Buffer zone (foto Lelio Orsini)

Il lento ritiro delle truppe russe e il rientro dei profughi nella zona tra Gori e Tskhinvali. La testimonianza dell'associazione italo-georgiana "Scudo di San Giorgio". Dalla nostra corrispondente

18/09/2008 -  Maura Morandi* Tbilisi

"Buffer zone" è una delle espressioni-chiave del periodo che si è aperto dopo la guerra tra Georgia e Russia. Chiusa nella morsa di dodici check-point russi, l'area-cuscinetto che si estende da pochi chilometri a nord di Gori fino a Tskhinvali era fino a circa una settimana fa impenetrabile per qualsiasi organizzazione che provasse ad accedervi da Tbilisi.

Nella fascia di sicurezza ci sono una cinquantina di villaggi georgiani. Prima del conflitto vi abitavano circa 50.000 persone. Ora appare semideserta. E' stata l'area che più ha sofferto dopo la fine del conflitto, perché in balìa dei saccheggi e delle scorribande delle milizie ossete e russe. Circa 30.000 persone hanno lasciato l'area fin dall'inizio del conflitto, 2.300 si sono rifugiate nei centri collettivi e nel campo di Gori. Tutti gli altri sono ancora a Tbilisi.

L'associazione italo-georgiana "Scudo di San Giorgio" è stata tra le primissime organizzazioni umanitarie che sono riuscite a portare aiuti nell'area, quando ancora l'accesso era negato alle principali agenzie internazionali.

Lo "Scudo di San Giorgio" opera in Italia e in Georgia fin dal 1991, è un'associazione che unisce i cittadini italiani di origine georgiana, i cittadini georgiani che risiedono in Italia e tutte le persone che hanno interesse nello sviluppo dei rapporti tra i due popoli. Accanto all'organizzazione di iniziative culturali finalizzate a promuovere la cultura georgiana in Italia e quella italiana in Georgia, l'associazione porta aiuti umanitari in Georgia in collaborazione con le istituzioni di entrambi i Paesi.

Dopo meno di una settimana dallo scoppio del conflitto in Ossezia del Sud, i volontari dello "Scudo di San Giorgio" sono arrivati a Tbilisi per portare il proprio sostegno alla popolazione georgiana. Il primo intervento è stato a favore di 700 bambini da 0 a 12 mesi provenienti dalla regione di Tskhinvali e da Gori che si sono rifugiati a Rustavi, a una trentina di chilometri a sud di Tbilisi. Accolti in famiglie, nel campo profughi e in parte nell'ospedale della cittadina, per loro l'associazione italiana ha acquistato omogeneizzati e prodotti alimentari per bambini.

Gli aiuti dello "Scudo di San Giorgio" si sono poi spostati a Tbilisi dove hanno fornito materassi ai profughi ospitati in uno dei più grandi centri collettivi della capitale, che accoglie oltre 2.500 persone, e versa in condizioni disastrose da un punto di vista igienico-sanitario. Cibo e prodotti non alimentari, inoltre, sono stati portati a oltre 200 persone provenienti dalla Valle del Kodori, in Abkhazia, e spostatisi a Tbilisi a causa del conflitto.

Quando per l'associazione italo-georgiana si è aperta la possibilità di portare aiuti nei villaggi della zona-cuscinetto, i volontari non si sono tirati indietro nonostante le condizioni di sicurezza dell'area ancora instabili. In collaborazione con il cardinale ortodosso di Gori, l'organizzazione umanitaria ha stivato 35 tonnellate di farina da distribuire nei villaggi della "buffer zone". La scelta della farina è stata motivata dal fatto che "ha un effetto psicologico, fa sentire più sicure le persone. E' uno dei beni primari e la puoi conservare per lungo tempo. Quando vuoi ti fai il pane o il khaciapuri", come spiega Lelio Orsini, vice Presidente dello "Scudo di San Giorgio".

I volontari sono riusciti a passare il check-point di Karaleti e a visitare i villaggi georgiani travestendosi da religiosi. Indossando un abito talare e mescolandosi tra i preti ortodossi hanno visitato alcuni villaggi con una "macchina scassata e un autobus carico di farina". "I soldati russi del check-point di Karaleti erano tutti in fila. Il loro sguardo gelido e pieno di odio. Ci hanno guardati e squadrati" mi dice il giovane vice Presidente. "Al check-point ci sono anche i militari osseti. Subito vediamo case bruciate e distrutte. Ma soprattutto sulla nostra destra notiamo due grandi basi militari russe. La prima base è sulla strada e sembra proprio un fortino. La seconda è un accampamento."

I volontari dello "Scudo di San Giorgio" si sono spinti fino a Ergneti e Megvrekisi, villaggio sul confine dell'Ossezia del Sud a soli 3-4 km da Tskhinvali. "Siamo andati nei villaggi georgiani, che vivono nel terrore del saccheggio. La prima sensazione quando siamo arrivati era di villaggi fantasma. Quando cammini per questi paesi l'atmosfera è surreale, la tensione è palpabile. Tutte le vie sono sterrate. Non c'è elettricità né acqua potabile. Non c'è cibo. I negozi sono stati svaligiati, si vedono le serrature crivellate di colpi di kalashnikov. Non c'è nessuno per strada. I pochi abitanti sono isolati", racconta ancora Lelio Orsini.

"Megvrekisi era cosparso di bossoli dappertutto", continua il rappresentante dell'associazione italiana. "La prima persona che ho visto era un ragazzino che scappava da una casa all'altra. Forse un piccolo ladruncolo affamato che stava cercando qualcosa da mangiare. Sicuramente era impaurito perché è schizzato via come una scheggia appena ci ha visti arrivare. Ci siamo fermati e pian piano hanno cominciato ad affacciarsi delle persone", ricorda Orsini. "Ci hanno raccontato che hanno paura, chiedendo informazioni su quello che succede fuori di lì". Gli abitanti del villaggio hanno parlato di violenze e saccheggi: "Hanno detto che gli osseti fino a tre giorni prima facevano il bello e il cattivo tempo".

I volontari italiani e georgiani hanno stilato l'elenco delle persone presenti e scaricato i primi sacchi di farina. "Eravamo visti come angeli salvatori. Venivamo da una zona relativamente tranquilla, eravamo uomini di Chiesa e portavamo da mangiare dove non c'era niente. Gli abitanti erano molto contenti. Hanno ringraziato migliaia di volte", ricorda il rappresentante dello "Scudo di San Giorgio".

Arrivati nel piazzale deserto davanti alla chiesa del villaggio di Ergneti "a poco a poco alla spicciolata è arrivata un po' di gente. Donne che piangevano, gente che chiedeva aiuto". Il piccolo spiazzo si è animato: "E' arrivato un uomo su un trattore mezzo sfasciato che aveva sentito della farina, gente con le carriole. Due suore consolavano le donne, i preti hanno impartito benedizioni sui presenti. C'era chi controllava le liste, confrontandole con le precedenti. Sul momento si è messo in piedi un sistema per distribuire in modo capillare un po' a tutti, nessuno escluso".

Ancora profondamente toccato, Lelio Orsini mi racconta l'incontro con una donna disperata. Pochi giorni prima i soldati erano arrivati davanti a casa sua e avevano ordinato di uscire a lei e a suo figlio. Poi avevano ucciso a sangue freddo il figlio: "Finito il racconto con un gesto di impotenza il cardinale di Gori le ha accarezzato una spalla. Con un movimento repentino e scostante, la signora se n'è andata senza nemmeno salutare. In stato confusionale, traumatizzata. Con lo sguardo tra il rassegnato e il disperato, si è incamminata per il vicolo di ciottoli bianchi. La seguivamo con lo sguardo. Si è girata e ci ha detto: 'E' qui che hanno ammazzato mio figlio'".

Secondo l'accordo firmato a Mosca lo scorso 8 settembre dai presidenti Sarkozy e Medvedev, 200 osservatori dell'Unione Europea verranno dispiegati nelle aree adiacenti l'Ossezia del Sud e l'Abkhazia entro il primo ottobre. Le truppe russe, che attualmente stanno occupando queste aree, dovranno rimuovere i check-point e ritirarsi entro dieci giorni dall'arrivo degli osservatori europei. Negli ultimi giorni i soldati russi hanno già iniziato la loro lenta smobilitazione, rimuovendo i posti di blocco a Poti e Senaki.

A Tbilisi c'è impaziente attesa per il ritiro delle truppe di Mosca, che favorirà il ritorno degli sfollati originari dell'area-cuscinetto che si sono spostati a Gori e nella capitale dall'inizio di agosto, e l'intervento delle organizzazioni umanitarie pronte a portare aiuti agli abitanti e a sostenerli nella ricostruzione delle proprie case.

*Programme Officer, UNHCR Georgia. Le opinioni espresse nell'articolo sono da attribuirsi unicamente all'autrice e non riflettono necessariamente la posizione dell'UNHCR
Consulta l'archivio