L'affermazione sul campo delle forze militari russe lascia scoperti alcuni interrogativi sulla reale dimensione della vittoria di Mosca. Significative aperture del ministro degli Esteri Lavrov verso Bruxelles
Il 3 settembre scorso lo stato di guerra in Georgia è rientrato, per venire sostituito dallo stato di emergenza che - secondo le modifiche costituzionali introdotte dopo la Rivoluzione delle Rose - può essere esercitato su una sola parte del territorio. Lo stato di guerra sarebbe dovuto durare fino all'8 settembre, ma la sua applicazione si è dimostrata di ostacolo alle attività economiche, in un momento in cui è fondamentale arginare i contraccolpi del conflitto. Le parti interessate dallo stato di emergenza, presumibilmente, riguarderanno anche quelle che ricadono sotto il controllo di Mosca. Che è come dire che non verrà esercitato. La sovranità georgiana attualmente termina là dove iniziano le posizioni militari russe.
Ma l'indiscussa vittoria militare russa è davvero un successo a tutti gli effetti? In verità, vi sono almeno tre voci in passivo.
Innanzitutto l'esigenza dell'intervento militare stesso, il fatto che, per la prima volta dalla fine dell'Unione Sovietica, Mosca si sia sentita costretta ad arrivare a bombardare un ex Paese membro. Se se ne è sentita autorizzata, è un atto di forza, ma - comunque - il soft power della sua diplomazia, gli strumenti politici ed economici con cui usava esercitare pressione come deterrenti alle deviazioni dalla sua linea politica, si sono dimostrate non più sufficienti ad arginare le spinte centrifughe dal proprio spazio egemonico.
L'intervento militare, poi, ha dei costi considerevoli in termini di popolarità, a livello globale ma, soprattutto, locale. Il Cremlino aveva impostato la propria retorica anti georgiana nei termini di una critica al governo di quel Paese, sottolineando sempre che non vi era alcuna posizione pregiudizialmente avversa verso il popolo georgiano, nel tentativo, per quanto con scarse possibilità di successo, di mantenere un certo appeal presso l'opinione pubblica georgiana.
Dopo i bombardamenti, indubbiamente, quest'opzione non è più reale. Mosca non è riuscita a mantenere canali di comunicazione con settori dell'opinione pubblica non viziati da un preconcetto anti russo, e ad alienare alla popolazione il vertice politico di Tbilisi. Lo dimostrano le oceaniche manifestazioni anti russe, che hanno assunto peraltro un segno filogovernativo. E' tanta l'animosità anti russa che si è disposti a sorvolare sulle responsabilità dell'amministrazione Saakashvili, e quanto più i russi vogliono la sua rimozione, tanto più l'opinione pubblica lo sostiene. E questo segna la terza sconfitta russa: l'incapacità di aver determinato, pur con una crisi così profonda, un ricambio nel vertice georgiano.
Che questa fosse una priorità per Mosca lo si evince non solo dalle parole di Saakashvili, determinato a cavalcare l'onda dell'odio anti-russo, che dichiarava a Poti il 29 agosto scorso, osannato come un eroe per l'audacia della visita nella città occupata: "E' chiaro che lo scopo della Russia è di conquistare Tbilisi e rovesciarne il governo". Ma, sebbene di segno opposto, sono assolutamente simmetriche le dichiarazioni fatte, il primo settembre scorso, dal ministro degli Esteri russo Lavrov in occasione del discorso inaugurale dell'Istituto Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali (МГИМО-MGIMO), Università affiliata al ministero degli Affari Esteri. Lavrov si è espresso in modo molto esplicito: "L'Ossezia meridionale e l'Abkhazia non aspiravano all'indipendenza in termini assoluti, ma all'indipendenza da quella Georgia il cui vertice per qualche motivo ha continuamente avuto tendenze scioviniste verso le minoranze etniche .... Per garantire la regione da ulteriori episodi di violenza la Russia continuerà a prendere le misure necessarie per punire i colpevoli, e perché questo regime non sia più in condizione di fare del male. Per prima cosa è necessario applicare un embargo sulla vendita di armi a questo regime, finché un altro potere non trasformerà la Georgia in un Paese normale". Gli fanno eco le parole pronunciate in un'intervista televisiva dal Presidente Medvedev, il 2 settembre, secondo il quale: "Per noi il governo georgiano ha fatto bancarotta, il presidente Saakashvili non esiste più ai nostri occhi, è un cadavere politico".
Ma più i vertici moscoviti insistono sul suo fallimento, più l'orgoglio nazionale georgiano si stringe intorno al proprio presidente, complice il controllo di Saakashvili sui media. Il primo settembre le trasmissioni di Kavkasia TV - l'emittente di Tbilisi che era stata il luogo da cui l'opposizione aveva lanciato la propria piattaforma anti Saakashvili in occasione delle elezioni di maggio - interrompeva le proprie trasmissioni, per "motivi tecnici". L'emittente era anche l'unica che, nel periodo estivo, avesse continuato ad avere un talk show di approfondimento politico, dopo la sospensione del popolare salotto della conduttrice Inga. Le trasmissioni di Kavkasia riprendevano il giorno seguente, e la Commissione Nazionale Georgiana per le Comunicazioni rilasciava una dichiarazione ufficiale che sottolineava il carattere puramente tecnico della sospensione.
Prima delle elezioni di maggio, nel contesto del duro confronto politico che aveva portato ad alcune modifiche alla legge elettorale, il partito presidenziale si era dimostrato irremovibile nel non accettare modifiche alla copertura mediatica prevista dalla legge georgiana, mostrando quello che considera essere il mezzo primario per assicurarsi il consenso. Consenso ipotecato, comunque, da una resa dei conti che potrebbe avere come protagonisti anche figure come quella di Nino Buržanadze, popolare ex presidente del Parlamento e in due occasioni presidente della Repubblica in attesa di nuove elezioni (2003-4 e 2008), che ha annunciato di voler tornare a fare politica attivamente, dopo aver assunto le distanze dalle posizioni presidenziali in occasione delle elezioni di legislatura e che, nel pieno della crisi, il 23 agosto, si è recata negli Stati Uniti per colloqui.
Sul fronte delle relazioni russo-europee, intanto, si registrano significative prese di posizione di Mosca.
Durante la citata inaugurazione dell'anno accademico dell'Istituto Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali, il ministro Lavrov pronunciava infatti un articolato discorso che appariva come un manifesto programmatico della politica estera russa.
L'intervento, pubblicato per intero anche in versione filmata sul sito del ministero, toccava i punti sensibili della guerra con la Georgia e includeva l'analisi dei rapporti russo - europei.
Lavrov sottolineava quello che considera il cambio epocale nelle relazioni fra Mosca e l'Europa: la raggiunta pace russo-tedesca che, secondo la sua analisi, apre uno scenario del tutto inconsueto nel panorama dei rapporti di forza in Europa e segna una nuova era. Questa nuova era, secondo il ministro, dovrebbe essere colta dai partner europei e concretarsi in una nuova concezione di difesa comune. Ne emerge una proposta che suona audace, cioè la creazione di un sistema di difesa europeo in grado di liberarsi della pecca del "NATOcentrismo" che, sempre nelle parole del ministro, "per definizione impedisce la creazione di un vero meccanismo di sicurezza collettiva nello spazio Euroatlantico".
L'invito è dunque quello di estendere la logica geografica discussa il 2 settembre da Lavrov stesso con il ministro degli Esteri turco Ali Babacan, relativamente al mar Nero e alla piattaforma caucasica, anche allo spazio europeo, dall'Atlantico agli Urali. Il principio è che chi si trova sul territorio lo gestisca, senza delegare a interventi esterni, ma concordando con i Paesi confinanti o inclusi nello spazio su cui va esercitato il meccanismo di sicurezza collettivo.
La proposta, se pur non innovativa, suona audace per la manifesta avversione a una collaborazione con la Russia di molti Paesi europei, quelli della cosiddetta "Nuova Europa", nonché per le delicate implicazioni in ambito NATO.
Quella che emerge è, però, una Russia che non solo vuole mantenere intatti i contatti con l'Europa, ma se possibile incrementarli. E' lo stesso approccio che ha illustrato in un'articolata conferenza stampa Andrey Nesterenko, portavoce del ministero degli Esteri, il 2 settembre, e trasmessa da alcune emittenti russe, in forma integrale o in alcuni stralci.
Commentando l'esito del Summit straordinario del Consiglio UE, si ritorna a definirlo dagli esiti "prevedibili", e si ricorda l'importanza della collaborazione reciproca, ipotizzando che i temporeggiamenti non siano altro che strumenti funzionali a incrementare i poteri contrattuali dell'Unione in sede di trattativa. Una trattativa che non va messa in pericolo per "nessun episodio minore". E' così che il portavoce russo liquida la questione georgiana, ricordando che, come ha dimostrato la stesura dei sei punti e l'accordo raggiunto con la mediazione Sarkozy, "tutto è risolvibile".