La sieropositività e AIDS sono ancora parole tabù nel nord del Caucaso. I medici che lavorano nel settore temono che i casi accertati di malattia non siano che la punta dell'iceberg. Un reportage sulla situazione in Cecenia e Daghestan
Di Amina Visaeva e Rinat Turabov - IWPR
Pubblicato il 19 gennaio 2006
Traduzione a cura di Le Courrier du Caucase e Osservatorio sui Balcani
In Cecenia, gli ultimi dati statistici resi noti nel dicembre del 2005 danno testimonianza di 560 casi di persone infettate dal virus dell'AIDS. Tra queste vi sono 57 coppie sposate e 14 minori. Il numero di donne è salito a 97 e, nel corso dell'anno appena trascorso, 15 persone sono morte.
Ma i medici del Centro ceceno per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS fanno notare come questi dati non riguardino che il 17% della popolazione. Sono infatti cifre che riguardano esclusivamente la parte visibile dell'iceberg e le stime più realistiche del centro si attestano tra le 1600 e le 2000 persone infettate dal virus.
In realtà nessuno ha un quadro preciso della situazione. Secondo le cifre dell'ONU, in Europa, la Russia è il Paese con il numero più ampio di persone infettate, attorno alle 850000. Le previsioni più pessimiste affermano che vi sono circa 1,4 milione di persone contagiate, cifra che corrisponde all'1% della popolazione.
Nel Caucaso del nord una combinazione di fattori locali accentuano ulteriormente il problema. In Cecenia la maggior parte dei problemi sono di natura tecnica. Il centro che effettua le analisi non è fornito di strumentazione adeguata ed il suo laboratorio ha funzionato per un orario ridotto dal mese di agosto al mese di novembre 2005. Dopo aver ricevuto delle donazioni di macchinari da parte di agenzie di solidarietà internazionale a novembre le cose sono migliorate.
L'utilizzo di sostanze stupefacenti è una delle ragioni principali del propagarsi dell'infezione. "Il 53% di chi è ammalato di AIDS si è infettato in seguito a iniezioni in endovena" dichiara Khedi Aidamirova, medico a capo del centro di prevenzione. "Gli altri si sono infettati a seguito di relazioni sessuali. In più abbiamo i casi dove la trasmissione è avvenuta tra madre e figli, durante le gravidanze o durante l'allattamento al seno".
Zakir, abita a Grozny, ha 36 anni e si droga da 20. I suoi tentativi di disintossicarsi li ha interrotti con il secondo conflitto in Cecenia, nel 1999. Sua moglie, quell'anno se ne è andata con il figlio e la figlia in un campo profughi in Inguscezia. Lui è restato e vive nella loro casa mezza distrutta a Chermorechye, nella periferia di Grozny. Ha iniziato a bucarsi trovando i soldi necessari per l'eroina nei saccheggi delle case rimaste vuote: smontando cucine, togliendo il linoleum, asportando piastrelle.
E' stato poi arrestato dalla polizia che lo ha spedito in un carcere a Udmurtia, nella Russia centrale. Lì gli è stato fatto un test dal quale è risultato che era sieropositivo. Dopo aver scontato la propria pena è ritornato a Grozny dicendo alla moglie che il medico si era inventato quella diagnosi. Sua moglie gli ha creduto ma un secondo test ha confermato gli esiti del primo. Fa parte dei 17 malati che ricorrono alle cure al centro di Grozny.
Leich Khekhaev, responsabile del dipartimento d'epidemiologia del centro è estremamente preoccupato della stigmatizzazione attorno a questa malattia.
« Noi sappiamo che i nostri 17 malati sono stati infettati dal virus HIV ma non sappiamo granché della loro vicenda personale. Non abbiamo diritto di applicare misure preventive presso le loro famiglie. Ciò che è spaventoso è che molti sono portatori del virus senza saperlo. Per paura che la loro malattia venga alla luce, sono pronti a sacrificare la vita delle loro moglie e dei loro figli".
Professionisti nel campo sanitario affermano che i pregiudizi portano la gente a pensare che l'AIDS sia un problema dell'Africa o dell'Occidente, e di qualsiasi altri posti in Russia, ma non certo della loro regione. Alcuni medici del centro d'analisi affermano di essere stati minacciati da membri delle forze di sicurezza locali dopo aver detto loro che erano sieropositivi. Alcuni hanno rifiutato di credere nei risultati dei test e se ne sono andati a farne altrove: altri rigettano semplicemente qualsiasi contatto con i medici.
I pregiudizi sono molto forti. Il centro per la lotta all'AIDS condivide, con il reparto maternità, una stessa ala dell'ospedale principale di Grozny. Malina Abdurazakova, venuta a vedere sua nipote, esprime a voce alta quello che gli altri pensano. "Ho sentito dire che c'è questa malattia qui, ma questo per me non significa niente. Vedo molta gente venire al laboratorio per farsi dei test. Sono soprattutto giovani. Ho pensato a mia figlia che potrebbe sposare uno di quelli che all'apparenza non hanno niente di male, ma che poi sono sieropositivi".
Il paese vicino, il Daghestan, che non ha la scusa di un conflitto devastante, soffre di problemi simili legati a quell'infezione, l'AIDS, della quale non si fa mai il nome. Negli ultimi 9 mesi del 2005 123 nuovi casi sono stati diagnosticati. La città di Derbant è la più colpita. "nel mese di gennaio 2005 stavamo seguendo 23 casi, ora ne abbiamo 83" dichiara Abdul Abdullayev, del Centro di prevenzione e lotta contro l'AIDS del Daghestan.
Come in Cecenia la condivisione delle stesse siringhe è un grosso problema e 52 delle 83 persone che vengono seguite sono tossicodipendenti. "Qui si pensa sia vergognoso parlare di AIDS, quando se ne parla è come se si parlasse di sesso, non se ne discute proprio nella nostra società", ammette Samira, una commerciante di Debent.
Zagid Kurbanov, un farmacista che esercita da una decina d'anni, nota: "Sono dieci anni che siamo a conoscenza di casi di malati di AIDS qui da noi, ma la gente è ancora imbarazzata quando si tratta di acquistare dei preservativi".
Derbent ha un proprio centro per le analisi dove si possono fare i test sulla sieropositività ma la direttrice del centro, Svetlana Gamzatovan, è chiara: "C'è poca gente che viene a fare il test. Accade solo quando richiedono un lavoro. E' la mentalità locale. E non basta dire loro che tutti i dati sono confidenziali. La città è piccola e la gente ha paura che li si veda uscire da un centro analisi per l'AIDS".
La psicologa Irina Rudakova, responsabile del Genesis Women's Crisis Centre conferma che l'AIDS ed il virus HIV sono tra i tabù principali del Daghestan. "Da cinque anni il centro funziona , abbiamo fornito consulenze a molte donne su casi diversi, anche in caso di incesti, ma non si è mai presentato il caso di una persona ammalata di AIDS. E' il tabù principale tra molti temi diversi".
L'ignoranza sul team del virus HIV è diffusa in tutto il Caucaso del nord e la maggior parte delle persone non sa che la diagnosi di sieropositività non è affatto una condanna a morte. I pregiudizi spesso vincono.
"Non vorrei avere per amico un sieropositivo, e se mai mi ammalassi, ma Dio m'aiuti, non lo direi a nessuno, nemmeno alla mia famiglia, tutti mi girerebbero le spalle". Questo è ciò che pensa Yarakhmed, studente di Derbent.