La ricostruzione delle vicende tormentate degli sloveni del Litorale dagli anni Venti fino alla fine della Seconda guerra mondiale attraverso frammenti di storie di vita e percorsi biografici. La pubblicazione introduce ad una realtà multiforme e contraddittoria dell'ambiente urbano e rurale. L'introduzione
Da "Quaderni di Qualestoria n.9", 1994 - Irsml, Trieste
Introduzione di Giampaolo Valdevit
Memoria e storia degli sloveni del Litorale fra fascismo, guerra e resistenza: sono queste le due dimensioni presenti in questo volume*, che è basato per due terzi su fonti orali e per il restante terzo è tributario di approfondimenti storiografici nei quali la storiografia slovena si è impegnata di recente anche grazie all'apertura, a Lubiana, degli archivi relativi alla Seconda guerra mondiale e all'immediato dopoguerra. Per ciò che si riferisce, in particolare, alle fonti orali, si tratta di due blocchi di interviste venuto ad accumularsi, il primo, in un arco di tempo che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, mentre il secondo si è formato negli ultimi anni. Il restante terzo riprende invece una tematica - il collaborazionismo sloveno nel Litorale - che a lungo è rimasta soffocata all'interno della storiografia slovena per ossequio ai canoni interpretativi ufficiali.
Il saggio di Katja Colja aggiunge una tessera alla realtà multiforme del collaborazionismo filonazista. Se fenomeno composito è quello italiano, non meno lo è il collaborazionismo sloveno del Litorale, percorso esso stesso da tensioni interne. Fra i due, poi, non manca l'antagonismo, che vien fatto risalire non solo alla connotazione etnica dei due movimenti, ma anche al loro particolare radicamento sociale.
Quanto quello italiano è fenomeno essenzialmente cittadino tanto il collaborazionismo sloveno è privo di una netta caratterizzazione ambientale; esso appartiene piuttosto al mondo del cattolicesimo politico, del quale utilizza le tipiche forme e momenti associativi: il coro, la compagnia teatrale, la presenza alla messa, la guardia rurale. In quel mondo ambisce ad una forma di presenza ad ampio raggio, che non si ferma all'aspetto politico-militare, ma investe dimensioni più profonde, qual è ad esempio la difesa della famiglia, intesa come unità prima di sopravvivenza. "Sorvegliate i vostri figli" è l'appello col quale riassume tale impegno, che può essere collocato entro la categoria di strategia della sopravvivenza. Si tratta di una categoria i cui confini l'attuale ricerca storica ci fa intuire piuttosto larghi, facili ad essere qua e là spostati, e che perciò ha sicuramente bisogno di una ridefinizione. E il saggio di Katja Colja va inteso appunto come contributo in tal senso.
Quanto agli altri due, che si basano - come si è detto - sulle fonti orali, non c'è più bisogno di precisare le avvertenze per il loro uso. La dimestichezza con questo tipo di fonte fa infatti sì che nessuno più pensa di usarla com'è invece avvenuto, con una certa frequenza, in passato - allo scopo di cercare riscontri fattuali a quanto viene testimoniato dalle fonti scritte oppure a riempire i vuoti che queste spesso lasciano aperti. Attraverso le fonti orali si va piuttosto ad indagare nella soggettività degli individui, ma non più per contrapporre la grande storia alla piccola storia. Al contrario, quanto emerge del vissuto individuale rappresenta piuttosto uno stimolo a riconsiderare le categorie interpretative che sono state adoperate per definire il corso della grande storia.
In particolare il contributo di Marta Verginella illustra il processo di formazione della memoria slovena su guerra, Resistenza e liberazione, processo nel quale si inserisce, in posizione dominante, il tema del rapporto fra città e campagna. E' il mondo rurale, toccato sì ma non sconvolto dalla pressione snazionalizzatrice fascista, che sta pronto a scattare nel momento in cui l'Osvobodilna Fronta (Fronte di Liberazione) chiama le forze a raccolta. Nella campagna, quindi, viene desunta dall'appartenenza etnica la motivazione che spinge ad aderire alla lotta di liberazione; ed è motivazione distante da quella politico-ideologica che anima la Resistenza nelle fabbriche, dove prevale la struttura di partito e, per entrarvi, l'OF dovrà creare l'organizzazione dell'Unità operaia.Anche se la memoria slovena non manca di registrare la presenza di forme di attendismo e opportunismo, dalla metà del 1944, con la polarizzazione del conflitto, essa testimonia la lunga fase di preparazione dell'insurrezione finale, preludio alla presa del potere. E' questa, per inciso, ad assumere rilievo centrale per il movimento di liberazione sloveno, fatto che segna la distanza da quello italiano, in seno al quale la presa del potere è semmai aspirazione di alcuni, aspirazione negata però. In questa fase è la città che attrae come un magnete per motivi opposti: perché rappresenta la posta di cui impadronirsi anche in via simbolica (con bandiere, scritte e così via) ma non senza averla prima ripulita, in quanto è anche una sorta di sentina, nella quale "si nascondevano i colpevoli del lungo martirio".
E' in sostanza una memoria, per così dire, militante, che recupera integralmente il contenuto antagonistico proprio della lotta di liberazione e che è funzionale alle battaglie del dopoguerra. E' facilmente intuibile che sia anche memoria di una "vittoria", che con assoluta coerenza espunge la vicenda che l'ha trasformata in "vittoria mutilata", e cioè i cosiddetti 40 giorni. E' l'unico vuoto in un processo di cui viene sottolineata la continuità. Se, per inciso, osserviamo tale vuoto sul versante italiano non è difficile accorgersi che tale affatto non è; è anzi il contrario, è qualcosa di cui è piena la memoria storica italiana (mi riferisco, com'è facile intendere, ai 40 giorni e soprattutto al fenomeno degli infoibamenti).
In altre parole quello che si deposita nella memoria italiana è, per volume, inversamente proporzionale a quanto si deposita in quella slovena. Ciò potrebbe far pensare che le due memorie siano congiunte da un sistema di vasi comunicanti, dentro il quale il corso della storia esercita una pressione: se il livello, dunque, cala da una parte sale dall'altra. Il che, nota Marta Verginella, ha lo scopo di preservare la netta distinzione fra "noi" e "loro". Legittimare ancora una volta questa contrapposizione significa contribuire a consolidare la logica degli schieramenti opposti, che è divenuta, sin dalla seconda metà dell'Ottocento, la peculiarità dell'immaginario collettivo di Trieste e della sua memoria storica. Pertanto l'invito è piuttosto a voler riequilibrare la circolazione delle memorie nel sistema dei vasi comunicanti.
Nella stessa direzione ci conduce il saggio di Alessandro Volk, saggio che parla di una memoria rivisitata in tempi recenti, e che si è in qualche modo depurata dal bisogno di compattezza che l'aveva, come si è visto, irrigidita. Dalla dimensione della quotidianità - sempre fra fascismo, guerra e Resistenza - escono squarci di vita che smentiscono l'esistenza di un mondo diviso fra "noi" e "loro". Tale è il caso della ragazzina che ricorda come anche nella scuola fascista ci fosse qualche maestra che, con grande circospezione sì, comunicava in sloveno; o quello del giovane, amante dell'alpinismo, che partecipa all'attività di organizzazioni fasciste ed è inserito in una società italiana (nota per tradizioni patriottiche), proprio all'interno della quale verrà a sapere della Resistenza che si è accesa in Jugoslavia contro l'occupatore tedesco e italiano. Sono episodi minimi, certo, capaci però di dimostrare come la snazionalizzazione sia fenomeno percorso da contraddizioni. E le conseguenze della snazionalizzazione quali sono state? La lotta per mantenere la propria identità, si è risposto di frequente. Dalla memoria che Volk riporta alla luce non si direbbe che sia così: sembra piuttosto che il fascismo costringa soprattutto all'occultamento. Ad una nazione che espande la propria presenza si accompagna dunque una che tenta di occultarla: è un altro vaso comunicante.
Per citare un altro invito a voler correggere gli schemi interpretativi di largo uso, la memoria slovena ci rivela la distanza che separa, fra gli antifascisti e i comunisti in particolare, chi lo è per scelta ideologica (di classe, se vogliamo), da chi lo è per ragioni in cui a tale motivazione si affianca quella che deriva dall'appartenenza etnica. Così solo a parecchi decenni di distanza lo sloveno comunista riconoscerà nel giovane compagno di lavoro di un tempo il comunista italiano (e si accorgerà, per di più, che sa parlare sloveno).
Da questo caso poi riusciamo a percepire anche un altro modello interpretativo che scricchiola (ce n'eravamo già accorti, a dire il vero): la lotta di liberazione jugoslava intesa come conciliazione di risorgimento nazionale e rivoluzione sociale. E, ancora, non è difficile scorgere come le barriere create dalle distinzioni ideologiche siano assai basse e perciò facili da scavalcare. Nelle strategie di sopravvivenza, ad esempio, la famiglia ha un peso di tutto rilievo, che è patrimonio comune anche per chi si collochi agli estremi dello spettro politico-ideologico.
Le comunità nazionali conviventi a Trieste - conclude Volk - non sono certamente delle entità chiuse, omogenee al loro interno (tanto che andrebbe messo in discussione il termine stesso di "comunità nazionale") con una storia propria, impermeabili e indifferenti a quanto accade nell'"altra" parte. La storia di Trieste, se vuole essere veramente tale, non può che essere la storia comune di tutte le sue componenti nazionali e delle loro interazioni reciproche. Non esistono infatti, se non nella testa e nei desideri di alcuni, né una Trieste slovena né una Trieste italiana, ma una sola Trieste.
conclusione sulla quale non si può non essere d'accordo. Che un segnale di questo genere venga emesso dall'interno della storiografia slovena che - non si può negarlo - è stata più incline a seguire la strada della separazione anziché quella dello scambio e del confronto, è circostanza significativa. E' un segnale, questo della giovane storiografia slovena (di Trieste), che ci sembra diretto sia verso la storiografia slovena sia verso quella italiana. La pubblicazione di questo volume nella collana editoriale dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia vuol testimoniare che, per parte nostra, questo segnale è stato accolto.
* Il volume è apparso, in forma lievemente ampliata, in edizione slovena con il titolo Ljudje v vojni. Druga svetovna vojna v Trstu in na Primorskem, Knjiznica Annales, 9, Koper, 1995, pp. 178.
Va ricordato inoltre che i contributi di Alessandro Volk e Marta Verginella sono nati all'interno della ricerca "Trieste in guerra" avviata nel 1990 dall'Istituto con il finanziamento della Provincia di Trieste.