Gli interessi dei potenti della terra si concentrano sulla regione del Mar nero, importante corridoio di transito nel mercato globale dell'energia

30/11/2007 -  Anonymous User

Di Fyodor Lukyanov*, per Transitions Online, 7 novembre 2007 (titolo originale: "Bridging Troubled Waters").
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Nicola Filizola

I potenti della terra hanno interessi convergenti nella regione del Mar Nero. Ed hanno molto di più da guadagnare dalla cooperazione che dal conflitto.

Il ventunesimo secolo sarà molto probabilmente caratterizzato da una intensa competizione e confronto tra le grandi potenze e la sicurezza energetica sta sempre più determinando le loro prospettive di sviluppo, oltre che rafforzando l'orgoglio nazionale.

La grande regione del Mar Nero sta emergendo come una delle aree chiave in questo nuova arena di conflitto. Al confine con il Mar Caspio, è una importante fonte di petrolio e gas, anche in ottica futura. La regione è un importante corridoio di transito che ha la potenzialità di poter fungere da collegamento tra l'area centro asiatica, ricca di risorse, e il mercato globale dell'energia.

I più importanti attori internazionali, inclusi gli USA, Cina, Russia, e l'Unione Europea, si stanno muovendo con mezzi differenti per posizionarsi strategicamente nell'area, ma tutti condividono lo stesso obiettivo: espandere la loro influenza e assicurarsi una presenza economica nella regione.

L'Unione Europea ha basato la propria strategia su un approccio di "soft power", che coinvolge politiche di integrazione sviluppate durante il processo di espansione. Dall'altro lato, la Russia e gli USA hanno messo in campo dei mezzi di influenza molto più competitivi. Ma le differenze nella strategia di rapporti con la regione del Mar Nero, risultano meno imputabili a discrepanze ideologiche e piuttosto a interessi oggettivamente contraddittori da parte degli attori coinvolti.

L'Unione Europea è convinta della storica superiorità del proprio modello e allo stesso modo ne sono convinti gli USA. In altre parole, in occidente, c'è la convinzione che quello che va bene per l'occidente va bene per tutti, inclusa la grande regione del Mar Nero, perché il modello occidentale è corretto - una convinzione rafforzata dal collasso del comunismo sovietico e dal conseguente senso di trionfo dei leaders occidentali.

Ma le questioni internazionali non sono andate nel modo in cui immaginavano i falchi occidentali della guerra fredda. Non si è vista la fine della storia. Piuttosto, quello che stiamo osservando ora è una spirale nella competizione geopolitica che è, per molti aspetti, più pericolosa del confronto stabilizzato del mondo bipolare.

I politici occidentali ripetono costantemente che vanno abbandonate le dinamiche a somma zero e bisogna guardare, invece, verso dei modelli win-win. Ma allo stesso momento le organizzazioni democraticamente orientate, che l'occidente ha incoraggiato fin dalla fine degli anni Novanta, sono di fatto basate sul bisogno di creare delle strade energetiche alternative che bypassino la Russia.

Non è sorprendente, quindi, quando l'occidente parla di "ancorare" o "integrare" la grande regione del Mar Nero e il primo strumento per tale scelta è la NATO, non la UE.
La NATO è una organizzazione politico-militare il cui obiettivo era, ed è, la difesa dai comuni nemici, non la diffusione di benessere e democrazia. La ragione per la quale la NATO è la prima scelta dell'Occidente non è soltanto la complessità della UE, che non può continuare ad allargarsi sine-die, ma il fatto che la NATO promuove gli interessi geo-strategici degli Stati Uniti d'America.

I vantaggi che la UE può offrire alla regione sono infatti molto limitati, e le sue capacità non vanno di pari passo con le ambizioni. Molti degli sviluppi in atto oggi in Ucraina, sono connessi al fatto che l' UE non è stata in grado di offrire all'Ucraina nessuna chiara prospettiva di entrare a far parte del club di Bruxelles, dopo la Rivoluzione arancione. A dire il vero, l'Europa non poteva nemmeno permettersi un tale slancio vista la profonda crisi identitaria al proprio interno. Fino a quando la questione non sarà risolta , sarebbe un suicidio parlare di un ulteriore allargamento della UE.

Il risultato di tutto ciò è che l'attore principale nella regione non è l'UE, bensì gli USA, con la NATO come proprio strumento operativo. E non c'è nessuna incomprensione ideologica tra Russia e USA, semplicemente una radicata competizione geopolitica. Questa situazione è ancora più ovvia in Asia centrale, dove la Cina ha fatto il proprio ingresso come attore decisivo.

TURBOLENZA REGIONALE

Nei due passati decenni, la regione del Mar Nero ha visto vari passaggi critici: guerre, revisioni dei confini, conflitti etnici, crisi economiche e politiche, e rivoluzioni "colorate". Naturalmente, questi eventi sono sempre nati ad un livello locale, ma le grandi potenze hanno mantenuto un ruolo significativo in essi.

Ogni conflitto regionale, a prescindere dalla sua origine, contiene elementi di competizione geopolitica - siano essi i sussulti rivoluzionari in Georgia e in Ucraina, o le lotte tra i vari partiti politici nei vari stati della regione. La percezione occidentale semplifica in maniera sbrigativa il conflitto ad uno scontro tra forze "pro-occidentali" e "anti-occidentali" o "pro-russia" e "anti- russia".

C'è qui una seria contraddizione: ad un livello retorico, gli attori chiave della Comunità Internazionale rigettano i vecchi principi di geopolitica e di equilibrio degli interessi. Ad un livello pratico, tuttavia, questi stati sono ancora guidati da interessi nazionali, e non sono pronti per assumere responsabilità nel formulare le nuove regole del gioco che possano adattarsi universalmente . Questa confusione, che si estrinseca dai più alti livelli, ha anche un impatto negativo sugli attori politici regionali.

Nessuno vuole ammettere che i vecchi giorni della competizione geopolitica non sono scomparsi con il collasso del comunismo. Il ventunesimo secolo è un mondo in cui grandi potenze e interessi nazionali, coincidenti o in conflitto, giocano un importante e crescente ruolo. Ma abbiamo perso l'abitudine a vivere in un mondo siffatto. Per mezzo secolo, abbiamo vissuto sotto le rigide condizioni del confronto bipolare e ci siamo comportati di conseguenza. Per un altro decennio, l'occidente ha dominato mentre la Russia aveva temporaneamente perso valore internazionale, e le idee occidentali circa il corretto ordine mondiale si sono imposte senza una seria opposizione.

AFFARISTI

La geopolitica può essere una cosa spiacevole. L'Europa lo sa per la propria esperienza nei secoli. E' questo il motivo per il quale, nella seconda metà del ventesimo secolo, l'Europa ha provato, una volta per tutte, a girare pagina su questo tipo di politica. Il tentativo fu di grande successo, ma dipese dal contesto di garantita sicurezza da parte americana, e dalla presenza di un serio pericolo esterno rappresentato dal comunismo sovietico. La scomparsa di quel pericolo esterno ha distrutto l'equilibrio del sistema, e il mondo attorno alla UE è, da allora, diventato molto meno strutturato. La ricerca dell'Europa di quel qualcosa che rimpiazzi il vecchio ordine somiglia molto alla ricerca di un nuovo mondo.

Ci sono molti problemi e contraddizioni tra la Russia e l'occidente, come tra l'Europa e gli Stati Uniti. Ma nessuno di questi reclami può essere risolto attraverso accordi o, per usare il linguaggio più scorretto della geopolitica, attraverso delle riforme. Per raggiungere queste riforme, entrambi le parti devono essere preparate a intraprendere un serio dialogo e accettare dei compromessi, anziché focalizzarsi soltanto sulla ideologia e le rivendicazioni di verità.

Abbiamo bisogno di considerare gli interessi geopolitici reciproci e incorporare la competizione economica ed energetica all'interno di un dibattito civilizzato. Questo è vero specialmente quando realizziamo che, nel lungo termine, i veri pericoli a Russia e USA vengono sia dall'interno ( le sproporzioni demografiche e sociali), sia da forze esterne alla matrice culturale europea cui la Russia genuinamente appartiene.

* Fyodor Lukyanov è redattore del trimestrale Russia in Global Affairs