenta una buona approssimazione del reddito medio) dei due Paesi raggiungeva solo il 20 per cento di quello UEM. Difficilmente una classe media può crescere se il reddito medio è così basso, inoltre l'abbandono della progressività a favore di un sistema proporzionale può rallentare ulteriormente la convergenza dei redditi ostacolata dal fatto che la distribuzione dei redditi tra le classi, benché non più iniqua di quelle rilevate nell'Unione Europea, negli Stati Uniti o in Russia, è in peggioramento. E'ragionevole ritenere inoltre che gli individui che percepiscono questo reddito medio sono lavoratori dipendenti e che, rapportati al totale della popolazione, ne rappresentano la maggioranza. In questo contesto, l'introduzione di un sistema proporzionale, potrebbe spostare gran parte dei costi della spesa sociale a carico di questa numerosa classe di individui, per i quali il carico fiscale potrebbe essere superiore ai benefici tratti dal "consumo" di spesa sociale.
I costi effettivamente sostenuti potrebbero poi aumentare se, per conservare l'equilibrio fiscale, vengono aumentate le aliquote di altre tasse e dei contributi sociali così come avvenuto nel caso rumeno o se la competizione fiscale, che genera pressioni sui governi, induce l'ulteriore riduzione del peso fiscale, in tal caso i ricchi diventano sempre più ricchi mentre le esigenze dei poveri e della classe media (se esiste) sono lasciate sempre più a carico della spesa sociale, la quale rimane molto bassa rispetto all'Europa occidentale: nel 2001 per esempio i Quindici spendevano circa l'8 per cento in sanità e il 5 per cento in istruzione, mentre i due Paesi balcanici destinavano il 5.2 per cento e il 6.5 per cento rispettivamente alla sanità, il 3.5 per cento e il 3.1 per cento rispettivamente all'istruzione (questi ultimi dati riferiti al triennio 1999-2001). Esistono inoltre certamente degli squilibri ancora notevoli, tant'è che molte istituzioni internazionali hanno consigliato la Serbia di razionalizzare la spesa, che attualmente risulta troppo sbilanciata a favore del settore militare (6.6 per cento del Pil nel 2003), del settore pensionistico (nel 2003 l'11.7 per cento del Pil era destinato a questo settore) e del pagamento dei salari nel settore pubblico (nel 2003 il 10.3 per cento del Pil). Se la spesa sociale è inferiore all'Europa occidentale, le esigenze che devono essere da essa sostenute sono invece molto simili, in quanto i due Paesi balcanici qui considerati presentano una struttura per età della popolazione molto simile a quella dell'Unione (17 per cento della popolazione sotto i 15 anni, 15 per cento sopra i 65 anni) così come il tasso di crescita molto vicino a zero (la popolazione tende ad invecchiare).
Questo scenario negativo costituito da minore redistribuzione, grave situazione reddituale (Pil pro-capite molto basso e distribuzione dei redditi in peggioramento) e bassa spesa sociale ma con le stesse esigenze della popolazione relativamente all'Europa occidentale è attenuato dalla considerazione che in Serbia più che altrove la pressione fiscale precedente la riforma si era resa insostenibile: riferita al Prodotto Interno Lordo essa aveva infatti superato per lunghi periodi il 50 per cento. E' quindi molto probabile che dopo la riduzione fiscale, i bassi redditi pro-capite che caratterizzano questo Paese possano aumentare e non bisogna dimenticare che nonostante la congiuntura internazionale, le prospettive di crescita di Serbia e Romania rimangono positive.
Per assicurare la sostenibilità sociale della riforma anche durante una possibile congiuntura negativa, è necessario adottare misure integrate. Aumentare semplicemente l'erogazione di spesa sociale in maniera da compensare le perdite derivanti dalla riduzione della progressività si scontra con il vincolo rappresentato dal deficit registrato dai bilanci di Romania e Serbia (-2.6 per cento e -1.8 per cento del PIL rispettivamente) e dal fatto che questa situazione di bilancio non è destinata a migliorare nel breve periodo dopo l'adozione della riforma fiscale. Il carattere universalistico della spesa di welfare ed altri fattori rendono inoltre complessa o impediscono la possibilità di prevedere delle prestazioni differenziate per reddito, in modo da attivare una certa progressività senza ricorrere al sistema fiscale (prestazioni più costose per le classi elevate e meno costose o gratuite per quelle indigenti).
Il peggioramento delle condizioni può essere evitato con interventi diretti a migliorare il mercato del lavoro e i salari, aumentando il tasso di partecipazione della forza lavoro e consentendo così l'aumento delle disponibilità personali, in questa direzione gli interventi sono agevolati dal contesto di crescita elevata. La disoccupazione in Serbia è ancora molto elevata circa il 28 per cento della forza lavoro nel 2003, mentre il Romania la disoccupazione si attesta al 7.2 nello stesso anno, ma in questo Paese il problema è la costante diminuzione dell'occupazione totale, con l'aumento del numero di persone che rinunciano alla ricerca di un impiego. La crescita dei salari in Serbia sembra sbilanciata a favore del settore pubblico, nel quale durante il 2002 i salari reali sono cresciuti oltre il 20 per cento, anche se nei sei anni precedenti la crescita è stata a vantaggio del settore privato.
Di importanza cruciale diventano anche i criteri di formazione della base imponibile, perché attraverso opportune detrazioni o esenzioni totali per i redditi inferiori ad una data soglia diventa possibile assicurare un certo grado di progressività a favore delle classi di reddito meno elevato. Per mantenere una crescita economica elevata è poi possibile l'introduzione di adeguati incentivi per stimolare le classi più elevate ad investire il risparmio fiscale ottenuto in attività reali a sostegno dell'economia, finanziando l'aumento di capacità produttiva (e quindi anche di gettito raccolto) nel futuro.
Queste misure sembrano necessarie per ridurre i costi di una riforma marcatamente orientata all'efficienza del prelievo e alla crescita. Se tra gli obiettivi vi è la formazione di una classe media come dichiarato dalle autorità rumene, è necessario soprattutto che le riforme non vadano a rafforzare ulteriormente la posizione delle oligarchie, che dando un contributo dubbio alla crescita, spesso impediscono che gli effetti benefici di questa ricadano a vantaggio della collettività, in altri termini è necessario che la creazione di ricchezza personale sia connessa alla creazione di ricchezza sociale.